Percorso:

Mozione – Atto di Sindacato Ispettivo n° 1-00035 – La figura del caregiver familiare

Atto n. 1-00035

Pubblicato il 31 luglio 2018, nella seduta n. 29

BINETTI , MALLEGNI , MALAN , FANTETTI , ALDERISI , BATTISTONI , MODENA , SACCONE , RAUTI , SERAFINI , CONZATTI , MASINI , FLORIS , CANGINI , MINUTO , NASTRI , TESTOR , SICLARI , RIVOLTA , GALLONE , RIZZOTTI , TOFFANIN , DAMIANI

Il Senato,

premesso che:

in una società che ancora si interroga sul senso della famiglia ed è alla ricerca della sua identità profonda, la figura del caregiver familiare diventa uno degli indicatori di qualità della relazione di cura a cui ogni membro di ogni famiglia ha diritto nella vita;

l’articolo 3 della recente proposta di direttiva europea del 26 aprile 2017 definisce il prestatore di assistenza, caregiver, come un lavoratore che fornisce assistenza o sostegno personali in caso di malattia grave o dipendenza di un familiare che abbia necessità, temporanea o permanente, di assistenza a causa di disabilità o di gravi condizioni di salute diverse dalla malattia grave. Il caregiver è una figura che può essere indispensabile nella vita di una persona, ogni volta che si crea una condizione di dipendenza, una perdita di autonomia, più o meno prolungata, più o meno reversibile. Queste circostanze detteranno ovviamente la durata dell’impegno del caregiver nel tempo, per cui è necessario prevedere che, nel caso della progressione di una malattia, il fabbisogno di caregiver aumenti e contestualmente cresca il fabbisogno che lo stesso careviver ha di cura e di tutele;

quel che è certo è che solo la famiglia offre quella garanzia di solidità e di solidarietà, oltre la quale si sperimenta il drammatico vuoto della solitudine e dell’abbandono. Il caregiver familiare, prendendo su di sé il peso della relazione di cura, coordina una pluralità di interventi fatti da diversi specialisti, tutti necessari, ma poco efficaci se viene meno il coordinamento familiare, che richiede tempo e dedizione; svolge il suo ruolo gratuitamente, spesso senza piena consapevolezza e senza riconoscimenti;

rilevato che:

solo recentemente ci sono stati alcuni tentativi di far uscire il caregiver familiare dalla sua “invisibilità”, offrendogli anche in Italia il riconoscimento giuridico che in gran parte dei Paesi europei ha già ottenuto da tempo. La legislazione in diversi Stati europei, come Francia, Spagna e Gran Bretagna, ma anche Polonia, Romania e Grecia, prevede specifiche tutele per i caregiver familiari, tra cui benefici economici, contributi previdenziali, supporti di vacanza assistenziali, eccetera;

la convenzione internazionale delle Nazioni Unite sulla “Protezione e promozione dei diritti e della dignità delle persone con disabilità” ratificata dall’Italia con la legge n. 18 del 2009, all’articolo 28, comma 1, afferma: “Gli Stati parti riconoscono il diritto ad un livello di vita adeguato alle persone con disabilità ed alle loro famiglie e adottano misure adeguate per proteggere e promuovere l’esercizio di questo diritto senza alcuna discriminazione fondata sulla disabilità” e alla lettera c) intende “garantire alle persone con disabilità e alle loro famiglie che vivono in situazione di povertà l’accesso all’aiuto pubblico per sostenere le spese della disabilità e il diritto al sollievo”;

la raccomandazione NR (91) 2 del Comitato dei Ministri del lavoro e affari sociali chiede agli Stati che i familiari assistenti possano beneficiare di una copertura sociale adeguata; i familiari assistenti devono essere informati sulla possibilità di usufruire di servizi territoriali, di servizi di sollievo e di sostegno; i servizi pubblici devono favorire e garantire un ventaglio di possibilità riguardo alla presa in carico del familiare non autosufficiente, al fine di permettere al familiare assistente di godere di alcuni giorni di vacanza e di sollievo;

