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Secolo d’Italia – La leadership femminile possibile

Nel libro del Ministro Mara Carfagna, “Stelle a destra” (Aliberti Editore) sfilano otto personaggi femminili che hanno raggiunto incarichi politici di primo piano: Margaret Thatcher, la lady di ferro, Primo Ministro del Regno Unito (dal 1979 al 1990); Yulia Tymoshenko, protagonista della rivoluzione arancione del 2004 e poi Premier dell’Ucraina; Angela Merkel, primo Cancelliere donna della Germania (dal 2005);Ayaah Hirsi Ali, scrittrice ed ex deputata olandese, di origine somala, nota soprattutto per il suo impegno in favore dei diritti umani; Rachida Dati, Ministro di Giustizia del governo Sarkozy; Condoleezza Rice, 66° Segretario di Stato degli USA, la prima afroamericana a ricoprire questo incarico; Tzipi Livni, già Ministro Esteri e nuova leader del partito centrista Kadima; Sarah Palin, governatore dell’Alaska, candidata come vice di John McCain, alle presidenziali americane.

Si tratta di una “galleria” di ritratti di otto donne d’eccezione che hanno ricoperto o ricoprono posizioni di assoluto rilievo nella storia politica dei loro Paesi e nello scenario  internazionale. Esempi concreti, dunque, di leadership femminile e di affermazione politica , su un versante riconducibile ad una cultura conservatrice e liberale; che sottolinea come  alla sinistra non sia più attribuibile la cosiddetta “egemonia del e sul  mondo femminile” e che, esistono identità femminili diverse e non una tipologia (antropologia) unica della donna di destra,  né un pensiero unico, ma un “femminile plurale” in cui il denominatore comune c’è ma semmai è rintracciabile  in un archetipo che prevale sui modelli e nella difesa dell’identità.

La recente  presentazione  – a Roma – del volume e’ stata davvero l’occasione per tornare a discutere del rapporto donne e politica,  come assunto generale e di donne e politica italiana, nonchè delle differenze fra sinistra e destra in termini di rappresentanza femminile. Anche per sfatare un vecchio luogo comune che vorrebbe , tra i “mali di destra” quello di  una cultura conservatrice che consente solo a pochissime donne di infrangere la barriera invisibile del “soffitto di cristallo” e di occupare posizioni apicali e di vertice; in contrapposizione ad una cultura progressista che farebbe affermare le moltitudine di donne. Retorica, smentita dai dati e dai fatti!

Ma è sul  nodo “donne e politica” che, prendendo spunto dal libro, vorremmo fare qualche riflessione, per contribuire a mantenere aperto il dibattito e, magari, per rilanciarne l’attualità, anche in vista delle prossime competizioni elettorali europee.

Sappiamo tutti che nel  1945, il decreto luogotenenziale n.23 riconosceva alle donne il diritto di voto e di eleggibilità; il 2 giugno 1946 il voto femminile entrava in vigore e le donne italiane votavano, per la prima volta, per l’Assemblea costituente e per il Referendum istituzionale.

Sorvoliamo, in questa sede, sulle percentuali femminili e sull’andamento della presenza femminile nel Parlamento italiano  che – secondo l’ISTAT – dal 1946 al 2006 si descriverebbe con  una curva ad “U” (per chi volesse approfondire i dati, mi permetto di citarmi con i volumi “Istituzioni politiche e rappresentanza femminile. Il caso italiano” e “La presenza delle donne nelle Istituzioni politiche:un deficit di democrazia”) , ed un certo miglioramento  nelle ultime elezioni politiche.

Ricordiamo la modifica dell’Art. 51 della Costituzione (legge n.1/2003) che con l’art.1 ha aggiunto: “…A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità fra donne e uomini” e, che ha favorito l’introduzione di almeno un 30% di genere rappresentato nella composizione delle liste elettorali (legge n.90\2004) per le ultime elezioni europee. E non entriamo  neanche – per quanto molto attratte – nella vexata questione delle cosiddette “quote rosa” e delle sue alterne vicende parlamentari ma, ci limitiamo a dire che il dibattito politico e istituzionale su questo meccanismo ha avuto almeno il merito di far discutere sulla presenza delle donne in politica e, forse,  di aver posto l’accento più sul concetto del riequilibrio della rappresentanza che – finalmente ! –  sulle questioni di genere, come categoria da favorire con trattamento speciale e premiale.

E’ evidente  che il ritardo storico,  nell’ottenimento del diritto di voto femminile, continua nel nostro Paese, a produrre i suoi effetti anche nella distanza; insieme ad una “corresponsabilità” dei Partiti e dei loro Statuti e Regolamenti interni, ma tutto questo non basta a spiegare il rapporto controverso e “la distanza” tra donne e politica. E non mi convince neppure chi avanza la tesi di una presunta vocazionale estraneità delle donne alla politica, al potere ed alla cosiddetta sfera pubblica, immerse nella sfera privata ed autoescluse dalla politica. Soprattutto se penso quanto le donne  si impegnino con slancio nelle forme associative e nelle questioni sociali e, ancora soprattutto, se riteniamo che  la partecipazione politica sia un fenomeno multidimensionale che si esprime a diversi livelli di partecipazione, istituzionalizzata e non, visibile ed invisibile.

Ma di fatto sta che, le donne costituiscono più della metà della popolazione italiana  (il 52%) e la maggioranza del corpo elettorale attivo, eppure, nelle Istituzioni nazionali le donne sono una minoranza numerica rispetto agli uomini, e soprattutto,  sono poche ! Non si arriva neanche al 20%, quindi un dato lontanissimo dalla cosiddetta  rappresentanza paritaria (il 50% di elette) e lontano, anche, rispetto alla soglia del 30%  – stabilita (nel 1990) dalla Commissione ONU sulla Condizione femminile – considerata come quota minima ai livelli nazionali affinché le donne possano  avere un peso a livello decisionale.

Inoltre la questione è “di rango costituzionale” perché la citata modifica dell’Art.51 ha costituito un’innovazione di straordinario rilievo che introduce nelle Istituzioni la promozione e la realizzazione di condizioni di pari opportunità fra uomini e donne con “appositi provvedimenti”. La disciplina costituzionale consente, in deroga al principio generale di eguaglianza formale stabilito dall’art. 3, primo comma, della Costituzione italiana, che le donne siano destinatarie di “azioni positive”, che cioè possano essere previste discipline di favore per le donne, anche in via legislativa, al fine di ricondurre in equilibrio una situazione che le vede fortemente penalizzate sul piano della rappresentanza parlamentare e politica in generale.

La scarsa presenza delle donne nei luoghi della decisione politica ed economica costringe a riflettere sulla qualità della democrazia moderna;  una riflessione profonda che va oltre la generica “protesta femminile” e pone la questione sul piano del ragionamento intorno alla compiutezza del  sistema politico ed allo scarto evidente tra democrazia sostanziale e democrazia descrittiva e normativa, insomma tra una democrazia  realmente paritaria e non deficitaria. Inoltre, la sottorappresentanza femminile introduce – o dovrebbe – anche una domanda , sul fronte interno alle donne, relativo ai passaggi necessari per pieno protagonismo politico; unitamente alla domanda di fondo che resta  quella relativa alla natura della rappresentanza, alla  sua qualità attuale ed ai sistemi di selezione della rappresentanza. Nella convinzione, personale, che  più donne nelle Istituzioni facciano bene alla politica e siano garanzia di “buon governo”.

Isabella Rauti

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