Percorso:

I. Rauti, Contributo in “Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia” – Fondazione Nilde Iotti, 2012

Decreto Legge 23 aprile 2009 N. 38: Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori

Mettere a confronto ed a sistema i più importanti testi legislativi, i progetti sociali e le differenti esperienze istituzionali e culturali, in un’opera “a più mani”,  sui diritti fondamentali delle donne è un’operazione di chiarezza e determinazione; utile – anche – per dare risposte e strumenti concreti di interpretazione alle questioni rimaste irrisolte ed alle situazioni emergenziali, vecchie e nuove, come le forme di violenze, che le donne subiscono.
La violenza di genere, nei suoi mille volti, tutti diversi e tutti uguali, contestualmente all’oggettivo incremento dei casi – che le cronache riecheggiano continuamente e che rivelano una vera e propria malattia sociale – è l’odioso contrappunto alla forza delle donne di conquistare spazi di autonomia, emancipazione e partecipazione alla vita pubblica.
La diffusione delle forme di violenza sulle donne sono, in parte,  l’effetto e la reazione malata  ai nuovi percorsi femminili, che possono rappresentare un elemento di frizione fra i generi, soprattutto nei contesti e nei casi in cui si voglia ripristinare “antiche gerarchie”, rovesciate e contraddette dai cambiamenti della modernità e si scelga la violenza come modalità di relazione interpersonale.
Una violenza “multidimensionale”, quella esercitata sulle donne: fisica, psicologica, economica, familiare; nelle sue diverse modalità, evidente o sottile, con un atto estremo o con atti quotidiani;  tra le mura domestiche o in un luogo pubblico, con un’aggressione individuale o di gruppo. Le violenze sulle donne sono un <<flagello mondiale>> e nei documenti ufficiali internazionali si parla di femminicidio; un fenomeno  globale, generalizzato e diffuso, sia nei Paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo o emergenti, a Occidente come a Oriente, a sud ed a nord del mondo, nelle aree rurali e in quelle metropolitane, lì dove le leggi ci sono e, di più, dove non ci sono ancora o non vengono rispettate.
Nella consapevolezza – di sempre – che le leggi, da sole non bastano, sono la condizione necessaria ma non sufficiente se non si accompagnano ad una rivoluzione culturale, di costume, di mentalità, e di prassi sociali basate sul rispetto fra i generi  e sull’educazione all’altro da sé.
Ma, anche, nella consapevolezza – di sempre – che ci sono Leggi che segnano un discrimine tra il prima ed il dopo, e che determinano un cambiamento sociale; come lo spartiacque rappresentato dalla legge 69 del 1996, faticosamente ottenuta, che ha finalmente inserito i reati di violenza sessuale tra i reati contro la persona e non contro la morale, e come la legge contro lo Stalking del 2009 che ha introdotto nel quadro legislativo penale una nuova fattispecie di reato ed ha favorito l’emersione di un fenomeno massiccio e sommerso.
La Legge nazionale n.38 del 23 aprile 2009 sullo stalking ha origine dal decreto-legge del 23.02.2009 n.11 recante: misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori sotto il dicastero del Ministro della Pari Opportunità Mara Carfagna.
Il Decreto Legge viene convertito in data 23.04.2009 n.38 attraverso “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto – legge febbraio 2009 n.11 recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori.
Il primo disegno di legge presentato in Parlamento sullo Stalking è del 2004 ma bisogna aspettare il 2009 perché l’Italia si allinei con gli altri Paesi europei  e con le normative antistalking; il termine, stalking, è mutuato da to stalk, dare la caccia, fare la posta, ed il reato stigmatizza le forme e le condotte seriali persecutorie,  le violenze reiterate e continuative, le molestie insistenti, assillanti ed ossessive.
