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Francesco Sallustio

Diario
29 novembre 2006

Donne tra lavoro e famiglia: intervista a Isabella Rauti
Donne, oggi sempre più contese fra il mondo del lavoro, la famiglia, la società. Ne parliamo con Isabella Rauti, Consigliera Nazionale di Parità al Ministero del Lavoro.


Parliamo del ruolo della donna nella società italiana, sempre più contesa fra la famiglia e il mondo del lavoro. Abbiamo provato ad approfondire il tema cercando di dimostrare che se gli uomini portassero avanti questa battaglia per la donna, ci guadagnerebbe anche la famiglia. Cosa ne pensa?

“Sicuramente il numero delle donne nel mondo del lavoro è aumentato negli ultimi anni registrando una media occupazionale che comunque supera di poco il 45% che è di dieci punti inferiori rispetto alla media degli altri paesi europei: questo anche perché in Italia non si è risolto ancora il nodo della conciliazione tra i tempi del lavoro di cura e dei tempi del lavoro al di fuori della famiglia. Infatti tutte le statistiche, fra cui quelle autorevoli dell’Istat, dimostrano che il lavoro di cura -sia allevamento dei figli che cura degli anziani, e le faccende domestiche- per il 70% continua ancora a gravare sulle spalle delle donne. Quindi le donne italiane, in una situazione di carenza di servizi e in assenza anche di piani di orari dei tempi delle città, si trovano a fare acrobazie quotidiane. E la scelta di maternità, non solo non viene assorbita facilmente dal mercato del lavoro, ma soprattutto si presenta quasi come un ostacolo rispetto alle scelte lavorative. Qui non si tratta tanto di creare altre norme tese a realizzare la parità perché di leggi ne abbiamo, compresa la legge 53/2000 sui congedi parentali, quanto piuttosto di creare una cultura della condivisione dei ruoli all’interno delle famiglie”.

Come tutti sappiamo le donne tra i 25 e i 40 anni di età si trovano spesso nella condizione di dover scegliere fra lavoro o famiglia. Ma il fatto stesso di dover scegliere è una cosa sbagliata… Perché in Italia una donna non può aspirare ad essere un ottima madre e al tempo stesso una persona gratificata dal mondo del lavoro?

“La donna italiana può aspirare a svolgere sia il ruolo di madre che quello di essere un’ottima lavoratrice nonché una professionista, ma il problema è che la carenza di servizi per le famiglie e di strutture per la prima infanzia oltre che di politiche per la conciliazione (organizzate non come è sempre stato fatto con interventi di settore, ma con una logica di sistema e di integrazione di politiche famigliari sociali dei servizi dei tempi e dell’organizzazione del lavoro) rendono difficilmente conciliabile la scelta di maternità con le legittime aspirazioni lavorative. Inoltre tutti gli osservatori statistici rivelano come oltre il 15% delle donne che lavorano lasciano il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Tutti noi sappiamo quanto sia difficile per una donna il ritorno nel mondo del lavoro dopo esserne uscita per maternità o per l’esigenza del lavoro di cura. Insomma, non c’è solo il problema dell’accesso delle donne nel mondo del lavoro quanto piuttosto quello della permanenza e del reingresso. Spesso il reingresso è accompagnato dal ‘demansionamento’: donne reintegrate con mansioni al di sotto del proprio ruolo”.

Lei notoriamente è una donna molto impegnata in politica e nel mondo del lavoro, ma è anche una mamma. Quali sono state le principali difficoltà che ha dovuto affrontare per riuscire a coniugare al meglio questi due aspetti della vita?

“Quotidianamente compio i funambolismi che toccano a tutte le madri lavoratrici. E le difficoltà sono proprio quelle di conciliare tutto, e come dicono i tecnici e gli esperti del settore, ognuna di noi con fantasia attua quotidianamente la cosiddetta conciliazione soggettiva ed individuale, in assenza di quella definita, oggettiva, creata da un modello di welfare basato sull’inclusione delle donne madri-lavoratrici. In assenza di reti formali dei servizi, è chiaro che c’è il ricorso alle cosiddette reti informali che vengono a costituire segmenti di welfare con la funzione di stampelle necessarie a uno stato sociale che zoppica”.

