Percorso:

Mozione – Atto di Sindacato Ispettivo n° 1-00343 – Piano pandemico

Atto n. 1-00343

Pubblicato il 20 aprile 2021, nella seduta n. 317
Esame concluso nella seduta n. 321 dell’Assemblea (28/04/2021)

CRUCIOLI , GRANATO , ANGRISANI , CORRADO , ABATE , MORRA , LEZZI , MININNO , ORTIS , PARAGONE , MARTELLI , GIARRUSSO , BALBONI , BARBARO , CALANDRINI , CIRIANI , DE BERTOLDI , DE CARLO , DRAGO , FAZZOLARI , GARNERO SANTANCHE’ , IANNONE , LA PIETRA , LA RUSSA , MAFFONI , NASTRI , PETRENGA , RAUTI , RUSPANDINI , TOTARO , URSO , ZAFFINI , DI MICCO

Il Senato,

premesso che:

il Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 ha deliberato la dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili;

scopo della deliberazione era la realizzazione di una compiuta azione di previsione e prevenzione, volta a fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività. In tale contesto l’attuazione di un piano pandemico adeguato e aggiornato sarebbe stata imprescindibile;

da quanto appare emergere dall’indagine della Procura di Bergamo sulla gestione della pandemia, fino al 25 gennaio 2021 in Italia sarebbe rimasto in vigore il piano pandemico approvato dalla Conferenza Stato-Regioni nel 2006; il piano, quindi, non sarebbe stato aggiornato con le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità del 2013, del 2017 e del 2018, con quelle fornite dalla Commissione europea del 2005 e del 2009, e con le decisioni del parlamento europeo del 2013;

pur in presenza delle gravi lacune descritte, nei questionari di autovalutazione dell’Italia inviati periodicamente all’Organizzazione mondiale della sanità e alla UE, il nostro Paese si autocertificava come ben preparato alla gestione di un’emergenza pandemica;

nonostante l’assenza di un piano dettagliato che prevedesse, tra l’altro, scorte adeguate, quantità di mascherine necessarie e posti letto ospedalieri da liberare, nel verbale della prima riunione del comitato tecnico scientifico veniva attestato che “i provvedimenti messi in atto dal governo italiano rappresentano, nelle condizioni attuali, un argine adeguato per il nostro paese”;

nell’ambito dell’inchiesta bergamasca, nell’ambito della quale sono stati ascoltati anche il Ministro della salute e il segretario generale del Ministero, sta emergendo una gestione talmente caotica ed omertosa della pandemia da far affermare al procuratore della Repubblica Antonio Chiappani che “è come se il Ministero della salute fosse un insieme di particelle non comunicanti tra di loro, senza una regia, come se le domande andassero fatte sempre ad altri”; la procuratrice aggiunta Maria Cristina Rota ha, invece, dato conto della reticenza riscontrata in ambito ministeriale affermando quanto segue: “La difficoltà riscontrata nel corso delle attività è che spesso, alle domande su chi avesse dovuto fare qualcosa o anche solo trasmettere un documento, noi spesso ci siamo sentiti rispondere ‘noi’, ‘il ministero’. Abbiamo trovato grandissima resistenza in alcuni casi, quasi come se, ci fosse il timore di indicare un nominativo (…) direi che è stato un atteggiamento reticente”;

l’inchiesta sta facendo inoltre emergere l’ingerenza del Ministero nell’occultamento di report scientifici per interesse politico e la correlativa assenza di autonomia ed autorevolezza da parte dei vertici delle più importanti organizzazioni medico-scientifiche che dovrebbero fornire dati e informazioni a prescindere dal fatto che ciò rafforzi o danneggi il governo in carica;

in particolare, da quanto emerge dalla pubblicazione di alcune intercettazioni tra il vice presidente dell’Organizzazione mondiale della sanità, già direttore generale dell’ufficio di Prevenzione del Ministero della salute, Ranieri Guerra, e Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, nonché coordinatore del CTS, il report dei ricercatori dell’ufficio regionale dell’OMS con sede a Venezia, coordinati dal professor Zambon, sarebbe stato occultato per non far emergere le responsabilità del Ministero nella gestione della prima fase della pandemia, con il coinvolgimento diretto del capo di gabinetto del ministero Speranza, dottor Goffredo Zaccardi;