la raccomandazione NR (98) 9 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa chiede agli Stati che i familiari assistenti quali membri della famiglia che si prendono cura di un congiunto non autosufficiente devono sensibilizzare tutti gli attori istituzionali sulle difficoltà e la responsabilità che richiede il lavoro di cura e permettere ai familiari assistenti di usufruire di momenti di sollievo;

nel 2006, alla conferenza internazionale “Il bisogno di sollievo è universale” tenutasi a Toronto, Rosalyn Carter diceva che ci sono solo 4 tipologie di persone nel mondo: quelle che sono state familiari assistenti, quelle che attualmente sono familiari assistenti, quelle che saranno familiari assistenti e quelle persone che avranno bisogno di essere aiutate e assistite. Si deve essere tutti sensibili alle esigenze dei caregiver familiari, ne risulterà una migliore qualità di vita per loro e per le persone con disabilità, sia sul piano della salute fisica e psichica che su quello socioeconomico. E non si potrà più affermare che il caregiver familiare ha una vita più breve di almeno 10 anni perché non ha tempo per curarsi;

il 26 aprile 2017, la Commissione europea ha adottato una proposta di direttiva, del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all’equilibrio delle attività professionali e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio. La Commissione ha ribadito che esiste la necessità di rafforzare i congedi parentali e tutte le tutele alle persone che si prendono cura di altre persone, soprattutto nel contesto familiare. La normativa europea si basa sul recentissimo “pilastro europeo dei diritti sociali”, proclamato da Parlamento, Consiglio e Commissione che all’art. 9 dice: “I genitori e le persone con responsabilità di assistenza hanno diritto a un congedo appropriato, modalità di lavoro flessibili, e accesso ai servizi di assistenza. Uomini e donne hanno parità di accesso e sono incoraggiati a servirsene e a usufruirne in modo equilibrato”. Vale la pena ricordare che sebbene e previsioni normative si riferiscono soprattutto ai lavoratori dipendenti, secondo l’art. 12 del pilastro anche i lavoratori autonomi hanno diritto ad un’adeguata protezione sociale;

anche in Italia, quindi, è diventato urgente riconoscere il valore sociale ed economico del caregiver per la famiglia e per l’intera collettività. I caregiver familiari vivono una condizione di abnegazione quasi totale, che limita alcuni dei loro diritti umani fondamentali, come ad esempio quelli alla salute, al riposo, alla vita sociale e alla realizzazione personale;

in Italia, i caregiver operano in un quadro socio-assistenziale reso sempre più difficile dai continui tagli, a livello nazionale e locale, dei fondi destinati al sostegno delle famiglie in cui vive una persona non autosufficiente. La legge n. 112 del 2016, la cosiddetta legge sul “dopo di noi”, stenta a trovare piena attuazione. I costi sempre maggiori nelle residenze sanitarie assistenziali, che offrono servizi spesso non adeguati e la parcellizzazione delle risposte assistenziali, ormai rivolte solo ad alcune specifiche categorie, rendono difficile ipotizzare una vera presa in carico per i disabili gravi, i malati cronici, soprattutto se anziani e affetti da patologie disabilitanti. A rendere più difficile la vita delle famiglie concorre anche la carenza assoluta dell’assistenza domiciliare (ADI), che obbliga a rivolgersi agli ospedali per gestire emergenze che potrebbero essere affrontate anche in un contesto familiare, se debitamente assistite. Ma neppure la migliore forma di assistenza domiciliare potrebbe mai funzionare in assenza di un caregiver efficace e disponibile;

tenuto conto che:

spesso, la volontarietà del caregiver è dettata dalla sua necessità nell’ambito familiare, a fronte di un’oggettiva carenza di servizi alternativi. In una società che invecchia, con nuclei familiari sempre più ristretti, accade spesso che l’onere della cura si concentri su di una persona sola e non si possa distribuire tra fratelli in una società di figli unici. Anzianità e solitudine sono già di per sé due vincoli importanti, che si sommano a patologie meglio identificate, senza dimenticare l’oggettivo aumento di demenze senili e di morbo di Alzheimer che rendono più difficile il lavoro di cura del caregiver;