Uno dei problemi fondamentali è che spesso i datori di lavoro prendono quasi come un affronto la maternità di una loro dipendente. Da questo atteggiamento emerge il grande deficit culturale del nostro paese. Come si può sconfiggere questo annoso problema?

“La legge vieta i licenziamenti per maternità e le discriminazioni sul lavoro legate al genere; ciò nonostante negli uffici delle consigliere di parità aumentano le denunce e le segnalazioni di licenziamenti, demansionamenti e discriminazioni per maternità. Quindi l’enorme evidenza è che le norme da sole non bastano se non sono accompagnate da una rivoluzione culturale di costume e di mentalità, che consideri la valenza sociale della maternità, che restituisca alla maternità la sua centralità e soprattutto, che non consideri la maternità né una colpa né una vicenda individuale da scaricare sulle spalle delle famiglie”.

In tutto questo i nuovi contratti di lavoro non hanno di certo migliorato le cose…

“Infatti, ma è un discorso da affrontare con cautela: le nuove forme di lavoro introdotte dalla legge 30 e dal suo decreto attuativo, sono nate anche per favorire l’ingresso dei giovani e delle donne nel mondo del lavoro e per far emergere sacche di lavoro sommerso. Inoltre la flessibilità è un’esigenza dettata dalla competizione globale e dai cambiamenti del mercato del lavoro. Ad oggi il ricorso alla flessibilità resta più femminile che maschile, ma purtroppo anche le forme di precariato sono più femminili che maschili; è necessario introdurre il concetto di governo della flessibilità oltre che individuare forme di tutela della maternità in tutte quelle nuove forme lavorative che ancora non lo prevedono. Bisogna studiare meccanismi di transizione dal lavoro a tempo determinato verso il lavoro stabile”.

In tema di servizi alla donna, alla maternità e quindi alla famiglia, l’Italia è molto indietro rispetto ai sistemi adottati nei paesi del nord Europa. Perché i governi italiani che si sono succeduti dal dopoguerra ad oggi non sono mai stati in grado di adottare una vera politica sociale in grado di incentivare la famiglia?

Perché in Italia si deve portare a compimento il passaggio da uno stato sociale di tipo assistenzialistico ad uno stato sociale di tipo comunitario basato sui principi di sussidarietà. Inoltre il modello italiano di welfare continua a riflettere la cultura tipica dei paesi del sud Europa incentrata sulla famiglia che però continua a chiedere alla famiglia di erogare servizi.
Da un punto di vista di leggi, di parità e di pari opportunità l’Italia non è indietro rispetto agli altri paesi europei mentre deve introdurre norme ispirare all’inclusione sociale di tutti: e soprattutto si deve ridurre lo scarto che esiste tra la parità normativa e descrittiva e la parità sostanziale e sociale.

Quali sono secondo lei le battaglie politiche che gli uomini dovrebbero intraprendere in favore delle donne?

Io non ho mai pensato ad esempio che la conciliazione dei tempi sia una questione che riguardi solo le donne ma ho sempre pensato che sia una questione che riguarda le famiglie e soprattutto riguarda l’intero mercato del lavoro. E lo riguarda come un nodo da affrontare e sciogliere. Inoltre penso che ogni rivoluzione culturale compiuta in profondità non possa vedere contrapposti i generi femminile e maschile. Ritengo infine che non si tratti in questo caso tanto di battaglie politiche, quanto di un cambiamento di mentalità che modifichi secondo un modello di condivisione le regole consuetudinarie all’interno delle famiglie e che comporti anche all’interno del mondo del lavoro modelli organizzativi più concilianti rispetto alle reali esigenze ed ai legittimi desideri di maternità e paternità.

Omar Kamal

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