Percorso:

Mozione – Atto di Sindacato Ispettivo n. 1-00180 – Previdenza complementare

Atto n. 1-00180

Pubblicato il 23 ottobre 2019, nella seduta n. 158

RAUTI , CIRIANI , CALANDRINI , LA PIETRA , MAFFONI , RUSPANDINI , TOTARO , ZAFFINI , URSO , IANNONE

Il Senato,

premesso che:

la previdenza complementare è il secondo pilastro del sistema pensionistico, il cui scopo è quello di erogare più elevati livelli di copertura previdenziale rispetto a quelli offerti dal sistema pubblico, a fronte delle varie riforme previdenziali che hanno abbattuto, negli anni, i livelli delle prestazioni pubbliche;

ciò che rende le forme di previdenza complementare diverse da altri strumenti finanziari tradizionali è l’esistenza di una serie di norme di controllo, criteri e limiti di investimenti, specifici e stringenti, volti al raggiungimento dello scopo previdenziale cui essi tendono e che hanno impedito che le crisi finanziarie degli ultimi decenni distruggessero il risparmio pensionistico;

nonostante, a partire dagli anni ’90 e fino al 2001, anche la pubblica amministrazione sia stata caratterizzata dai processi di riforma previdenziale, con conseguenti abbattimenti del livello delle prestazioni pensionistiche, le forme di previdenza complementare, ed in particolare i fondi negoziali, per i dipendenti pubblici, hanno stentato ad affermarsi, rispetto al settore privato;

nel settore pubblico questo è accaduto sia per la scarsa conoscenza e comprensione delle problematiche previdenziali, nonché per problemi legati al reperimento delle risorse per il loro avvio, sia per l’esistenza di un ostacolo di ordine economico-giuridico e cioè l’assenza, nel settore pubblico, della principale fonte di finanziamento presente, invece, nel settore privato: il TFR (trattamento di fine rapporto);

l’attuale perdurante situazione di crisi finanziaria ha poi acuito la diffidenza verso qualunque forma di investimento finanziario;

esiste, inoltre, un problema di disparità di trattamento tra dipendenti pubblici: a differenza dei dipendenti pubblici contrattualizzati (Stato, Ministeri, Sanità, enti locali), per i quali sono state trovate risorse e sono stati fatti partire i fondi pensione Espero (Scuola) e Perseo-Sirio (Stato, Parastato, Sanità ed enti locali), per le categorie dei magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, Forze armate e di polizia, docenti e ricercatori universitari, personale appartenente alle carriere prefettizie e diplomatiche, personale delle Camere del Parlamento e della segreteria della Presidenza della Repubblica, i fondi pensione non sono partiti, a fronte di una significativa riduzione delle pensioni pubbliche, soprattutto per le classi più giovani (contributivi dal 1996);

il perpetuarsi di tale situazione pone i dipendenti pubblici non contrattualizzati in una condizione di disparità anche sotto il profilo costituzionale e, in particolare, dell’articolo 38, ai sensi del quale «I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria»;

la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 393 del 28 luglio 2000, ha sposato la tesi della «funzionalizzazione» della previdenza complementare a quella pubblica, nel senso che essa si sostituisce in parte ai compiti di quest’ultima, non in grado di garantire nel tempo adeguati livelli di copertura previdenziale;

proprio la previdenza complementare costituisce, nel comparto sicurezza e difesa, uno dei più importanti capitoli ancora aperti e non risolti: il personale delle forze armate fa parte di quei dipendenti pubblici, che non sono stati coinvolti dal processo di privatizzazione del pubblico impiego e i cui rapporti di lavoro, sulla scorta del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, restano disciplinati dai rispettivi ordinamenti;

per quanto concerne, infatti, il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, l’articolo 26, comma 20, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha riservato espressamente alle procedure di negoziazione e concertazione previste dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, «la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’articolo 2, commi da 5 a 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l’istituzione di forme pensionistiche complementari»;

tra i motivi che hanno reso difficoltosa la partenza dei fondi per i militari ne sono stati addotti prevalentemente due: l’assenza di risorse da destinare a tal fine nelle varie leggi di bilancio e il fatto che la citata legge n. 448 del 1998 richiede, di fatto, il preliminare passaggio dal TFS al TFR e tale passaggio non è conveniente per i militari;

per ovviare a tale situazione molti militari hanno cercato di coprire da soli il divario previdenziale, spesso sottoscrivendo però prodotti spacciati come fondi pensione che non sono tali o comunque non utili ai fini pensionistici o, altre volte, prodotti molto costosi che ne eroderanno i rendimenti. In altri casi potrebbero aver sottoscritto prodotti offerti da intermediari finanziari senza un’adeguata informativa collettiva;

per il personale delle forze di Polizia e delle forze armate l’apertura ufficiale delle procedure di concertazione, di cui al citato articolo 26 per la previsione di fondi pensione complementare è intercorsa nel 1999. Nello specifico, il decreto del Presidente della Repubblica 16 marzo 1999, n. 254 di «Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999», nel Titolo II, riguardante il personale non dirigente delle Forze di Polizia ad ordinamento militare (Arma dei Carabinieri e corpo della Guardia di finanza), all’articolo 67, comma 1, stabilisce che le procedure di negoziazione e di concertazione attivate provvedono a definire:

