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secoloditalia.it – Isabella Rauti sulla ricerca nelle forze armate: “La Difesa è Stem per definizione, averne di più vuol dire essere tutelati”

«La Difesa è Stem per definizione e vocazione e lo sarà sempre di più per affrontare le sfide il futuro». Queste le parole di Isabella Rauti, sottosegretario alla Difesa nel governo Meloni, che in una lunga intervista al Secolo d’Italia ha sottolineato l’importanza della scienza come supporto per le forze armate. Tra gli argomenti toccati durante la conversazione figura anche l’intelligenza artificiale, che «se da una parte comporta una grande e positiva innovazione dall’altra è una rivoluzione da indirizzare, poiché facilita la diffusione di contenuti manipolabili e manipolati». Quanto alla missione Unifil, Rauti non ha alcun dubbio: «anche senza i caschi blu Onu l’Italia è pronta a restare in Libano, per non lasciare sola la popolazione e per il proseguimento nel mandato di missione d’interposizione».

In seguito, Rauti ha spiegato che il piano “Readiness 2030”, ad esempio, «non è riarmo ma costruzione di un modello di difesa e deterrenza, un’opportunità per investire nella sicurezza, che è uno dei prerequisiti per la libertà di ogni nazione: più difesa vuol dire più tutela e più protezione». Comunque sia, per una collaborazione efficace in Occidente, «l’impegno leale dell’Italia deve continuare a essere ancorato alla cornice della Nato».

Perché le materie Stem sono importanti per la Difesa?

«La Difesa è Stem per definizione e vocazione e lo sarà sempre di più per affrontare le sfide il futuro. Queste discipline sono centrali perché presiedono la pianificazione e la condotta delle operazioni militari: come l’uso dei droni, l’intelligenza artificiale, l’utilizzo del cloud, il quantum computing e il Cyber, che ci garantiscono di mantenere un vantaggio strategico e di restare quindi competitivi. Le nuove tecnologie sono fondamentali in tutti i domini, da quelli tradizionali (terra, mare e cielo ndr) a quelli nuovi (cyber e spazio), ma anche in quelli emergenti, come il cognitive warfare.

Nel mondo della Difesa, come impongono le sfide – ibride e sempre più sofisticate – con cui ci confrontiamo, è già forte la richiesta e l’impiego di figure Stem, tra cui analisti cyber, ingegneri, chimici, biologi, fisici. Dobbiamo anche contribuire a ridurre il divario di genere che caratterizza ancora i laureati nelle discipline Stem, un gap formativo alimentato da stereotipi da superare che considerano queste discipline come più adatte agli uomini che alle donne. Nella direzione dell’abbattimento degli stereotipi è molto importante la sensibilizzazione e la divulgazione di queste materie, uno degli obiettivi della Legge 187/ 2023 del Governo Meloni.
All’interno della Difesa c’è un dato in controtendenza che ci conforta: nei licei militari sono in aumento costante le studentesse, in particolare nei corsi scientifici. Inoltre, l’Esercito sta avviando una sperimentazione per aggiungere un indirizzo di Scienze applicate, nella consapevolezza che alla Difesa del futuro servono risorse di formazione Stem».

Qual è il valore delle missioni Unifil in Medio Oriente?

«L’interposizione multinazionale è l’unica soluzione nelle aree di crisi. Il mese scorso il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato il rinnovo della missione Unifil ma soltanto fino alla fine del 2026, quando dovrebbe iniziare un “ritiro ordinato e sicuro” della durata di un anno. Ciò nonostante, come ha già ribadito il ministro della Difesa Guido Crosetto, anche senza i caschi blu Onu l’Italia è pronta a restare in Libano, per non lasciare sola la popolazione e per il proseguimento nel mandato di missione d’interposizione. Se l’Onu confermerà il ritiro l’Italia potrebbe proporre al Parlamento un ampliamento della missione bilaterale in corso. Questo significherà prolungare la Mibil, il cui obiettivo è quello di aumentare le capacità complessive delle Forze di sicurezza libanesi, dalla formazione all’addestramento sino, se le condizioni di sicurezza lo consentono, ai compiti di assistenza umanitaria alla popolazione civile».

L’intelligenza artificiale può aiutare il settore militare?

«L’Intelligenza Artificiale costituisce certamente un vantaggio strategico e un’innovazione fondamentale anche per le capacità militari. Tanto più che i conflitti in corso non sono solo di tipo convenzionale ma asimmetrici, multidimensionali e multidominio. Le attività militari si svolgono non solo nei domini tradizionali di terra, mare e cielo ma anche in quelli nuovi come lo spazio e il cyber e in quelli emergenti, come il dominio cognitivo e quello underwater. Gli attacchi ibridi contro infrastrutture critiche secondo gli ultimi dati del 2025 del centro di eccellenza della Nato per la difesa cyber sono aumentati del 60% rispetto all’anno precedente. Per affrontare queste minacce la Difesa utilizza tecniche sofisticate e strumenti tecnologici che richiedono formazione e addestramento altamente specializzati.

Non a caso la Difesa già dal 2020 si è dotata di un Comando per le Operazioni in Rete (COR) per la condotta delle operazioni nel dominio cyber. E l’Esercito ha di recente costituito il nuovo Reggimento 9° “Rombo”, un reparto specializzato nelle strategie difensive e offensive nel dominio cyber. Tuttavia, l’Ia se da una parte comporta una grande e positiva innovazione dall’altra è una rivoluzione da indirizzare, poiché facilita la diffusione di contenuti manipolabili e manipolati. Motivo per il quale in ambito formativo sono state introdotte materie di studio come il “cognitive warfare”, per governare le applicazioni positive dell’Ia e fronteggiare i rischi di quelle malevole e distorsive, sempre in una visione antropocentrica, in cui l’uomo non può e non deve essere sostituito dalla macchina».

Il piano di riarmo europeo può consentire maggiore autonomia?

«Non è corretto parlare di riarmo ma di difesa e di sicurezza. Ogni democrazia mondiale vuole e deve proteggere i suoi valori fondamentali di libertà e sovranità, preparandosi a fronteggiare ogni possibile minaccia. Investire nella sicurezza nazionale è vitale per garantire stabilità e deterrenza, oltre a stimolare, attraverso l’innovazione scientifica, lo sviluppo di tecnologie che alimentano la crescita economica e rafforzano la competitività internazionale. La Difesa sta rinnovando il suo approccio, più integrato ed interforze, bilanciando le capacità convenzionali con quelle richieste dalle nuove tecnologie, in tutti i domini sia tradizionali che emergenti. Sono tornati venti di guerra anche in Europa, l’area Mediorientale è gravemente instabile, le relazioni internazionali devono fare i conti con posture assertive e rinnovate logiche di potenza, che minacciano le statualità democratiche.

La “Readiness 2030” non è riarmo ma costruzione di un modello di difesa e deterrenza, un’opportunità per investire nella sicurezza, che è uno dei prerequisiti per la libertà di ogni nazione: più difesa vuol dire più tutela e più protezione. Fermo restando che l’impegno leale dell’Italia deve continuare a essere ancorato alla cornice della Nato, è altrettanto importante che il pilastro europeo di quest’alleanza venga rafforzato. Questo approccio integrato contribuirà a garantire una maggiore sicurezza e protezione per i cittadini europei, consolidando al contempo l’autonomia strategica dell’Europa nel contesto globale».

[Fonte: www.secoloditalia.it]

Questa voce è stata pubblicata in Rassegna stampa, Rassegna stampa - Sottosegretario alla Difesa.