Percorso:

Una nuova politica per le Pari opportunità e la garanzia dei diritti nel pubblico impiego

In collaborazione con Futuro @l Femminile

Roma, 22 ottobre 2009

Intervento della Prof.ssa Isabella Rauti , Capo del Dipartimento per le Pari Opportunità

Voglio ringraziare, innanzitutto, il mio collega Cons. Antonio Naddeo, non solo per la sua articolata introduzione, ma anche per il lavoro che stiamo svolgendo insieme con grande armonia e comunità di intenti. La sua sensibilità riguardo alla realizzazione delle pari opportunità nell’ambito della Pubblica Amministrazione è profonda e autentica. Voglio anche ringraziare il Direttore Generale Cons. Paola Paduano, che ha gestito la nostra partecipazione al Forum PA e la Dottoressa Laura Barbieri, per il lavoro quotidiano che svolge in particolare sull’accoglimento della Direttiva delle Pari Opportunità nella Pubblica Amministrazione.

Per descrivere il perimetro del nostro ragionamento, utilizzerà tutti gli elementi che ha fornito il Cons. Naddeo, dandoli per sottintesi. Questo perimetro è tracciato dalla Direttiva, da quello che abbiamo fatto nelle Amministrazioni e dagli effetti di questa stessa Direttiva, della quale parlammo in questa sala già due anni fa. Allora ci confrontammo con la prospettiva e con gli effetti immaginati, oggi invece è tempo di bilanci. A noi spetta anche di stigmatizzare quelle che restano le criticità nella realizzazione delle pari opportunità nella Pubblica Amministrazione, in riferimento anche al concetto indicato nel titolo di diritti garantiti e di diritti effettivamente esercitati.

I nostri due Dipartimenti si stanno adoperando per rendere operativa la Direttiva, nel merito della quale non entro, perchè è evidente che chi è qui la conosce, che contiene indicazioni per attuare le pari opportunità tra uomini e donne nella Pubblica Amministrazione. In primis stiamo raccogliendo le relazioni richieste alle Pubbliche Amministrazioni, svolgendo una funzione di legittimo pressing per avere un riscontro in questo senso e per abituare le Amministrazioni non solo a rispettare quanto previsto ma anche a lavorarci un po’ sopra. La Direttiva punta alla rimozione di qualsiasi forma di discriminazione, tendendo alla valorizzazione delle differenze tra uomini e donne e delle competenze di lavoratori e lavoratrici. Come diceva anche il Cons. Antonio Naddeo esiste a questo proposito una grande responsabilità e un grande coinvolgimento dei Direttori Generali del Personale. Evidentemente, infatti, l’investimento sulle risorse umane e sulle diversità del personale è un valore aggiunto della Pubblica Amministrazione. Viceversa può diventare un meccanismo in cui si contano presenze, assenze e malattie, il che rappresenta, a mio avviso, una deriva della gestione delle risorse umane. Il ricevimento delle relazioni avviene attraverso un format predisposto, che richiede non solo dati quantitativi del personale, ma anche dati qualitativi rispetto alle misure effettivamente attuate, introdotte o rispettate, alle politiche di pari opportunità, nonché agli aspetti legati alle azioni positive e ai piani triennali. Per quanto riguarda la presentazione dei piani triennali di azioni positive si conferma il carattere per lo più occasionale e non programmato degli interventi in materia di pari opportunità. Questo aspetto dell’occasionalità, che talvolta diventa sporadicità, è un elemento da stigmatizzare ed affrontare, perchè in realtà ci dovrebbe essere un meccanismo di sistema e di rigore. Quest’occasionalità, tra l’altro, contrasta con la previsione normativa che impone alle Amministrazioni di predisporre piani triennali di azioni positive. Ci sono dunque una serie di norme che non vengono applicate.

Troppo spesso quando si tratta di normative di parità e di pari opportunità si assiste, infatti, ad uno scarto tra la parità normativa descrittiva cogente e la parità sostanziale, sociale ed effettiva. Questo è esattamente lo spazio molle in cui non solo si annidano le forme di non attuazione dei principi di pari opportunità, ma dove affondano le radici e crescono tutti gli atteggiamenti discriminatori.

Le relazioni devono contenere la descrizione del personale suddiviso per genere, la descrizione delle azioni realizzate nell’anno, con l’evidenziazione dei capitoli di spesa e dell’ammontare delle risorse impegnate e la descrizione delle azioni da realizzare negli anni successivi. Gli obiettivi da raggiungere sono: la rimozione delle discriminazioni, l’adozione dei piani triennali di azioni positive e la loro messa a sistema nell’organizzazione del lavoro. Quest’ultimo elemento prevede un’organizzazione strutturata su modalità che favoriscano la conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro, nell’ottica di un’Amministrazione amichevole rispetto alle esigenze dei dipendenti e che sia consapevole del fatto che la maggior parte delle disfunzioni che noi riscontriamo nasce dalle difficoltà di attuazione della conciliazione stessa. Altri elementi contenuti nelle relazioni sono inerenti alle politiche di reclutamento e di gestione del personale ed alla diffusione e all’operatività dei Comitati per le Pari Opportunità, argomento che sarà al centro della seconda parte di questo convegno.

