Percorso:

fareitaliamag.it – Come le donne africane, energia in cammino verso nuovi scopi

Intervista a Isabella Rauti
di Rosalinda Cappello

Alcuni giorni fa alla Festa del cinema di Roma, il documentario African Women ha ricevuto il premio speciale del Wwf per gli stili di vita sostenibili. Un ulteriore tassello al riconoscimento della “rivoluzione” compiuta dalle donne africane, dopo il conferimento del Nobel per la Pace alle liberiane Ellen Johnson Sireleaf e Leymah Gbowee – insieme con la yemenita Tawakkol Karman.

In Italia, Isabella Rauti è tra coloro che hanno sostenuto, a livello istituzionale e personale, prima la campagna “L’Africa cammina con i piedi delle donne” lanciata da Noppaw per l’attribuzione del Nobel alle africane e poi il patrocinio del Consiglio regionale del Lazio per il documentario diretto da Stefano Scialotti. Del resto, da anni la first lady della Capitale studia la condizione femminile ed è impegnata nelle istituzioni, nei centri studi e nell’associazionismo per l’affermazione delle pari opportunità femminili.

Come nasce il suo impegno per le donne africane?
Il mio impegno politico è per tutte le donne. Ma ho insegnato per due anni Storia e Istituzioni dei Paesi africani e ho avuto modo di approfondire alcuni aspetti, in particolare la condizione femminile. Ho anche fatto diversi viaggi in Africa e sostengo alcune Ong che operano prendendosi cura di donne e bambini e, soprattutto, occupandosi di microcredito, formazione e lavoro, educazione, istruzione e salute.

Ha, dunque, il polso della situazione femminile da quelle parti?
Non posso dire di avere il polso – i Paesi africani sono tanti, complessi e diversi e lo status delle donne cambia da un confine all’altro – piuttosto, sono un’osservatrice della condizione femminile e delle sue evoluzioni. Molto dipende dal tipo di Islam, moderato o estremista, presente nel Paese e anche dalla situazione socio-economica. Ho notato, però, che c’è un comune denominatore femminile, al di là delle differenze, e il documentario African Woman lo dimostra benissimo. Le donne africane sono caratterizzate da un’energia che forse noi, nel nord del mondo, abbiamo perso. Hanno una forte volontà di cambiamento e una determinazione contagiosa, che colpisce. Nelle gerarchie sociali africane le donne non occupano posizioni apicali, ma nella società si occupano di tutto: dal lavoro della terra, all’educazione dei figli e alla famiglia, dagli aspetti civili a quelli politici. Come dice lo slogan della campagna, “l’Africa cammina sulle gambe delle donne”.

Un po’ come fino a qualche tempo fa nella nostra società, soprattutto al Sud e nei luoghi rurali.
In tutte le società agricole, rurali e patriarcali e anche in quelle tribali, alle donne spetta l’offerta di un sistema di welfare e di una rete di protezione sociale e, raramente occupano posizioni di rilievo e di potere, politico ed economico. Non dimentichiamo però, ad esempio, che la Liberia ha un presidente donna e, ancora, che ci sono alcuni Parlamenti africani che hanno una percentuale di rappresentanza femminile superiore a quella del Parlamento italiano.

Quando African women si è aggiudicato il premio speciale, ha affermato che il ruolo delle donne africane è fondamentale nei processi di pace, sviluppo e democrazia. In che senso, visto che sono relegate spesso a posizioni non decisionali?
Anche la cosiddetta primavera araba ha dimostrato come le donne, insieme con i giovani e con il web, abbiano avuto un ruolo importantissimo nella lotta per la democrazia. Le donne del Nord africa si battono per la creazione di sistemi democratici che possono garantire le pari opportunità, la cittadinanza, la partecipazione e l’emancipazione. Penso, più in generale, che tutte le donne africane, tendenzialmente, non abbiano paura della modernità, anzi, che siano incuriosite, dalla tecnologia alla politica, dalla mentalità al costume. Paradossalmente, la componente femminile è conservatrice e dinamica, ha meno paura della modernità, rispetto a quella maschile, forse perché le donne in se stesse conciliano modernità e tradizione. Sono loro a tutelare le radici e il passato del proprio popolo, e lo fanno con lungimiranza e flessibilità, con un atteggiamento dialogico. Inoltre, sono portatrici di pace perché, assicurando la trasmissione della vita e occupandosi della crescita dei figli, guardano realmente al futuro e non è possibile immaginare alcun tipo di futuro in un contesto che non sia di pace e di democrazia. Così come è impossibile assicurare lo sviluppo in una società conflittuale. Il Nobel per la Pace a due donne africane e una yemenita, è il riconoscimento internazionale del loro ruolo sociale.

