Percorso:

Sette – Due passioni: politica e sport

di Claudio Sabelli Fioretti

Isabella è figlia di Pino Rauti, leader di Fiamma Tricolore, il partito più a destra, quello che si ritiene vero erede della tradizione del Msi. La stessa Isabella è moglie di Gianni Alemanno, ministro dell’Agricoltura, uno dei leader di An, uno di quelli che condivise la «svolta» di Fiuggi quando Gianfranco Fini parlò dei «valori storici dell’antifascismo». Isabella, allora, scelse la linea rautiana, diventando dirigente del vecchio-nuovo partito. Avversaria politica di suo marito.

Lei non gli parlò per quattro giorni.
«Potrei dire che non gli ho parlato per quattro anni. Di queste cose non abbiamo parlato per tanto».
Chi è più di destra fra lei e Gianni?
«Non mi sono mai sentita di destra conservatrice né tantomeno di estrema destra».
Sono convenzioni.
«Etichette antiche».
Allora vediamo: Rauti uscì da destra?
«Lui non uscì. Semplicemente non entrò in An e rimase nel solco della tradizione missina. Se vogliamo è An che ha superato a destra il Msi. La cosiddetta svolta di Fiuggi aveva un forte carattere liberista».
Gasparri disse a suo marito: «Tua moglie ti danneggia».
«Non l’ho mai danneggiato. I vecchi schemi borghesi vogliono che la moglie segua il marito. Però bisogna stabilire che tipo di coppia si vuole essere».
Veramente non avete mai litigato?
«Abbiamo discusso. Per me non si trattava di evoluzione, per lui sì».
E i rapporti tra suocero e genero?
«Mio padre non ha mai avuto questo tipo di confronto con mio marito. E poi nessuno dei due ama la conversazione fine a se stessa».
Lei disse a suo marito: «Ti sei lasciato illudere dai loro lustrini».
«Non è un frasario mio. E non credo che Gianni si sia fatto abbindolare dai lustrini. Era convinto che si trattasse di un fatto fisiologico, naturale e obbligato dal nuovo contesto politico. La storia successiva gli ha dato ragione».
Una bella ammissione da parte sua.
«Io pensavo che stavamo buttando a mare un insieme di valori, di tradizioni, di ideali».
E non lo crede più?
«Lo credo ancora, ma se guardiamo i risultati elettorali… Anche nei primi tempi di Almirante vedevi piazze piene e urne vuote. I princìpi non si rinnegano solo per il fatto che non hanno successo, ma se la gente non è con te che fai? Tutti ci riconoscevano la coerenza, però non ci votavano. Prendo atto che non abbiamo intercettato nuove domande».
Non è entusiasmante per una militante di Fiamma Tricolore.
«Da un anno io non sto più nella Fiamma».
Questa è una notizia.
«Il partito vive una stagione difficile, c’è confusione, disorientamento».
All’inizio i risultati elettorali non erano deludenti.
«Alle politiche del ’96 io presi quasi il sei per cento».
Contro c’erano Mancuso per il Polo e Veltroni per l’Ulivo.
«Veltroni deve a me la sua elezione. Con il mio sei per cento Mancuso avrebbe vinto. Nel 1999, alle europee, ebbi tredicimila voti di preferenza. Avemmo un eletto, al sud. Si chiamava Roberto Bigliardo. Ma ci ha voltato le spalle ed è passato ad An».
Un bel voltagabbana.
«C’è chi usa i partiti come taxi».
C’è anche chi sceglie i candidati con superficialità.
«Bigliardo era vicesegretario del partito».
Sta meditando anche lei di entrare in An?
«Non si può uscire da una formazione ed entrare tranquillamente in un’altra. Io ho non solo il mio cognome ma anche il mio passato e ne vado orgogliosa».
Lei ha due cognomi. Si chiama anche Alemanno.
«I percorsi si scelgono in coscienza e non per matrimonio».
Che cosa fa, nel frattempo?
«La politica non si fa solo nel partito. Ho sempre creduto nell’associazionismo. Mi occupo di quello femminile e sociale».
Praticamente?
«Insegno all’Università di Malta a Roma, Storia delle istituzioni politiche. Sono responsabile degli interventi sociali della fondazione Nuova Italia e consigliera nazionale di parità presso il ministero del Lavoro e collaboro con il ministero per le Pari Opportunità».
Lei è timida?
«Ho lo stesso carattere schivo di mio padre. I primi comizi sono stati un trauma».
Che cos’altro ha preso da suo padre?
«La scarsa capacità organizzativa. Ci manca la praticità».
Ricordi di gioventù?
«I boyscout. Ero coccinella ma fui impietosamente cacciata. Nel 1972 mio padre venne arrestato per la strage di piazza Fontana. Accusa dalla quale è stato assolutamente prosciolto. Gli scout erano molto politicizzati, il mio era un quartiere rosso. Avevamo spesso cortei sotto casa, scritte sulla porta. Gli scout dissero che me ne dovevo andare. Avevo nove anni».
Un po’ carogne quegli scout.