a volte, il livello di coinvolgimento del caregiver cresce con il tempo, mentre si riducono gli spazi di autonomia. Il caregiver familiare può trovarsi impegnato nel suo compito senza averne piena consapevolezza all’inizio, ma senza riuscire a venirne fuori successivamente. Si finisce col sentirsi vittime di un sistema socio-familiare poco comprensivo. Tutelare i caregiver diventa al tempo stesso un atto di giustizia, una forma di cura e un investimento per il sistema di welfare che non può farne a meno;

nell’esperienza ormai consolidata in questo campo, occorre porre l’accento su quattro diverse forme di tutela per il caregiver: l’ambito previdenziale e assicurativo, quello assistenziale e quello professionale. A cominciare da quello previdenziale, per riconoscergli la copertura di contributi figurativi, equiparati almeno a quelli da lavoro domestico. Contributi che vanno sommati a quelli già versati per altre attività lavorative, in modo da consentirgli l’accesso al pensionamento anticipato al maturare dei 30 anni di contributi totali. Altro aspetto importante è quello di ottenere le tutele analoghe a quelle previste per le malattie professionali, con copertura assicurativa a carico dello Stato. Inoltre andrebbe previsto, in caso di malattia, un rimborso spese per i costi sostenuti. Si tratterebbe della tutela del suo stesso diritto alla salute. Al caregiver familiare va garantito anche il diritto al lavoro, equiparandolo ai soggetti beneficiari della legge n. 68 del 1999. Un diritto garantito utilizzando la modalità del telelavoro, che impone al datore di lavoro di individuare compiti e mansioni che si prestino a tale modalità;

altro bisogno impellente, richiesto con forza dai caregiver familiari, è quello del “sollievo”. Il caregiver familiare ha urgente necessità di contare su alcuni servizi che lo aiutino a prevenire lo stress psicofisico dovuto all’assistenza continua ad un congiunto non autosufficiente. Occorre poter contare su servizi capaci di assicurare un sollievo sia durante la conduzione ordinaria dell’attività assistenziale sia in situazioni di particolare emergenza consentendogli di riorganizzare la vita familiare con un adeguato periodo di riposo. Questo si può realizzare di norma in apposite strutture in cui la persona con disabilità viene accolta per alcuni giorni o, in caso di assoluta urgenza, anche nel domicilio della persona disabile. In numerosi Paesi europei, ci sono leggi che considerano una priorità il “diritto al sollievo”, rendendolo effettivo con l’istituzione, in tutti i centri residenziali, di 2-3 posti letto. Si dà così una risposta personalizzata al bisogno di sollievo dei familiari assistenti e delle persone con disabilità;

si tratta, in definitiva, di dare riconoscimento all’enorme lavoro di cura necessario per chi ha bisogno nell’arco intero delle 24 ore di una persona che gli stia accanto, con perizia e con amore: è una battaglia che va centrata sui diritti, a cominciare dal diritto alla salute: un diritto fondamentale, inalienabile, per il quale non si possono porre limiti di bilancio, ricordando che è un diritto di tutti e non può accadere che per garantire i diritti dei propri familiari si debba rinunciare ai propri;

difficile dire quanti siano in Italia i caregiver familiari. Ci sono stime Istat sulle persone con disabilità, ma alla persona con disabilità non corrisponde per forza di cose un caregiver familiare prevalente. E anche facendo riferimento ai dati INPS, è impossibile dire quante persone con disabilità hanno la necessità di un caregiver familiare sulle 24 ore: è impensabile darne una quantificazione, ma trattandosi di un diritto non è il numero dei potenziali aventi diritto che deve interessare, ma piuttosto il riconoscimento di un diritto. Le agevolazioni fiscali, previdenziali e giuslasvoristiche per i caregiver, ossia per i familiari che assistono congiunti disabili o malati, sono un atto di giustizia improcrastinabile;