il ministro Speranza, sentito dalla Procura, ha dichiarato che tale report “è un documento del tutto indifferente per lo Stato italiano”, mentre, da quanto emergerebbe dalle menzionate intercettazioni il capo di gabinetto del Ministro si sarebbe direttamente ingerito per far modificare o occultare tale rapporto; ciò emerge, in particolare, dalle seguenti conversazioni tra Ranieri Guerra e Franco Locatelli: “Vedo Zaccardi alle 19. Vuoi che inizi a parlargli dell’ipotesi di revisione del rapporto dei somarelli di Venezia? Poi ci mettiamo d’accordo sul come?”; risposta: “certo, va bene”; nella conversazione successiva viene riportato l’esito dell’incontro, dandosi conto del fatto che il capo di gabinetto Zaccardi avrebbe detto “di vedere se riusciamo a farlo cadere nel nulla. Se entro lunedì nessuno ne parla vuole farlo morire. Altrimenti lo riprendiamo assieme. Sic”;

i vertici dei due predetti organismi scientifici chiamano i ricercatori “gli scemi di Venezia”, i “somarelli di Venezia” e si rassicurano l’un l’altro di essersi profusi in scuse profonde con il Ministro per un report che, dicendo la verità, avrebbe gettato discredito sul suo operato; tale report non viene criticato nel merito, ma per la sua inopportunità politica;

sotto altro profilo, non è stata colta l’occasione, allo scoppio dell’emergenza pandemica, per dare impulso alla risoluzione o la modifica di annosi e noti problemi come le mancate attuazioni per il conseguimento degli obiettivi sottesi a leggi dello Stato fondamentali per un’equilibrata governance del nostro sistema sanitario. A solo titolo di esempio, la riforma “Balduzzi” in tema di riorganizzazione ospedaliera, di medicina territoriale e di assistenza domiciliare, preceduta da una corretta e prevalente programmazione sanitaria in tema, ad esempio, di assunzioni delle diverse specializzazioni in medicina e di altre figure sanitarie, come gli infermieri del territorio o gli psicologi di base, preceduti infine da un corretto censimento di dati essenziali per tale scopo. Oppure l’incompiuta attuazione della legge n. 328 del 2000 per l’integrazione sociosanitaria dei servizi essenziali di assistenza alle categorie vulnerabili col fine di evitare le riacutizzazioni di patologie croniche la cui cura venisse trascurata. Non vi è traccia di significative attività per sostenere le sfide aperte dalla pandemia oltre un anno fa;

sotto un profilo più specifico, appare inconfutabile che, nei mesi successivi al periodo di piena emergenza, marzo-giugno 2020, il Ministero della salute, unitamente agli organi preposti a livello nazionale, non si sia preoccupato di fornire un “gold standard” per le cure domiciliari così da evitare l’ospedalizzazione necessaria dei pazienti con COVID-19;

nei mesi successivi allo scoppio dell’emergenza il Ministero avrebbe dovuto prevedere dei protocolli uniformi per i dipartimenti di prevenzione territoriale e per i medici di famiglia e non avrebbe dovuto delegare, in maniera esclusiva, il controllo e la cura dei positivi non ancora ospedalizzati alle USCA, le “unità speciali di unità assistenziali” previste dal decreto-legge “cura Italia” del 17 marzo 2020, unità la cui utilità dipendeva soprattutto dalle politiche regionali e per cui non è stato previsto alcun controllo di gestione concomitante per un monitoraggio dell’efficacia delle azioni intraprese, per fronteggiare l’emergenza pandemica;

le USCA sono spesso state usate in maniera impropria, come per il funzionamento dei “drive-in” per il monitoraggio dei contagi, tramite la somministrazione dei tamponi alla popolazione locale, e, solo in pochissimi casi, in unità funzionali per le visite e la cura a domicilio dei casi positivi con presenza di sintomi considerati sufficienti allo svolgersi di tali visite domiciliari. A fine ottobre 2020, l’interpellanza urgente alla Camera dei deputati 2-00978 rivelava ciò che tutti sapevano ma che alcun organo ufficiale voleva ammettere, ovvero che erano state attivate solo la metà delle USCA previste dalla legge e che, ancor più grave, il Ministero della salute non era in grado di fornire i numeri delle stesse unità attive, suddivisi per ogni regione italiana, dopo 7 mesi dalla loro istituzione. Ancora oggi non risultano ulteriori dati pubblicati dal sito del Ministero in merito a questa vergognosa inefficienza;

ulteriore estremo ritardo da parte del Ministero, e del comitato tecnico scientifico che si è occupato di rilasciare un parere solo il 4 febbraio 2021, ha riguardato le terapie domiciliari per la somministrazione degli anticorpi monoclonali che avrebbero potuto efficacemente tentare di evitare l’aggravamento di chi si trovava ai primi stadi di sintomi (lievi o moderati) in soggetti che, per età, comorbidità e fragilità, erano considerati a forte rischio di aggravamento;