Dal suo osservatorio istituzionale, quale pensa sia il contributo delle donne africane presenti nel nostro Paese. Aiutano il processo integrativo?
L’elemento femminile dell’immigrazione è quello che tende a integrarsi maggiormente, come ha dimostrato anche la ricerca di Farefuturo, condotta da Valentina Cardinali. La donna tende naturalmente a integrarsi nel Paese in cui arriva, dialogando con il mondo che l’accoglie e lo fa anche per dare una prospettiva di radicamento ai figli che cresce. Certamente, non vale per tutte, ci sono anche comunità che rifiutano a priori il confronto con l’altro da sé e fanno leva proprio sull’elemento femminile per perpetuare questa chiusura, temendo di perdere, con la modificazione del ruolo della donna, l’identità personale e di gruppo.

E, così, dalla difesa della tradizione e dell’identità all’infibulazione, al chiudere le donne in casa, impedendo loro di “occidentalizzarsi” nei costumi e nella mentalità il passo è breve?
Può essere breve ma non è obbligato. Dobbiamo distinguere tra l’identità chiusa e l’identità aperta. La prima si rifiuta di avere di un dialogo, la seconda conserva se stessa, si tramanda, ma è dialogica. Si possono mantenere le proprie identità e tradizioni senza chiusure, rendendole dinamiche, confrontandosi con il diverso e l’altro da sé, nel rispetto reciproco. L’integrazione passa attraverso la volontà di apertura e di dialogo. Nelle comunità aperte, l’elemento femminile è statisticamente quello più dialogico e maggiormente disposto a integrarsi. Inoltre, dall’integrazione le donne possono ricavare vantaggi di pari opportunità mentre, ad esempio, perpetuare la pratica tradizionale delle mutilazioni genitali femminili – proibita nel nostro Paese – allontana dall’integrazione e dalla parità tra i generi.

Prima ha affermato che le donne africane hanno un’energia che noi abbiamo perso. Perché è accaduto?
Noi abbiamo alle spalle un lungo percorso di emancipazione e forse, per questo, corriamo il rischio di dare i diritti acquisiti per scontati. Le donne del Sud del mondo, invece, sono in cammino, hanno ancora molti diritti da rivendicare e da ottenere, e in questo cammino mettono un’energia e una determinazione che noi abbiamo smarrito, come – sembra – abbiamo perso la capacità di indignarci e di reagire. Non solo per la certezza dei diritti ma anche per la condizione edonistica e di benessere diffuso in cui abbiamo vissuto fino a ora. Dovremmo ritornare, infine, a stili di sobrietà e di essenzialità, anche a causa della crisi economica che stiamo attraversando. Il ritorno a stili di vita non consumistici, essenziali, sostenibili e sobri, farebbe bene a tutti, non solo alle donne.

Le donne da noi dovrebbero ritrovare la freschezza, il dinamismo di quelle africane, allora?
Di dinamismo ce n’è fin troppo, forse, talvolta anche nevrotico. Ci serve dinamicità con scopo. Non dovremmo, insomma, dare per scontati i diritti, anche quando si pensa che siano acquisiti, perché il loro esercizio è sempre a rischio dumping. Altrimenti non avremmo le condizioni negative di lavoro femminile che abbiamo, non avremmo la sottorappresentanza nella politica e nei luoghi della decisione economica. Abbiamo acquisito una parità normativa assoluta ma non possiamo dire lo stesso per quella sostanziale e sociale. Inoltre, tutti dovremmo impegnarci di più nella formazione e nell’educazione delle giovani generazioni, e in un senso più etico e solidale del vivere civile e sociale. Le donne africane sono in grado di comunicarci l’energia di un mondo in cammino per uno scopo e che ha obiettivi di progresso, pace e sviluppo. Anche noi, dobbiamo metterci in cammino, con obiettivi vecchi e nuovi.

[Fonte: www.fareitaliamag.it]

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