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culturaidentita.it – Milite Ignoto, basta vergognarsi di aver vinto la Guerra

Può capitare, in un tardo pomeriggio piovoso della Capitale, il giorno che precede quello della Vittoria del 4 novembre, di assistere, alla Fondazione An, alla presentazione di un libro a più voci che lo spirito profondo di un secolo fa evoca, pur essendo stato scritto da autori tutti nati pochi anni fa.

Ma che dico autori: autrici. È infatti, salvo un pezzo di Emanuele Merlino, tutto scritto al femminile ed è un saggio di quello che in Francia verrebbe chiamato ego histoire fiction. Si tratta infatti di racconti in cui le autrici, tutte nate tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta del secolo scorso, si immedesimano nelle loro nonne o bisnonne o trisavole, per rievocare il modo in cui esse vissero la Grande Guerra, la sua fase finale, quella della vittoria di cui oggi ricorre l’anniversario e quella dell’epopea del Milite Ignoto, di cui quest’anno ricorre il centenario.

E, da storico che occasionalmente si è occupato di Grande Guerra e che ha avuto tra le mani i carteggi degli uomini e delle donne reali di allora, devo dire che le loro discendenti ne hanno saputo ricreare perfettamente lo spirito, un po’ perché si sono documentate, un po’ soprattutto perché la natura umana è immutabile, un secolo nella storia è un tempo breve, e ciò che animava le idealità di ieri è ancora vivo in quelle di oggi.

Purché prevalga lo spirito di appartenenza alla Patria e non la sciatteria e l’ignoranza che hanno portato, ad esempio, la Presidenza del Consiglio reparto grandi eventi a rammemorare il Milite Ignoto con la mappa di un paese sudamericano e con le divise di officiali americani durante la guerra di Corea.

Allora vale la pena di leggere il volume curato da Cristina Di Giorgi e Bianca Penna (Ignoto Militi. Le donne raccontano il figlio d’Italia, Edizioni Idrovolante, 18 euro) che ci fa capire, come hanno detto ieri sera le parlamentari Isabella Rauti e Paola Frassinetti e l’assessore della giunta veneta Elena Donezzan, durante la presentazione, quanto sia importante tenere viva la memoria del 4 novembre.

E come sarebbe giusto e logico intraprendere una campagna affinché la data dell’armistizio di Villa Giusti tra Italia e Impero austro-ungarico ritorni ad essere una festa nazionale. Come nazione, manifestiamo infatti un problema con la memoria della Grande Guerra. Si capisce che tedeschi ed austriaci non amino commemorare una sconfitta, ma non così i paesi vittoriosi. L’11 novembre, anniversario della cessazione delle ostilità, è giorno festivo in Francia; cade nella stessa data il Remembrance day, non lavorativo solo in Canada ma comunque molto sentito nel Regno Unito, in Australia e pure negli Usa, nonostante essi abbiano partecipato al primo conflitto mondiale per un periodo breve. Da noi invece, soprattutto negli ultimi decenni, si ricorda con pudore e con vergogna la partecipazione dell’Italia in guerra, quasi scusandosi per aver vinto.

La Grande Guerra fu certo una carneficina, ma l’Italia non poteva sottrarsi. Una volta nella mischia, gli italiani, figli di un Paese povero, diviso, di recente formazione, con un esercito ben lontano dai possenti alleati e nemici, si batterono con vigore, coraggio e dignità. Egualmente, i governi e i poteri pubblici si condussero in modo non difforme da quelli di Parigi e di Londra. Fu una guerra anche di popolo, la sola, bisogna ricordarlo, che l’Italia vinse veramente. Ma allora perché questo oblio? Ha certo pesato il fascismo, che fece dell’evocazione del primo conflitto mondiale un mito fondamentale del regime. Eppure, ancora per qualche decennio dopo la caduta di Mussolini, la rimembranza e l’orgoglio della vittoria sono rimasti: del resto il 4 novembre come giorno festivo è stato abolito solo nel 1977, per via dell’austerità.

Alla memoria della guerra ha assestato però un colpo violento il movimento del Sessantotto, per il quale essa sarebbe stata voluta dalla «borghesia» contro il «popolo» italiano, da governi «reazionari» che, nel gestire il paese, quasi avrebbero anticipato il fascismo. Un’interpretazione ideologizzata oggi fortunatamente defunta ma servita per cancellare dalla memoria le tracce della guerra come evento tragico sì, ma capace di contribuire alla crescita collettiva della nazione.

E allora: buon 4 novembre, buona festa della Vittoria, buona festa dell’Italia.

[Fonte: culturaidentita.it]

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