Percorso:

234ª Seduta Pubblica – Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 (1812)

Resoconto stenografico in corso di seduta

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Rauti. Ne ha facoltà.

RAUTI (FdI). Signor Presidente, il provvedimento di conversione in legge del decreto-legge n. 33 del 2020, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, in discussione oggi, è – diciamolo – un piccolo omnibus, un calderone che ancora una volta conferma l’assenza di una visione di sistema. È altresì l’ennesima conferma – spiace rilevarlo – di una corsa continua ai correttivi ex post facto, dopo il fatto, cioè a posteriori. Ormai ci siamo abituati, ne abbiamo già discusso in Assemblea ed è inutile ripeterlo, perché tanto il Paese lo sa.

Abbiamo assistito a un massiccio ricorso a strumenti normativi straordinari, decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, giustificati dall’urgenza, quindi atti amministrativi, cui poi si è corsi a mettere un cappello, una cornice legislativa e una legittimazione, con una sorta di continua sanatoria.

Sul tema del coronavirus e degli interventi ad essa relativi, abbiamo perso il conto. Tra leggi, decreti, decreti-legge, circolari e ordinanze, il conto lo abbiamo perso, in Aula e fuori. Secondo il monitoraggio del sito di Openpolis, che arriva oggi, dall’inizio dell’emergenza abbiamo superato di molto – e la cifra vi stupirà – i 40.000 provvedimenti. Sono già 299 le leggi, con oggi arriveremo a 300. Quasi incalcolabile il numero dei decreti attuativi. Complessivamente, è stato calcolato che, per 13 decreti-legge, servono ancora 165 decreti attuativi.

Chissà cosa succederà, non oso pensarlo, con il decreto rilancio, quel mostro legislativo, in corso di approvazione, che ha già realizzato nove decreti attuativi; 94 sono in divenire e forse lo rimarranno a lungo. Se aggiungiamo, poi, i decreti regionali e gli atti comunali si supera la quota, succitata, dei 40.000 provvedimenti.

La prima considerazione che si impone alla oggettività, e si impone come una pietra, è il trionfo assoluto della burocrazia e della confusione. Il premier Conte continua a recitare il suo mantra propagandistico: sburocratizzare lo Stato. E meno male! Invece, la realtà è un’altra. Anche in questo caso è un’altra e si è persa una buona occasione per sburocratizzare davvero, per dare una sforbiciata alle procedure che bloccano tutto, non da oggi, è ovvio, ma da anni. Invece, no. Un oceano di provvedimenti ed un esercito di strampalate, quanto inutili, task force (circa 450 persone in 15 organismi), composte da super sapientoni che agli Stati Generali avrebbero dovuto fornire un piano blindato di rinascita del Paese. Questo era quanto c’era stato promesso. La fumosa conferenza stampa, però, quasi emotiva, del presidente Conte a fine lavori racconta tutta un’altra storia e ancora siamo in attesa di capire quali sono le proposte. Insomma, il peso antico della burocrazia ha inciso sulla gestione della crisi, sulle fasi 1,2,3, sulla ripartenza e sulle riaperture.

Proprio sulle riaperture e sulla ripartenza, purtroppo, non sono state ascoltate, e tantomeno accolte, le proposte di Fratelli d’Italia. Non le cito tutte, ma voglio ricordare la richiesta di maggiori semplificazioni, gli interventi per compensare le perdite (ovvero liquidità vera e indennizzi immediati per compensare, appunto, le perdite), la mancata chiarezza di comunicazione sulle regole, i tempi e i modi delle stesse.

Ancora, il fatto di non fare differenze di ATECO e di settore e di fare tutto un calderone, un gran caos, invece di consentire una riapertura graduale in base a chi era in grado di garantire, con la riapertura, il rispetto delle regole e dei protocolli di sicurezza. Invece no, si è riaperto grazie alla forza, al coraggio e alla resilienza degli italiani. Un pensiero lo voglio tributare a tutti coloro che, invece, sono stati chiusi per decreto e mancanza di aiuti e non hanno ancora riaperto: sono almeno il 30 per cento delle attività.

Diciamo anche che il Governo è andato in tilt e, senza il pressing delle Regioni, forse l’Italia non avrebbe neanche riaperto in quel preciso momento. Ma andiamo avanti. Io voglio scegliere un solo esempio, drammatico, di tilt tra i tanti e lo scelgo perché ha condizionato il quotidiano e la vita di milioni di persone, di grandi e di piccini. Mi riferisco, ovviamente, alla chiusura delle scuole in tempo di riapertura del Paese.

Fratelli d’Italia ha elaborato un pacchetto articolato di proposte sulla riapertura delle scuole, con norme differenziate, norme precise, in relazione, evidentemente, all’ordine e grado scolastico e alle fasce d’età. Invece, niente: scuole chiuse durante la riapertura e, voglio ricordarlo e ne abbiamo discusso anche qui in Aula, donne che non sono potute tornare al lavoro per restare a casa ad accudire i figli, segnando, con questa questione un arretramento sociale che ha riportato indietro il Paese agli anni ’50.

Insomma, cari colleghi, tra fughe dai confronti in Parlamento, la bulimia dei videomessaggi presidenziali e le dirette e il ricorso compulsivo ad atti amministrativi, direi – in una battuta – che c’è stata chiusura senza criterio e riapertura senza un piano. Fratelli d’Italia ha fatto dall’inizio dell’emergenza il suo ruolo responsabile. Ha votato gli sforamenti di deficit ed è stata presente.

In via conclusiva, però, vogliamo dire che complessivamente, su tutta l’emergenza Coronavirus, troppe cose non tornano fin dall’inizio. Ci sono state responsabilità e omissioni e continuano ad esserci. Lo ripeto: sull’emergenza Covid i conti non tornano. Ci sono state omissioni e responsabilità che andranno individuate. Chi si assume la responsabilità di aver detto, ad esempio, che era solo un’influenza, che gli asintomatici non erano contagiosi, che il virus non rimaneva sugli oggetti e potrei continuare? Chi si assume la responsabilità di aver dichiarato l’emergenza sanitaria il 31 gennaio e di non aver fatto nulla fino a fine febbraio? Chi si assume la responsabilità dei ritardi sui tamponi e sui test sierologici?

Purtroppo potrei continuare ma concludo perché il conto politico si presenterà, prima o poi. Noi non lo abbiamo fatto per senso di responsabilità ma la realtà si imporrà su chi dovrà giustificare omissioni e responsabilità. Quello che preoccupa – e lo dico senza polemica – è l’inerzia e il ritardo del Governo, la confusione dei messaggi e soprattutto questo storytelling governativo che racconta sempre un Paese che non c’è, che non esiste, che noi non vediamo, non lo viviamo perché la realtà è tutt’altra. Ciò che colpisce davvero, anche dopo gli ultimi Stati Generali, non è l’assenza di competenza, non è l’assenza di coordinamento, non è l’assenza di sistema, ma è una cosa molto più semplice. Quello che colpisce e preoccupa è l’assenza di comune buon senso, di percezione e dimensione di una normalità che la politica non dovrebbe mai perdere di vista. (Applausi).

[Fonte: www.senato.it]

Questa voce è stata pubblicata in Interventi in Aula Senato, Primo piano.