Percorso:

“Ugo Venturini – Un operaio dimenticato”, la prima vittima degli anni di piombo, di Massimo Lionti

Un operaio dimenticato - 1  Un operaio dimenticato - 2

Cinquant’anni sono il discrimine temporale nel quale si dimentica o si ricorda per sempre. E noi abbiamo il dovere di custodire e trasmettere la memoria dei nostri Caduti e riabilitare le verità negate affinché diventino Storia. E tutta la tragica stagione dei cosiddetti “anni di piombo” esige una rilettura anche politica ed una ricostruzione attenta dei singoli episodi che restituisca il quadro di insieme e racconti, tra luci ed ombre, quale strategia sia stata orchestrata per alimentare gli opposti estremismi e la logica del “nemico principale”.
E’ una storia che non riesce a passare quella degli anni bui e di piombo; non passa perché  troppi assassini sono rimasti impuniti e perché contro il ricordo dei nostri martiri, “il vento soffia ancora” , ieri come oggi, lo stesso vento dell’antifascismo militante e della logica per cui “uccidere un fascista non è un reato”.
In queste pagine – e ringrazio l’Autore per il lavoro serio ed appassionato – si ricorda il sacrificio di Ugo Venturini, giovane operaio edile e militante missino, ferito a morte il 18 aprile 1970, mentre assisteva a Genova in Piazza Verdi  ad un legittimo comizio elettorale del Segretario Giorgio Almirante. E’ la storia del primo caduto missino dei lunghi “anni di piombo”; non c’è una sparatoria, uno scontro armato o una traccia di terrorismo come non c’è nessuna responsabilità – tranne la propria fede politica e l’appartenenza ai Volontari Nazionali – riconducibile alla vittima ma lo scenario è quello di un agguato vigliacco, un assalto come tanti in quegli anni,  per impedire lo svolgimento di una manifestazione del MSI. Insomma, la persecuzione di un’Idea, la violenza e l’odio politici.
Contro il palco e la Piazza del comizio del MSI, quel giorno i “democratici” contestatori lanciarono sassi, pietre e bottiglie piene di sabbia, una di queste colpì e ferì Ugo Venturini che morì il 1 maggio successivo, dopo giorni di agonia; il giornale “Lotta Continua” titolò trionfalmente disgustoso: “Giustiziato il fascista Venturini” e nessun ricorda alcun gesto di pietà pubblica. Solo fiumi di odio da parte delle forze politiche avversarie, negligenze nelle indagini che non fecero mai piena luce sui fatti di quel giorno, sulle identità e  responsabilità degli aggressori e, anche in questo caso,  gli assassini sono rimasti impuniti.
Nell’accurata ricostruzione di Massimo Lionti non mancano elementi e riferimenti importanti a quella “nulla giudiziario” che ha avvolto il caso Venturini,  alle  responsabilità non sufficientemente indagate degli aggressori  ed alla pista di Lotta Continua, una delle maggiori formazioni della sinistra extraparlamentare italiana, che negli anni ha supportato la lotta armata, la stessa praticata anche da Potere operaio e dalle cellule dell’ultrasinistra che hanno agito nelle maggiori città italiane compiendo  crimini per lo più rimasti senza autore.
Ugo Venturini è stato pianto e ricordato negli anni solo dal Msi, da quelli della sua stessa parte e poi da quella comunità umana che non ha voluto dimenticarlo neanche nella diaspora di un mondo politico; e ad ogni ricorrenza e commemorazione l’antico odio comunista riprende consistenza e si scatena in contromanifestazioni per un nuovo oltraggio anche alla memoria. Non viene accettato neppure il diritto di intitolare al  suo nome di martire le nostre sedi ed i circoli di Partito, più volte assaltati né viene riconosciuto il dovere della città di Genova perchè non si deve ricordare “il Fascista Venturini”. E  non è stato facile né indolore arrivare al primo aprile 2012, all’ intitolazione del Viale (la targa è stata successivamente danneggiata nel 2015 e ripristinata) a distanza di un anno dalla delibera del Municipio interessato e del parere favorevole (finalmente!) della Commissione Toponomastica del Comune.  E se questa è la cronaca della mancata pacificazione nazionale, la sua storia viene da lontano e voglio raccontarne una parte riportando qualche stralcio dell’editoriale “Chi sono, chi siamo”, di mio padre Pino Rauti comparso sul Secolo d’Italia l’11 gennaio del 1979, nel primo anniversario della strage di Acca Larenzia (Roma), quando Il  Ministero degli Interni aveva vietato ogni manifestazione di commemorazione. “(…) si realizza, lo stesso “gioco”: lo stesso squallido e sanguinoso giuoco: mettere in piedi un meccanismo di tensioni, di azioni e di reazioni, di esasperazioni, che poi fanno da retroterra ad oscuri e torbidi episodi il cui risultato politico è uno solo, quello di continuare a scagliare la sinistra più o meno estrema contro i giovani del nostro schieramento politico. E intanto l’antifascismo si rimobilita, dà fiato a tutte le sue trombe, rincolla i suoi cocci (…).Ogni ragionamento coerente appare ormai insufficiente. Perché viviamo in tempi nei quali il livello di violenza, tende ad espandersi, e il suo richiamo torbido e vischioso filtra, si insinua e si diffonde per mille e mille rivoli, (…); soprattutto quando sull’altro versante politico, sia il sistema nel suo complesso e sia la sua “ala sinistra” continuano ogni giorno ad assestare i colpi della sopraffazione, della più ottusa discriminazione (…).

Rauti rivolge un ’appello ai giovani di destra contro la deriva del terrorismo e li esorta a non cadere nella trappola ed a superare gli opposti estremismi e “l’istigatissimo odio forsennato”: “ Il terrorismo non è nostro; non è nelle nostre tradizioni, non c’è mai stato; non ha il benché minimo diritto di entrarvi. (…) Esso promana dall’anarchismo, ha accompagnato e quasi ritmato le fasi più aspre della lotta politica marxista, ha trovato il suo nuovo rilancio nel partigianesimo durante la seconda guerra mondiale ed è lì, infatti, che si riferisce e si autogiustifica; Noi veniamo da un’altra storia, da ben altro filone di vita e di battaglia; (…); noi veniamo dal combattentismo, dal volontariato, dall’arditismo; da tutto ciò che, anche in termini di durezza, ha sempre, dico sempre, postulato il pagare in prima persona, il battersi a viso aperto; il non colpire mai alle spalle; il non emergere vigliaccamente dall’ombra; il non coinvolgere gli innocenti e gli inermi”.

Questa era ed è la differenza tra noi e loro. E la riflessione ,contenuta nell’articolo, sulla violenza politica di quegli anni rappresenta un documento storico valido e di valore ancora oggi, utile per interpretare la cronaca e per leggere la storia che ci portiamo dentro ed addosso. E per non dimenticare chi siamo e da dove veniamo e per onorare chi è caduto durante il cammino.

Isabella Rauti
(Presidente del “Centro Studi Pino Rauti”)

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