Percorso:

La Stampa.it – Uno su 5 candidato lontano dal suo collegio

Il fenomeno dei cosiddetti paracadutati non riguarda solo Boschi che invece della sua Arezzo si presenta a Bolzano. Su 1392 aspiranti deputati e senatori all’uninominale, 277 devono chiedere il voto fuori casa: il primato al centrodestra

Nel prossimo Parlamento 348 seggi su 945 saranno occupati – almeno, dovrebbero – da candidati espressione dei territori in cui sono nati, vivono, lavorano, hanno cominciato l’attività politica o la svolgono tuttora. È un cardine del Rosatellum: ricostruire un minimo di rapporto tra elettore ed eletto, superando, attraverso i collegi uninominali, l’onta delle liste bloccate. I partiti, però, l’hanno interpretato a modo loro e i territori ne sono usciti spesso calpestati.  

L’Italia è divisa in 232 collegi per la Camera e 116 per il Senato, 1.392 candidati considerando quattro schieramenti: centrodestra, centrosinistra, Movimento Cinque Stelle e Liberi e Uguali. Esaminandoli uno ad uno – luogo di nascita, residenza, attività professionale e politica – 277, il 20%, possono definirsi a vario titolo paracadutati: corrono in un collegio attiguo a quello che sarebbe naturale (136, il 10%), come l’assessore regionale ai Trasporti del Piemonte Francesco Balocco, ex sindaco di Fossano, che il Pd candida alla Camera nel collegio di Alba anziché a Cuneo; oppure (98, il 7%) sono candidati in un collegio esterno alla loro provincia, però nella stessa regione, vedi il deputato veneziano dei Cinquestelle Emanuele Cozzolino, nella bufera per i mancati rimborsi, dirottato a Rovigo. Infine ci sono i candidati spediti a centinaia di chilometri da «casa»: 43, il 3%.

Ministri fuori sede  

Maria Elena Boschi è dunque in ottima compagnia, a cominciare da buona parte dei ministri del governo di cui fa parte. Beatrice Lorenzin, romana, ha un seggio blindato a Modena alla Camera, per la gioia dei dirigenti locali che hanno dovuto incassare anche l’imposizione al Senato di Edo Patriarca, ex presidente del Forum del terzo settore, originario di Basciano (Teramo) già nel 2013 catapultato in Piemonte. Poco lontano, a Sassuolo, ma alla Camera, c’è il viceministro Claudio De Vincenti, romano. A Parma, Lucia Annibali, l’avvocato di Pesaro sfregiata con l’acido da due uomini, il cui collegio di casa è stato assegnato al ministro dell’interno Marco Minniti, calabrese. La ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, originaria di Treviglio, una vita da sindacalista nella Cgil di Milano, è a Pisa. Pier Carlo Padoan, di Roma, deve difendere il fortino democratico a Siena.

L’ansia di blindare alcuni fedelissimi e di placare le minoranze ha spinto Matteo Renzi a scelte bizzarre: l’ex ministro Cesare Damiano, di Cuneo ma con profonde radici a Torino, ha dovuto accettare il collegio di Terni, il romanissimo Roberto Giachetti è stato trasferito a Prato. 

Il 22% dei candidati di Pd e alleati è «fuori sede». Il centrodestra ha fatto di peggio: 27% al Senato, 28,5% alla Camera. Uno su tre. Per dire, il ritorno nella mischia dell’ex sottosegretario Guido Crosetto avrebbe meritato una corsa nella sua Cuneo; invece Fratelli d’Italia ha ottenuto per lui un seggio sicuro alla Camera a Bergamo «scippandolo» alla Lega. Isabella Rauti, l’ex moglie di Gianni Alemanno, figlia dello storico leader del Msi Pino, da Roma è schizzata a Mantova. E che dire di Ylenja Lucaselli? Ha cambiato schieramento e territorio: l’avvocato tarantino nel 2010 sosteneva Nichi Vendola in Puglia, adesso è al fianco di Giorgia Meloni, ma Modena, suo malgrado, la capitale dei paracadutati. 

In Forza Italia Giorgio Mulè, ex direttore di Panorama, siciliano, una carriera tra Sicilia, Milano e Roma – è finito a San Remo per la Camera; Vittorio Sgarbi ad Acerra: per lui sarebbe stato naturale cercare l’elezione nella sua Ferrara o in Sicilia dove è assessore regionale. Discorso simile per il leader Udc Lorenzo Cesa, nato vicino a Guidonia ma candidato a Nola. O per l’ex ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello, originario di Napoli e docente universitario a Roma, catapultato a L’Aquila per Noi con l’Italia. 

Caccia al seggio blindato  

Un sistema concepito per riavvicinare i partiti ai loro elettori si è trasformato in uno strumento per garantire posti sicuri. O per danneggiare gli avversari. Non stupiscono più di tanto, allora, i 34 paracadutati di Liberi e Uguali, 10 dei quali a centinaia di chilometri dal loro collegio naturale, a cominciare dalla presidente della Camera Laura Boldrini, marchigiana ma in corsa a Milano. Oppure Anna Falcone, avvocato cosentino portabandiera del comitato del No al referendum, finita a Bologna. E chissà perché un emiliano a tutto tondo come Pierluigi Bersani, dalla sua Bettola (Piacenza) si è ritrovato a Verona. 

Anche il Movimento Cinque Stelle è caduto nella trappola: il 16% dei candidati al Senato e il 18,5 di quelli alla Camera non sono del tutto affini al collegio in cui corrono. L’unico caso eclatante è il nuotatore olimpionico Domenico Fioravanti, originario della Calabria, residente a Trecate, nel novarese, schierato a Torino. Negli altri casi si tratta di piccoli dirottamenti, comunque distorsivi dello spirito dell’uninominale. Ad esempio David Zanforlini, l’avvocato ferrarese già sospeso per presunta affiliazione a una loggia massonica, è a Ravenna. Il fondatore del movimento risparmiatori traditi Alberto Artoni, di Piove di Sacco, ma con studio professionale a Padova, né nel collegio di Albano né a Padova, bensì a Vigonza. Roberto Traversi, invece, voleva fare il sindaco di Chiavari: il Movimento gli ha negato l’uso del simbolo, ora lo candida alla Camera. Però a Genova.

[Fonte: www.lastampa.it]

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