secondo i dati Istat, le famiglie con almeno una persona disabile in Italia sono almeno 2.396.000 ovvero l’11,2 per cento del totale; più della metà assistono persone con forme gravi o gravissime. L’Istat stesso evidenzia come la famiglia sia per il 95 per cento dei casi il primo luogo di cura e di assistenza delle persone con disabilità. Dall’elaborazione dei dati Istat emerge che i caregiver familiari sono per il 73,5 per cento donne. Il 35 per cento è costretto a lasciare il lavoro e questo dato coincide con la gravità dell’handicap e dell’età; se la persona malata o disabile è un figlio, quasi sempre uno dei genitori lascia il lavoro. Riguardo ai tempi di impegno nella relazione di cura il 40 per cento assiste per tutte le 24 ore la persona che ne ha bisogno, mentre un 20 per cento se ne occupa solo di notte e il restante 40 per cento gli dedica varie ore durante il giorno. Quasi il 100 per cento dei caregiver familiari vive con la persona di cui si prende cura e il tempo di assistenza è molto vario. Il 54 per cento di loro assistono da oltre 30 anni la persona di famiglia malata. A volte si nota una certa mancanza di fiducia da parte dei caregiver verso gli operatori professionali, ma contemporaneamente si cerca il loro aiuto anche attraverso servizi come l’assistenza domiciliare e i centri di sollievo, di cui hanno bisogno per avere informazioni precise;

una riflessione particolare merita il malato oncologico per la possibilità di ricevere cure palliative a domicilio, concretamente quando e se in famiglia c’è un caregiver disponibile. È opinione diffusa e documentata che il paziente preferisce ricevere a domicilio le cure palliative, nel contesto di una vita familiare ricca di affetti e nello scenario domestico, in cui si può muovere con più autonomia, in compagnia delle proprie cose. Di particolare interesse in questi casi anche l’assistenza nutrizionale, che va garantita 24 ore su 24, con personale qualificato, in stretta relazione di dialogo con il caregiver familiare. È una scelta da preferire anche sotto il profilo della gestione economica. Recenti studi di economia sanitaria negli USA mostrano che nell’ultimo anno di vita di una persona si concentra il 13 per cento di tutta la spesa sanitaria, che in Gran Bretagna sale fino al 29 per cento. Un’ulteriore analisi dei dati ha condotto ad osservare come sempre negli USA il 50 per cento dei costi si concentri nell’ultimo mese di vita. Il ricorso sistematico alle cure palliative domiciliari riduce invece del 45 per cento i costi relativi alla fase finale della vita. Ma non è solo la convenienza economica, pur così importante per la sostenibilità del sistema, a dettare questo criterio, quanto la certezza che in questo modo si risponde più e meglio alla qualità di vita di una persona e alla sua dignità;

sorprende che in Italia si faccia un così scarso ricorso alle cure palliative domiciliari. La situazione italiana, resa nota dalla pubblicazione del X rapporto sulla condizione del paziente oncologico, curato dalla FAVO insieme ad altri autorevoli interlocutori, conferma come la legge n. 38 del 2010 sulle cure palliative sia applicata, come molte altre, in modo fortemente disuguale nelle nostre regioni. Anche sotto il profilo dell’assistenza domiciliare le famiglie si sentono lasciate sole e il carico dell’assistenza ricade sul caregiver familiare. Eppure le cure palliative rientrano tra i livelli essenziali di assistenza e dovrebbero essere erogate in modo uniforme su tutto il territorio nazionale;

ma la diversa condizione economico-organizzativa che caratterizza ogni singola regione rende difficile questa legittima attesa dei malati e delle loro famiglie. Eppure le cure palliative in assistenza domiciliare costituiscono una documentata fonte di risparmio per il servizio sanitario regionale e dovrebbero essere proprio le Regioni in maggiori difficoltà economiche a farsi portavoce di questo metodo di cura che ha nel caregiver familiare il suo punto di snodo più efficace. Il fabbisogno di cure palliative è destinato a crescere velocemente nei prossimi anni e si prevede un incremento del 60 per cento nei prossimi 20 anni, concentrato in una fascia d’età che oscilla intorno agli 85 anni;

il nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) del Ministero della salute fornisce una serie di dati interessanti sulla morte dei pazienti con neoplasia e sul rapporto con le cure palliative domiciliari, da cui emerge come la continuità assistenziale sia uno dei fattori di maggiore interesse per garantire non solo qualità di vita ai pazienti, ma anche oggettiva lunghezza di vita, a costi di gran lunga più contenuti rispetto a quelli di tipo ospedaliero o in hospice. Tornare a vivere a casa negli ultimi mesi di vita, anche per morire in casa, è uno dei maggiori e migliori investimenti che le famiglie e il sistema sanitario nazionale possono fare. Per rendere operativa questa “rivoluzione copernicana” è necessario però che la famiglia non si senta mai lasciata sola. Il caregiver oncologico ha diritto, come tutti i caregiver, ad un supplemento di formazione che dia sicurezza a lui, alla sua famiglia, a cominciare dal paziente, e al sistema sociosanitario che ruota intorno a lui;

deve diventare lo snodo, competente e disponibile, capace di dialogare con i familiari, i medici e gli infermieri, ma anche con tutta quella burocrazia che rende il nostro SSN quasi impenetrabile rispetto alle esigenze dei pazienti e delle loro famiglie. I pazienti hanno bisogno di un caregiver che li aiuti ad aderire alle terapie in modo corretto e che li supporti fisicamente ed emotivamente,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte a valorizzare la figura e il lavoro del caregiver come esplicita manifestazione di coesione sociale e familiare, tenendo conto del lavoro di sostegno a questa figura già svolto dalle rispettive associazioni;

2) a riconoscere la figura del caregiver, come è definita dal “pilastro europeo dei diritti sociali”, sburocratizzando le procedure che ostacolano il suo impegno;

3) a prevedere uno sviluppo adeguato di assistenza domiciliare, in cui siano integrati vari tipi di servizio: da quello nutrizionale, a quello fisioterapeutico, in modo da sollevare realmente il caregiver e la famiglia dal carico delle cure primarie;

4) a garantire che, durante il periodo in cui svolge il suo ruolo, il caregiver possa ottenere concrete facilitazioni nel suo lavoro: permessi retribuiti, orario flessibile, part time, telelavoro, eccetera;

5) a garantire che la sua copertura assicurativa e previdenziale sia costantemente integrata anche nei tempi dedicati al suo ruolo di caregiver;

6) a consentirgli di avere la massima cura possibile della sua salute, attraverso misure di sostegno analoghe a quelle ottenute per le malattie professionali;

7) a facilitargli la possibilità di accedere a punti sollievo, in cui condividere il carico di lavoro del paziente, con altri operatori in situazioni analoghe, senza sentirsi solo;

8) a rendere strutturale il fondo per i caregiver, previsto dalla legge di stabilità per il 2018 (legge n. 205 del 2017), in modo da farne una risorsa su cui sia sempre possibile contare, in tutte le Regioni;

9) a promuovere iniziative di formazione specifica per i caregiver, sia secondo il modello della compresenza che a distanza; con tutorial appositi il caregiver potrà affrontare e risolvere problemi concreti legati al contesto in cui vive il paziente;

10) nel caso del caregiver oncologico, ad attivare la rete delle cure palliative a domicilio, senza inutili attese e senza eccessive burocrazie;

11) a sostenere i caregiver dopo la morte del familiare per evitare sindromi di “burn out”;

12) a riferire alle Camere con una relazione annuale sui costi e sulle risorse del servizio dei caregiver, per valutare anche in termini economici il risparmio effettivo della rete di sollievo, ai fini di uno spostamento effettivo del SSN dall’ospedale al territorio.

[Fonte: www.senato.it]

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