L’introduzione nell’ordinamento di una nuova fattispecie di reato ha creato un discrimine legislativo e colmato un pericoloso vuoto normativo; in assenza  di un riferimento giuridico specifico si faceva riferimento all’articolo 666 del Codice Penale su “Molestie o disturbo alle persone” e relativo alla pubblica quiete, oppure, in alcuni casi, si riconduceva la condotta al reato di “violenza privata” o alle “lesioni personali”, perché non era prevista la fattispecie delle molestie persecutorie in sé  e, l’ “aspetto innovativo è affrontato dall’art.7 all’art.12 della legge in cui si disciplina la fattispecie giuridica di atti persecutori, puniti con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, con l’aggravante dell’aumento fino alla metà se a “danno di minore, donna in stato di gravidanza, persona con disabilità (…)”  o se il soggetto è già ammonito.
In particolare l’art.7 della legge introduce l’art. 612 bis c.p. ed è il fulcro concettuale oltre che normativo della legge, con le “modifiche al codice penale” e la previsione della nuova fattispecie di reato chiamata atti persecutori ed indicata testualmente nel codice penale: “Art. 612-bis (Atti persecutori)”.
Gli elementi e gli aspetti maggiormente rilevanti della fattispecie sono:
– che la condotta di “minaccia e molestia” debba essere “reiterata”;
– che nella vittima vi sia conseguentemente un “grave stato di ansia o di paura o fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto”;
– che conseguentemente la vittima sia indotta ad “alterare le proprie abitudini di vita”.
Altro aspetto caratterizzante la legge è il nuovo ruolo riconosciuto in capo al Questore. L’art. 8, infatti, recita che, fino a quando non è esposta querela, “la persona offesa può esporre i fatti all’Autorità avanzando la richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta”, la legge prevede, ed è strumento importante, che prima della querela la vittima di Stalking possa rivolgersi alle autorità di polizia e chiedere l’ammonimento dell’autore delle molestie. Lo Stalking si presenta in forme infinite – da quelle sottilissime (comprese quelle offerte dalle nuove tecnologie di comunicazione) fino all’atto più estremo, spesso preceduto da un  crescendo di minacce – ed il legislatore ha dovuto declinare le caratteristiche del fenomeno e la sua reiterazione dell’atto persecutorio per definire con oggettività e con la massima univocità possibile, l’atto sanzionato penalmente; e gli effetti dell’applicazione della legge sono positivi, come dimostrano il numero degli arresti e delle denunce presentate nonché il ricorso alla misura dell’ammonimento, utile a scoraggiare le cosiddette forme più leggere di stalking.
Sulla base del percorso normativo avviato dalla legge nazionale, che prevede che l’assistenza alla vittime di stalking competa alle Regioni, che possono gestire l’assistenza attraverso i servizi sanitari e sociali di propria competenza, la Commissione Sanità del Consiglio regionale del Lazio ha approvato (23 febbraio 2012) la proposta di Legge n.11 del 12 maggio 2010 (BUCCI-RAUTI) contenente “Misure per prevenire e contrastare l’insorgenza e la diffusione dello stalking”. Nella formulazione della proposta di legge, di iniziativa bipartisan, e che attende l’approvazione dell’Aula consiliare – si è recepito lo spirito della norma nazionale, istituendo servizi anti-stalking presso le Asl, i centri antiviolenza e tutte le strutture che svolgono assistenza psicologica e socio sanitaria, ed un Osservatorio regionale che avrà, tra gli altri, il compito di monitorare ed analizzare il fenomeno dello stalking e promuovere campagne di sensibilizzazione, azioni di contrasto e strategie di prevenzione del fenomeno.
La recente approvazione (ottobre 2011) dell’Ordine di Protezione Europeo nei confronti delle vittime di Stalking da parte delle Commissioni competenti  del Parlamento europeo è un ulteriore passo avanti nel contrasto del fenomeno e nella diffusione della cultura del rispetto ed aiuta ad immaginare un sistema europeo che, oltre gli aspetti normativi, assuma la battaglia istituzionale alle forme di violenza come una responsabilità condivisa e collettiva.
Nella convinzione che nessun atto di violenza possa essere considerato un fatto privato – perché legato a dinamiche relazionali, di coppia e familiari – ha sempre una rilevanza sociale e rivela un’emergenza educativa che chiama in causa tutta la comunità. Nessuno escluso.

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