«Era un clima avvelenato. Molti genitori di miei compagni non mi facevano entrare in casa loro. Una mamma un giorno mi chiuse la porta in faccia: “Tu non entri, sei figlia di un fascista assassino”».
Quando ha cominciato con la politica?
«A dieci anni. Accompagnavo mia sorella alla sezione Balduina. Ero piccola e facevo le pulizie dei locali».
E a scuola come andava?
«A dieci anni venni mandata in una media di suore carmelitane spagnole, in un altro quartiere. Fu come rinascere. Mi lasciavo alle spalle tutti i pregiudizi. Quando passai alle superiori chiesi di andare in una scuola pubblica. Mio padre me lo vietò: “Se con il nostro cognome ti presenti in un liceo pubblico ti fanno la pelle”. Era vero. Fare politica in quegli anni significava uscire di casa e non avere la certezza di tornare».
Vittime o provocatori?
«Siamo stati tutti provocatori e tutti vittime. Spesso venivamo aggrediti solo perché stazionavamo in un posto piuttosto che in un altro».
I posti vostri quali erano?
«Il bar di fronte alla sezione Prati, per esempio. Poveraccio, quante devastazioni ha avuto».
Alla Balduina c’era il bar Campi.
«Noi eravamo i militanti che rischiavano. Quelli del bar Campi li consideravamo un po’ i “pariolini”. Se ne stavano davanti al bar, appoggiati alle loro Vespe, con i loro vestitini giusti».
Quali erano i vestitini giusti?
«I camperos, gli stivali di camoscio a punta che andavano comprati assolutamente da Cervone al Corso, le gonne plissettate che andavano comprate da Children, i foulard di Gucci».
E voi militanti?
«Normali, al massimo scarpe Clarks, comode per scappare. Non eravamo diversi dalla zecche».
Le zecche?
«I ragazzi di sinistra, li chiamavamo così, le zecche».
E loro come vi chiamavano?
«Ci chiamavano “topi di fogna”».
Al di là della politica come era la sua vita?
«Riuscii a non chiudermi e a fare anche altre cose, feste, cinema, sport, amiche, fidanzatini, vacanze».
Le canzoni? I cantanti?
«I nostri. Valeriano, la Compagnia dell’Anello, gli Amici del Vento, De Fiò. A me piacevano anche De Gregori, Venditti, De André. Mi sentivo trasversale. Per esempio usavo la borsa della Tolfa, tipica della sinistra».
Lei si sentiva fascista?
«Ci chiamavamo camerati, facevamo il saluto romano. Ma il fascismo è un’altra cosa».
Avrebbe immaginato che uno di voi sarebbe diventato vicepremier?
«Mai. Noi siamo cresciuti in un “ghetto” e con una cultura di opposizione. Io pensavo che prima o poi avremmo fatto la rivoluzione».
Quali erano i vostri miti culturali e politici?
«I pensatori di riferimento per una come me erano Codreanu ed Evola. Ma io leggevo anche Tolkien o Ghandi. A volte abbiamo fatto dimostrazioni pacifiche, sdraiati per terra, facendoci portar via di peso dalla polizia. Ma i pensatori di riferimento, per una come me, erano Codreanu, Evola».
Come ha conosciuto suo marito?
«Ci siamo incontrati in mille occasioni di piazza. Ma non è stato un colpo di fulmine. Ci siamo fidanzati dopo una decina di anni».
Alemanno era un duro. Dicono che era il classico picchiatore fascista.
«Non è così. Vivevamo in una condizione di assedio permanente. Era un pacchetto tutto compreso: impegno, formazione culturale, autodifesa».
… e aggressione.
«Nessuno di noi aveva la vocazione del picchiatore. Gianni andava in una scuola pubblica, il Righi, e viveva in una situazione di maggiore intolleranza».
Chi era più radicale fra voi due?
«Io venivo dall’ala rautiana pura. Lui dal mondo del Fronte della Gioventù. Ma poi entrò nella corrente rautiana».
Alemanno all’ultimo Assemblea Nazionale di An ha fatto il pompiere per fare accettare le nuove posizioni di Fini. Teodoro Buontempo ha detto che gli sembrava una riunione del Lion’s.
«Non pompiere. Mediatore».
Suo marito piace anche alla sinistra.
«Gli riconoscono una buona gestione del ministero dell’Agricoltura. Ha determinato cambiamenti radicali nell’interesse dei consumatori e della qualità dei prodotti».
Ma lui crede al male assoluto?
«Certo condanna le leggi razziali fatte dal fascismo. Ma non credo che critichi l’esperienza di coloro che sono andati nella Repubblica Sociale. Se li ha riabilitati Violante non sarà Alemanno a condannarli».
Però li condanna Fini.
«Ma è passato l’emendamento di Tremaglia che riconosce dignità a chi è stato nella Repubblica Sociale».
Lei si è dichiarata no global, antiamericana, favorevole al salario garantito per i giovani…
«Io ero no global quando non c’erano i no global. È un movimento che non disprezzo. Lo osservo, lo studio, ne condivido alcuni aspetti. Ma oggi dirsi no global significa schierarsi con un ambiente che tende a deviare a sinistra».
E l’antiamericanismo?