nel mese di marzo 2021 il TAR del Lazio, all’esito della richiesta cautelare nell’ambito del ricorso presentato contro l’AIFA e il Ministero della salute, ha sospeso la disposizione del dicembre 2020 con cui veniva prescritto di non trattare i malati COVID a domicilio con i medicinali meglio ritenuti dal medico curante, bensì esclusivamente con tachipirina e “vigile attesa”; ancora ad oggi l’Italia è priva di un protocollo con valide linee guida per i medici territoriali, tanto che il Senato è dovuto intervenire con un ordine del giorno per impegnare il Governo ad intervenire in tal senso;

sotto ulteriore profilo, lo sviluppo della campagna vaccinale, in colpevole cooperazione con le Regioni, ha dimostrato la fallacia del medesimo piano, con dati annunciati e continuamente rivisti, poiché, a parte medici e personale sanitario gravitante nelle corsie ospedaliere e nelle RSA, doveva essere data priorità a livello nazionale alla tutela degli ultrasettantenni così da far scendere rapidamente il numero di ricoveri e decessi che, allo stato, sono significativamente superiori alle medie degli altri Paesi europei;

infine, da quando è stato dichiarato lo stato di emergenza, sono stati realizzati alcuni strumenti e resi pubblici dati e flussi di informazioni. Nonostante ciò, occorre ammettere che questi sforzi istituzionali in più di un’occasione non hanno assolutamente influenzato positivamente la percezione da parte della società civile sui progressi compiuti dal Governo in nome di una gestione trasparente delle azioni susseguenti. La campagna “datibenecomune”, che ha raccolto 50.192 firmatari e 201 organizzazioni promotrici, ha provato a chiedere fin dal 6 novembre 2020 al Governo i dati “grezzi” anonimizzati, pubblici, disaggregati, continuamente aggiornati, ben documentati e facilmente accessibili alla comunità scientifica, a ricercatori, decisori, giornalisti e cittadini in merito ai contagi e alle morti causate dal COVID-19;

la trasparenza nella diffusione di dati rilevanti è stata e continua ad essere totalmente inadeguata e sottostimata;

sotto il profilo strategico-epidemiologico, il professor Richard Horton già nel volume del 26 settembre 2020 della prestigiosa rivista “The Lancet” (Lancet 396:874,2020) suggeriva, con autorevolezza, ai Governi nazionali e ai loro organi tecnico-scientifici un punto di vista più coerente per il contrasto del quadro che avrebbe continuato a provocare, ad ondate multimodali, la cifra di 3 milioni di decessi con diagnosi di COVID-19 a livello globale, di cui 116.000 solo in Italia;

ad avviso del noto ricercatore, il “COVID-19” non è considerata “sensu stricto” una pandemia, bensì una “sindemia”, ovvero l’interazione di una malattia infettiva altamente contagiosa (culminante in una bassa percentuale di casi con una sindrome respiratoria acuta severa), legata alla presenza di una serie di condizioni patologiche croniche pregresse non trasmissibili, cosiddette NCDs (non communicable disease), quali ad esempio diabete, ipertensione, obesità, malattie cardiovascolari e polmonari croniche e malattie oncologiche, decisamente prevalenti nella popolazione più anziana. La sovrapposizione dell’infezione virale con il decorso di queste condizioni morbose, inserite in un panorama ben noto di gruppi di popolazione ad elevata disparità socio-economica, ha esacerbato il decorso stesso di ogni singola condizione patologica innescando criticità cliniche spesso fatali. Da qui il gran numero di decessi, ma non per effetto diretto ed esclusivo del COVID-19, i cui dati risultano essere stati confusi in quanto grezzamente sovrapposti, indistinguibili dal punto di vista comparativo-epidemiologico, rispetto alle singole patologie già presenti nella popolazione, col fine di differenziarli dai decessi attesi, rispetto a coloro che non avessero contratto il virus. In tali condizioni di “opacità epidemiologica”, più volte denunciata dalla fondazione GIMBE nel corso di questi ultimi 13 mesi, ogni tentativo di elaborare un piano ausiliario con lo scopo di circoscrivere le occasioni di potenziali contagi per i diversi gruppi con comorbilità e vulnerabilità diffuse è rimasto escluso dalla rosa delle ipotesi perseguibili, in quanto i dati dei contagi con sintomi e delle morti correlate al COVID-19 non sono mai stati disaggregati e ordinati per patologie croniche concomitanti. Come diceva già a settembre 2020 R. Horton: “La natura sindemica della minaccia che affrontiamo significa che è necessario un approccio maggiormente diversificato se vogliamo proteggere la salute delle nostre comunità”. La pubblicazione di più dati avrebbe avuto l’effetto di attivare un maggiore coinvolgimento della comunità scientifica al dibattito pubblico e al perseguimento del bene comune;