Quali sono gli altri elementi di criticità che emergono nella Pubblica Amministrazione attraverso la lettura delle relazioni? Il principale riguarda senza dubbio i modelli di organizzazione del lavoro. Noi viviamo in una società che viene definita post-fordista che ha modificato completamente il suo volto, una società in cui i modelli di organizzazione del lavoro si sforzano di inseguire i cambiamenti verificatisi, stentando ad adeguarsi alle nuove esigenze. In realtà noi viviamo ancora in un meccanismo estremamente rigido, pur se invochiamo costantemente modelli di flessibilità di varia natura. E’ come se ci fosse uno scarto difficilmente riducibile tra le aspettative delle modifiche da introdurre e la possibilità di plasmare il modello di organizzazione del lavoro rispetto ad esse. Esiste, in definitiva, una riottosità dei modelli organizzativi rispetto ad una flessibilità concreta, che permetta la conciliazione tra vita lavorativa e vita privata.

Un altro aspetto critico, che emerge è quello legato alla rappresentanza femminile all’interno delle Pubbliche Amministrazioni nelle posizioni apicali è evidente che bisogna immaginare politiche di gestione del personale che favoriscano e poi garantiscano l’equilibrio delle presenze femminili nelle posizioni apicali e all’interno delle progressioni di carriera. In realtà, nonostante i tanti cambiamenti introdotti, i sistemi di valutazione restano ancora fortemente condizionati da logiche stereotipate.

Si riproducono cioè all’interno dei sistemi di valutazione alcune logiche che si incontrano anche nella mentalità comune corrente. Imbattersi con gli stereotipi nella vita privata o in un qualsiasi contesto sociale ha naturalmente un certo impatto, ma vederli legittimati all’interno di un contesto professionale produce un effetto di maggiore smarrimento. Bisogna, dunque, riconsiderare con sincerità gli aspetti e i criteri di valutazione.

Esistono poi degli aspetti quantitativi che non possono sfuggirci, come i divari salariali e i differenziali retributivi, annidati nelle competenze salariali accessorie, che vanno a svantaggio dell’elemento femminile.

Affrontare le questioni delle pari opportunità nella Pubblica Amministrazione significa operare in un comparto che dovrebbe essere privilegiato a causa dell’eccezionale presenza di personale femminile. Proprio per questo aspetto di grande presenza femminile, la Pubblica Amministrazione rappresenta in un certo senso la metafora delle contraddizioni insolute, che può essere esteso alla rappresentanza femminile nelle istituzioni, come in molti altri comparti. Il meccanismo sociale che risulta dall’analisi è quello di una presenza quasi ineccepibile di normative a garanzia dei diritti di pari opportunità, ma di uno scarto sostanziale nella loro applicazione. Nella Pubblica Amministrazione non c’è solo una concentrazione eccezionale di presenze femminili che non raggiungono le posizioni apicali, ma anche una grande qualificazione delle donne lavoratrici. Se andiamo a vedere i titoli di studio ci rendiamo conto che si tratta di personale estremamente qualificato. Le pratiche di genere applicate alla Pubblica Amministrazione diventano dunque paradigmatiche e particolarmente significative proprio in quanto essa rappresenta una metafora. In una ricerca sulla materia ho una volta scritto che è come se questa maggioranza femminile fosse trattata, gestita e vissuta come una minoranza. Il che racchiude anche il concetto di marginalizzazione.

Il decreto legislativo di riforma del lavoro pubblico che ci ha illustrato il Cons. Antonio Dottor Naddeo si appella ai criteri di trasparenza ed efficienza della Pubblica Amministrazione. Si tratta di una riforma che passa attraverso performance organizzative e performance individuali, della quale sono stati evidenziati aspetti innovativi e di riqualificazione ma non si possono nascondere dei potenziali di rischio al suo interno, a cui intendo fare brevemente riferimento senza nessuna intenzione di polemica.

Un rischio su cui dobbiamo tutti insieme vigilare è riscontrabile negli aspetti legati alla performance individuale, che di per sè va benissimo, ma non bisogna mai perdere di vista il differenziale salariale e retributivo presente nella Pubblica Amministrazione, nel momento in cui si va a valutare una progressione di carriera e un riconoscimento del trattamento economico accessorio. Siccome in questa parte dinamica e variabile del salario entrano in gioco tutti gli aspetti legati ai benefit e ai premi di produttività si deve a mio avviso essere estremamente rigorosi e scegliere da che parte stare. Se, ad esempio, la maternità ha un valore sociale questo valore va riconosciuto e ne deve conseguire un riconoscimento che deve essere valutato nel momento in cui si va a computare il tutto. Se gli aspetti legati al lavoro di cura, che riguardano la maternità, come l’assistenza della terza e quarta età, incidono sul lavoro e sulla vita delle donne, essi devono essere presi in considerazione e devono essere valutati attentamente rispetto alla presenza, alla produttività e all’efficienza. Questo è un discrimine rispetto al quale o ci si pone da una parte oppure ci si pone dall’altra.

L’attuazione della riforma dunque può essere utilizzata come strumento di rimozione degli aspetti discriminatori!

In conclusione, sebbene tutti i diritti cui si è fatto riferimento siano garantiti sotto l’aspetto normativo, il problema resta sempre il medesimo: quello del reale accesso ai diritti, quello che viene definito tecnicamente il rischio di dumping dei diritti. Rispetto a tutto questo credo che continui a valere una sensibilità – diffusa in questa sala ma forse molto meno fuori di qui – che spinge a non dare mai per scontato ciò che è o sembra garantito.

Questa voce è stata pubblicata in Convegni con Tag: , .