a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle forze armate e delle forze di Polizia ad ordinamento civile e militare, ai sensi del decreto legislativo n. 124 del 1993, della legge n. 335 del 1995, della legge n. 449 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni, anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego;

b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;

c) le modalità di trasformazione della buonuscita in TFR, le voci retributive utili per gli accantonamenti del TFR, nonché la quota di TFR da destinare a previdenza complementare. Lo stesso articolo 67, al comma 2, specifica che destinatario dei fondi pensione, di cui al comma 1, è il personale che liberamente aderisce ai fondi stessi;

per il personale delle Forze armate e di polizia, che attualmente rimane in regime di TFS, l’interpretazione del combinato disposto delle norme citate conduce a ritenere che il vincolo per consentire l’attivazione di forme contrattuali sussista solo ove si voglia utilizzare tale fonte di finanziamento (il TFR) e quindi ci si trovi di fronte a fondi di natura negoziale, cioè ci si trovi innanzi a fondi istituiti in base a norme previste nei rispettivi ordinamenti e che quindi, scaturiscono da procedure di concertazione; tale vincolo, invece, non dovrebbe sussistere nel caso in cui si voglia attivare una forma di previdenza complementare finanziata solo da contribuzioni diverse dal TFR, cioè nel caso di fondi istituiti sulla base di accordi tra lavoratori promossi da loro associazioni, che non coinvolgono il datore di lavoro. In tal caso, infatti, tali fondi, pur essendo chiusi, non avrebbero carattere negoziale;

alla luce del delineato quadro normativo, il fulcro della questione risiede nell’individuazione dei soggetti titolati all’avvio delle procedure citate, nonché delle posizioni assunte dal giudice amministrativo sul punto;

in virtù del fatto che il personale in questione rientra tra quello non contrattualizzato, parte della dottrina e fondante giurisprudenza hanno ritenuto un obbligo in capo alla pubblica amministrazione procedere per disciplinare in base ai rispettivi ordinamenti la previdenza complementare ed il TFR (Tar Lazio, Sez. I-bis, Sent. n. 9186/2011 del 23 novembre 2011);

con le sentenze 21 marzo 2013, n. 2907/2013 e n. 2908/2013, pronunciate dalla sezione I-bis del TAR Lazio, i ricorrenti (militari delle forze armate, inclusa l’Arma dei Carabinieri) hanno ottenuto il riconoscimento dell’obbligo per le amministrazioni resistenti di concludere, mediante l’emanazione di un provvedimento espresso, il procedimento amministrativo concernente l’introduzione della previdenza complementare;

dallo stesso TAR Lazio è stato poi nominato un commissario ad acta, al quale è stato riconosciuto l’onere, ritenuto indispensabile, «di attivare i procedimenti negoziali interessando allo scopo le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative ed i Consigli Centrali di Rappresentanza, senza tralasciare di diffidare il Ministro della Pubblica Amministrazione e la Semplificazione ad avviare le procedure di concertazione/contrattazione per l’intero Comparto Difesa e Sicurezza»;

nonostante ciò, a distanza di ben ventuno anni dall’entrata in vigore della legge n. 448 del 1998, non sono state ancora avviate le procedure di negoziazione e concertazione per “la definizione del trattamento di fine rapporto e l’avvio della previdenza complementare”, contrariamente a quanto già realizzato per altri settori della Pubblica Amministrazione;

non è più procrastinabile un’attivazione della previdenza complementare nel comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, volta ad accrescere gli assegni pensionistici nei confronti dei lavoratori, le cui prestazioni verranno calcolate con il sistema contributivo e che quindi percepiranno meno rispetto agli altri lavoratori del pubblico impiego,

impegna il Governo:

1) a stanziare nella prossima legge di bilancio per il 2020 le necessarie risorse da destinare all’avvio della previdenza complementare negoziale per il Comparto difesa e sicurezza ai sensi della legge n. 448 del 1998, così da equiparare il personale militare al resto dei dipendenti pubblici;

2) a prevedere, nelle more dell’individuazione di risorse pubbliche, la creazione di un fondo collettivo non negoziale, evitando la dispersione dei singoli verso forme di previdenza diversificate e con scopo di lucro;

3) ad assumere iniziative di competenza, anche di carattere normativo, in ottemperanza alle disposizioni di cui all’articolo 24, comma 28, della legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cosiddetta legge Fornero), finalizzate alla previsione di adeguate forme di decontribuzione parziale dell’aliquota contributiva obbligatoria agli enti previdenziali da devolvere verso schemi previdenziali integrativi, in particolare a favore delle giovani generazioni;

4) a prevedere meccanismi di adesione contrattuale all’interno di singoli contratti di lavoro. Come chiarito da Covip, infatti, l’adesione contrattuale deriva da una previsione inserita nel CCNL, che introduce a favore di tutti i lavoratori dipendenti del settore di riferimento un contributo mensile, a carico del solo datore di lavoro, da versare al Fondo di previdenza complementare individuato nel contratto stesso;

5) a prevedere, nelle more dell’attivazione della previdenza complementare, anche per il comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, benefici all’atto della cessazione del servizio;

6) a prevedere l’abolizione del meccanismo di opzione, ossia la possibilità di aderire a fondi pensione negoziali senza dover trasformare il proprio TFS in TFR.

[Fonte: www.senato.it]

Questa voce è stata pubblicata in Mozioni prima firmataria.