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agenziaradicale.com – Briganti e brigantesse, il grido dei vinti nella storia del Sud PDF Stampa E-mail

di Salvatore Balasco

Una ricerca che scava in una storia mai condivisa né accettata. Maria Sofia, ultima Regina del Sud, recita la storia dei vinti accanto ai briganti e alle brigantesse. “Il canto delle pietre. Brigantesse e briganti nella letteratura dei vinti e il destino di Maria Sofia” (Pellegrini editore, pp. 96, euro 12), a cura di Micol Bruni, è il titolo di uno studio, agile e di facile lettura, che vede i contributi di Gerardo Picardo, Neria De Giovanni, Marilena Cavallo, Micol Bruni con un Cantos di Pierfranco Bruni dal titolo: “Briganti e brigantesse il nostro destino è altrove”.
Il saggio introduttivo è di Isabella Rauti. Lo studio si inserisce nel quadro delle iniziative del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi” ed è pubblicato dalla Casa Editrice Pellegrini di Cosenza. Gerardo Picardo si sofferma sul tema: “Orgoglio e sete di giustizia, il brigantaggio è carne di un Sud in rivolta”; Neria De Giovanni è affascinata dalla tramatura “Briganta, non donna di brigante”; Marilena Cavallo si sofferma su: “Il suono delle pietre”, ovvero il brigante nella letteratura popolare”; Micol Bruni si sofferma su Maria Sofia di Baviera, l’ultima Regina del Sud, con uno scritto dal titolo: “Maria Sofia.
Regina nella tragedia e nella bellezza nel teatro del Sud”. Cantos di Pierfranco Bruni, che sembra un vero e proprio canto dei briganti: “Siamo briganti/in questo Sud/che recita ancora il sangue di Gaeta/con Maria Sofia/regina dei vinti/che ha le carni e il cuore/mai piemontesizzati/e mai savoiardi/e diffidenti di rivoluzioni/che non portano il nostro nome”.
Scrive Gerardo Picardo nel suo contributo: “Controstorie di uomini e donne della guerra cafona. O soltanto verità del Sud. Storia proibita di chi ha voluto difendere terre, altari e tombe contadine. Di chi non ha voluto tradire il padre o la sua gente. Di chi non si è girato dall’altra parte quando ha subito torti e invasioni. C’è chi ha letto il brigantaggio come un fenomeno di protesta o lo ha relegato rivolta dei ‘cafoni’. Il tema, che non è solo questione storica e culturale, si ripropone oggi nella riflessione sul 150° dell’Unità d’Italia, in un pensiero sull’incompiuto del Risorgimento.
Demitizzando i canti sabaudi e sgrossando la pietra posta dalla storiografia, si scoprono così storie e destini che raccontano vissuti. Sulla scena tornano così i briganti Carmine Crocco e Chiavone, Ninco Nanco o Mariotto, Giuseppe Esposito di Nola, detto ‘Passatiello’, Michelina De Cesare o Francesco Guerra, coi loro vestiti di velluto e i cappellacci a cono, lo schioppo in spalla. Ma soprattutto con le loro domande inevase, che tornano a presentarsi in terre carezzate da un diverso sole”. Così come occorre riflettere sulle brigantesse, mai ‘drude’, sempre donne d’onore.
“Cuori in rivolta – spiega il giornalista Picardo – che nel vento del Sud vestono abiti maschili, benedicono ogni pallottola che i loro amanti piantano nel petto avversario, e raccolgono le teste mozzate dei lori uomini per darvi sepoltura sulla pira. Ma sono donne che sanno anche vendicarsi da sole”. Hanno coraggio per passare al bosco ma anche perché accettano di subire l’emarginazione della società di allora. Storie di uomini e donne, quei percorsi – per ricordare Unamumo – “fatti di carne e sangue”.
Perché si è briganti dell’anima, prima che di una terra, il Sud, da cui non si è mai in esilio. In Come divenni brigante, Carmine Crocco scriverà: “Molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana e astratta. È dire senza timore, E’ MIO, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall’anima. È vivere di ciò che si ama. Vento forte e impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, così sempre sarà”.
È parola di un brigante che ha un unico rimpianto: morire lontano dalla sua terra. Sono in tanti a sostenere che i poveri cafoni pagarono da soli il prezzo dell’Unità d’Italia. Ma quegli uomini e quelle donne restarono veri. Con le loro idee. Unghie nere e orgoglio. La storia che ci è giunta passa attraverso archivi distrutti, memorie cancellate, documenti falsi, borghesismo. Ha dovuto affrontare viaggi di sangue e tanti, troppi silenzi. Dei briganti e delle loro ‘drude’ serve ora una nuova narrazione. Una cartografia di libertà che faccia conoscere il loro grido di giustizia. Perché, almeno nella coscienza del Sud, i fucilatori non prevalgano sui vinti.

[Fonte: www.agenziaradicale.com]

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