Percorso:

“Right Job – Lavoro senza diritti” – Tratta e sfruttamento lavorativo degli immigrati a Roma e nel Lazio – Presentazione di Isabella Rauti

Sono particolarmente lieta di scrivere la prefazione alla pubblicazione della ricerca, condotta nell’ambito del Progetto Right to Job della Cooperativa Sociale Parsec, sul tema del grave sfruttamento lavorativo della Regione Lazio.
Nel corso delle mie attività, in particolare da quando sono stata nominata Capo Dipartimento per le Pari Opportunità, ho rafforzato la consapevolezza che l’esercito dei diritti fondamentali da parte delle persone coinvolte nel grave fenomeno dello sfruttamento lavorativo, sia lo strumento necessario per cancellare dalla società manifestazioni di inciviltà così gravi ed inaccetabili e, per incrementare ciò, è fondamentale favorire e sostenere le ricerche specifiche in questo campo. Esse sono finalizzate ad estendere la conoscenza, ad oggi ancora limitata, delle nuove forme di sfruttamento para-schiavistico degli esseri umani; questo fenomeno ha subito una forte accelerazione negli ultimi anni, manifestandosi anche in maniera articolata ed in connessione con altri disagi sociali e legato soprattutto all’immigrazione clandestina. La sua connotazione specifica è una schiacciante sopraffazione della dignità umana da parte di uomini ed organizzazioni senza scrupoli. La tratta di esseri umani, e nello specifico, quella a scopo di sfruttamento lavorativo, costituisce un gravissimo delitto: la mercificazione delle persone, l’annullamento della loro dignità, la negazione dei loro diritti, sono le odiose contraddizioni delle società cosiddette evolute e sviluppate.

Il lavoro non è solo una piaga “morale” del nostro Paese ma rappresenta anche un danno allo Stato e all’economia reale. Il “sommerso” nel 2009 ha prodotto un fatturato di 154 miliardi di euro, sottratti ad ogni tipo di tassazione, e le ricadute di questa “concorrenza sleale” sono enormi anche per i lavoratori regolari.

E’ chiaro quindi che non conviene a nessuno continuare ad alimentare il fenomeno con l’omertà, la paura e la complicità. Il nodo è rappresentato dalla capacità del corpo sociale di recuparare una reazione vitale in grado di produrre una spinta in avanti nel contrasto del fenomeno e non cedere alla “tentazione” della sua rimozione, di renderlo più invisibile di quanto già non sia, rinunciando ad avviare consapevolmente elementi di sviluppo nella lotta contro di esso.

E’ fondamentale richiamare l’attenzione di tutti su questi fenomeni che vengono poco percepiti e trattati come marginali. In realtà negli ultimi anni, invece, le forme di lavoro coercitivo ed abusivo, stanno assumendo una significatività crescente e pervasiva. Fronteggiare la tratta di esseri umani, come anche il Dipartimento di cui sono stata a capo, si propone di fare con la Commissione Interministeriale per il sostegno delle vittime di tratta e grave sfruttamento e con l’Osservatorio ad essa collegato, vuol dire mettere in campo incisive strategie interconnesse di prevenzione, tutela e contrasto a livello nazionale e transnazionale.

Sarebbe opportuno allargare l’applicazione degli strumenti, ormai collaudati, di protezione, assistenza ed integrazione sociale destinati alle vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, anche alle vittime di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo, operando un’analogia anche concettuale fra le due tipologie di sfruttamento. Apposite campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica potrebbero, tra l’altro, favorire l’emersione del fenomeno e la consapevolezza, da parte delle vittime dell’effettiva fruibilità dei diritti umani fondamentali.

Ma per poter mettere in atto tutto ciò, bisogna preventivamente individuare e conoscere le condizioni e i rapporti di forza che determinano le forme dello sfruttamento le quali spesso sono caratterizzate dalla assoluta deregolamentazione e precarietà del rapporto lavorativo, da carichi di lavoro pesantissimi, scarsa retribuzione e mancata integrazione sociale dei lavoratori, che, come ho avuto modo di asserire, sono spesso immigrati clandestini.

Dall’analisi dei dati più recenti sull’immigrazione, inoltre, appare evidente che negli ultimi decenni l’immigrazione ha cambiato volto ed è diventata sempre di più immigrazione femminile. I dati sono tali da spingere gli osservatori a parlare, tecnicamente, di “femminilizzazione delle ondate migratorie”, in relazione alla “femminilizzazione della povertà”, causa, tra l’altro, del triste fenomeno dell’espansione della tratta delle donne destinata alla prostituzione, evidenziando la matrice comune tra lavoro para-schiavistico e prostituzione forzata. Si tratta, infine, di una immigrazione non più temporanea ma tendenzialmente permanente e stabile, tesa al radicamento, che rende necessario e non più procrastinabile, l’analisi ed una possibile soluzione dei fenomeni criminosi ad essa associati.

Incisive ed efficaci strategie di contrasto al lavoro sommerso e coercitivo, condivise anche con la società civile potrebbero azionare, quindi, un meccanismo virtuoso in grado di migliorare l’occupazione, il rispetto dei diritti sul lavoro di tutti i lavoratori, lo sviluppo della protezione e del dialogo sociale e di accelerare l’auspicato cambiamento culturale degli italiani nei confronti del lavoro nero e dello sfruttamento lavorativo.

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