osservato che:

le circostanze riportate pongono seri dubbi sull’imparzialità del Ministro della salute rispetto all’operato delle istituzioni scientifiche poste sotto il suo coordinamento e, correlativamente, sulla credibilità e terzietà di tali istituzioni;

la lottizzazione dei ruoli apicali in tali organizzazioni compromette in modo inequivocabile la necessaria terzietà tra politica e mondo scientifico-sanitario;

dal punto di vista politico, l’inadeguatezza degli uffici di diretta collaborazione del Ministro e, susseguentemente, delle direzioni generali dello stesso Ministero della salute, ha permesso una totale inazione nel monitoraggio digitalizzato delle attività dei diversi livelli di prevenzione per la cura delle malattie in carico presso il servizio sanitario nazionale, scaricando surrettiziamente ogni responsabilità solo ed esclusivamente sulle autonomie locali, senza significative comunicazioni o prescrizioni organizzative per la risoluzione di annose disfunzionalità ben note all’interno dei diversi livelli di governance sanitaria, dimostrando un arroccamento autoreferenziale degli stessi esperti specialisti, chiamati a suggerire in maniera corale le stesse ipotesi di contenimento della diffusione del virus, assente ogni ipotesi di strategia diversificata, bensì centrata su un’attesa messianica del vaccino, come risolutore di ogni danno, anche sociale ed economico, della “sindemia”;

la trasparenza va intesa come prerequisito della fiducia: fornire ai cittadini ed analisti strumenti efficienti per l’accesso ai dati non è solo fornire loro un mezzo di controllo della cosa pubblica, ma è anche promozione del cambiamento culturale e stimolo alla partecipazione sociale;

l’assenza di una pubblicazione trasparente di dati relativi ai trasferimenti di valore che rivelano i legami d’interesse da parte di “big pharma” negli atti d’indirizzo pubblici e privati, in tema di convenzione ed accordi, di ricerca e sviluppo e di marketing sanitario, deve essere uno dei punti prioritari dell’agenda digitale di questo Paese, che non deve essere rimandato, né trascurato, soprattutto per i risvolti diretti e indiretti in tema di sanità pubblica;

l’assenza di linee guida per le cure a domicilio e di rafforzamento della medicina territoriale sono stati causa dell’intasamento degli ospedali e dell’assenza di diffusione di cure precoci, idonee a ridurre la letalità del virus;

la mancanza di coordinamento con le Regioni, che procedono in ordine sparso, compromette seriamente la campagna vaccinale in atto, oltre ad impedire diseguaglianze nei livelli essenziali di assistenza; in Calabria, ad esempio, l’insufficiente risposta della sanità pubblica ha risentito fortemente della mancata applicazione delle disposizioni contenute nel “decreto Calabria”, con il commissario straordinario costretto a fronteggiare una situazione drammatica senza strumenti adeguati, così come in Molise non è stata debitamente tenuta in considerazione la situazione di paralisi connessa al pluridecennale commissariamento, situazione di cui il ministro Speranza ha sempre saputo per tempo quale fosse la gravità, sia da parte dei commissari, sia da parte del tavolo tecnico ed anche a mezzo degli atti di sindacato ispettivo presentati dai parlamentari molisani; nonostante ciò ha inviato nuovi commissari esterni con enorme ritardo, senza fare null’altro per mesi e mesi;

considerato infine che:

appare evidente la catena di inadempienze, opacità, omissioni, incomprensibili inazioni, in continuità con i livelli apicali amministrativi del Ministero della salute;

il ministro Speranza era certamente informato sul mancato aggiornamento del piano pandemico, non poteva non conoscere e approvare l’operato del proprio capo di gabinetto in relazione al tentativo di occultamento del report dei ricercatori dell’ufficio territoriale OMS di Venezia e la dichiarazione rilasciata alla Procura di Bergamo circa l’irrilevanza per l’Italia di tale report desta fondati dubbi di veridicità;

i suddetti comportamenti appaiono incompatibili con il ruolo ricoperto;

visto l’articolo 94 della Costituzione;

visto l’articolo 161 del Regolamento del Senato della Repubblica,

esprime la propria sfiducia al Ministro della salute, Roberto Speranza, e lo impegna a rassegnare immediatamente le proprie dimissioni.

[Fonte: www.senato.it]

Questa voce è stata pubblicata in Mozioni.