«Antiamericana lo ero e lo sono. Non amo quello stile di vita».
È sicura di non essere di sinistra?
«C’è un’anima della destra, sparsa e diffusa, che condanna le multinazionali che impiegano il lavoro minorile, la guerra ed è attenta alle politiche ambientali. Questo non ci rende di sinistra».
Scommetto che è anche filopalestinese.
«Non nascondo la mia simpatia per la causa del popolo palestinese. Ho visitato i campi profughi palestinesi in Libano. Nessuno al mondo dovrebbe vivere in quelle condizioni».
L’uscita di Alessandra Mussolini da An cambierà qualcosa a destra?
«Il viaggio a Gerusalemme di Fini ha fatto emergere una sorta di malessere. Bisogna vedere se questo malessere sarà intercettato da altri o verrà riassorbito».
La Mussolini le piace?
«Non appartiene alla storia del Movimento sociale. Non ha fatto il mio percorso politico. Non potrei pensarmi sua seguace».
A sinistra piace.
«È anticonformista e trasversale. Questo è positivo. Ma non capisco perché a sinistra la guardino con tutta questa simpatia».
Il mondo dei girotondi la incuriosisce?
«Mi piace Moretti, ho visto tutti i suoi film, è grandioso nella sua ironia. Ammiro il mondo vivace e libero delle associazioni. Ma i girotondi sono espressione di un mondo di sinistra al quale non mi accomuna nulla».
Parliamo dei voltagabbana e degli adulatori.
«Una cosa mi ha insegnato mio padre: combattere l’opportunismo. Oggi viviamo un clima di cortigianeria, di adulazione, di superficialità».
Mi dica qualche nome di voltagabbana.
«Clemente Mastella, ma sa fare politica. E poi potrei pensare a Gianni De Michelis. Ma è uomo di grande intelligenza».
Un vero socialista non può stare a destra.
«Il voltagabbanismo non è un fenomeno solo italiano».
Negli Stati Uniti i voltagabbana vengono puniti dagli elettori.
«Negli Stati Uniti un attore può diventare presidente senza avere mai fatto politica. Meglio un voltagabbana, che comunque ha fatto la sua gavetta, che un improvvisato alla politica o inventato dai media».
E adulatori? Molto citati sono i portavoce di Berlusconi, quelli che dicevano che è un grande statista.
«Compito dei portavoce».
Il portavoce di Fini non dice che Fini è il più grande statista europeo.
«Se Fini diventerà premier, forse lo dirà».
Fini diventerà premier?
«È possibile e probabile».
Peggio l’adulatore o il voltagabbana?
«Peggio il voltagabbana. Sposa una causa, ne trae profitto e poi l’abbandona. L’adulatore è servile, ma spesso solo perché si è infatuato. Come Emilio Fede».
Alemanno e Rauti, partiti da posizioni simili, sono ora su posizioni opposte. Chi è il voltagabbana?
«Nessuno dei due. Né mio padre né mio marito hanno mai tradito qualcuno, ma seguito percorsi diversi e coerenti».
Il Msi faceva il tifo per Di Pietro e per Mani Pulite. Adesso An parla di giustizialismo. Questo è voltare gabbana?
«Di Pietro giudice ci ha fatto sognare. Il problema è che poi ha deciso di fare politica. Ma le critiche alla magistratura io non le condivido minimamente».
Gioco della torre. Feltri o Belpietro?
«Salvo Feltri, è bello, è affascinante».
D’Alema o Veltroni?
«Butto Veltroni: è un rappresentante della sinistra filoamericana e liberal».
Cofferati o Bertinotti?
«Butto Cofferati perché non sa ancora se è carne o se è pesce».
Alessandra Mussolini o Daniela Santanchè?
«Togliamo questa domanda».
No.
«E allora le butto tutte e due. Alessandra Mussolini quando uscì da An la prima volta venne a un congresso della Fiamma Tricolore e disse: “Scusate il ritardo”. Dopo venti giorni era già tornata in An. Adesso ne è uscita di nuovo ed è entrata nella Fiamma».
E la Santanché?
«Mah… È una persona che ha scoperto la politica tardi. Magari dovrebbe proporsi con uno stile diverso. È una brava parlamentare ma non rappresenta il mondo femminile della destra».
La Russa o Gasparri?
«Butto La Russa, per quel suo vizio di guardare troppo le donne».
Le piace Berlusconi?
«Ammiro la sua capacità di ascesa sociale e politica. E la sua abilità di comunicazione. Ma non ho contribuito al suo successo politico».
Berlusconi ha reso visibile la destra.
«Me lo ha detto anche Pirkko Peltonen in una intervista sulle “nuove protagoniste della politica italiana”».
E lei che cosa ha risposto?
«Allora, nel ’95, risposi che è la destra che ha reso visibile Berlusconi. Quando noi facevamo politica in condizioni di emarginazione, lui faceva i suoi affari. E quando ha deciso di scendere in politica ha raccolto i frutti di chi aveva lottato per tanti anni».

[Fonte: interviste.sabellifioretti.it]

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