Percorso:

Valorizzazione delle competenze e sviluppo professionale delle donne nella P.A.

Convegno “Donne e leadership nei vertici istituzionali e aziendali.
Lo stile di management di genere nella cultura pubblica”

Roma, 18 novembre 2009

Intervento della Prof.ssa Isabella Rauti

“Valorizzazione delle competenze e sviluppo professionale delle donne nella P.A.”

Evoluzione Normativa

E’ importante ricordare, parlando di normativa che le pari opportunità si fondano su due concetti distintivi promossi dalla conferenza dell’ONU sulle donne del 1995 (la c.d. Conferenza di Pechino) il concetto di mainstreaming (letteralmente traducibile in “stare sul filo della corrente”), un orientamento che prende in esplicita considerazione il genere in tutte le diverse politiche pubbliche e dunque non tratta delle politiche per le donne in un settore separato come hanno spesso fatto le politiche dedicate alle pari opportunità. Questo è un processo che garantisce che donne e uomini traggano gli stessi vantaggi e che non si perpetui la disuguaglianza.

L’altro concetto è quello di empowerment (letteralmente traducibile in “rafforzamento”, “potenziamento”) che riguarda l’attribuzione di potere alle donne. Potere e responsabilità intese sia come promozione delle donne nei centri decisionali della società, sia come un sollecito alle donne ad accrescere la propria autostima, ad autovalutarsi, ad accrescere le proprie abilità e competenze. Il potere delle donne, di avere voce in capitolo nella società e nella politica sono un bene ma anche uno strumento per realizzare uno sviluppo più equo, una politica più democratica, una società più libera e solidale.

E’ chiaro che non può esserci né mainstreamingempowerment senza consapevolezza così come non c’è consapevolezza senza conoscenza; e conoscere significa potersi orientare, utilizzare al meglio le risorse personali e sociali per far crescere il mondo. Promuovere la cultura del mainstreaming e dell’empowerment è, quindi, un obiettivo che richiede alla base una comunicazione intesa come passaggio e scambio d’informazioni, indispensabile per la conoscenza di situazioni, prospettive, idee. Questi due concetti vanno dunque intesi come due pratiche di governo che arricchiscono e danno nuovi significati al termine democrazia.

Il processo di empowerment inoltre è strettamente legato anche alla rappresentanza nelle istituzioni e nei processi decisionali che come ben sappiano in Italia le donne sono poco rappresentate.

In questa legislatura le donne sono il  21,3% alla Camera e il 18% al Senato. I dati attuali, anche se sono i più alti raggiunti dall’Italia nelle varie legislature, a livello internazionale posizionano il nostro Paese solo a al 52° posto su 188 nazioni al pari della Cina (21,3% di donne nel Parlamento) dietro a Paesi come l’Argentina o Cuba (sopra il 40%), Spagna, Germania e Nuova Zelanda con oltre il 30%  e la Svizzera e il Portogallo con il 28%. E, ancora, queste percentuali di rappresentanza femminili sono lontane rispetto alla soglia del 30% – stabilita dalla Commissione ONU sulla Condizione femminile già nel 1990 – e considerata come quota minima ai livelli nazionali affinché le donne possano  avere un peso a livello decisionale. La pratica elettiva ha sessant’anni,  ma non li dimostra; né nella presenza delle donne nelle Istituzioni politiche né nella loro partecipazione alla politica.

L’Europa

A livello europeo, le pari opportunità costituiscono uno dei principi base dell’ordinamento dell’Unione Europea, che oggi riveste un importante rilievo costituzionale nel Trattato dell’Unione e assume un ruolo strategico nella programmazione dei Fondi strutturali europei. Questo principio è definito, in sede comunitaria, come il superamento di tutte le forme di discriminazione e la promozione della parità tra uomini e donne in riferimento a:

le opportunità sul mercato del lavoro e nel trattamento sul lavoro;

il perseguimento dell’integrazione tra uomini e donne nel mercato del lavoro, nell’istruzione e nella formazione professionale;

la realizzazione di interventi volti a favorire l’attività imprenditoriale femminile;

la conciliazione tra vita familiare e vita professionale per uomini e donne;

la partecipazione equilibrata nelle sedi decisionali.

Le Pari Opportunità sono quindi considerate parte integrante delle politiche europee per l’occupazione per il perseguimento di due obiettivi: raggiungere la ‘gender equality’ tramite l’aumento del livello di accesso delle donne al lavoro e un miglior sviluppo professionale e qualità del lavoro.

L’Unione Europea ha assunto il gender mainstreaming come strategia centrale per le pari opportunità: Sono diversi decenni ormai che la L’Unione Europea si occupa di pari opportunità, tramite trattati, norme, direttive, programmi d’azione.

L’Italia

Per illustrare il percorso normativo dell’Italia vorrei soffermarmi solo sulle grandi tappe che lo hanno caratterizzato.

La prima, che potremmo chiamare “la carta costituzionale”  (1945-1960), è caratterizzata dall’affermazione del principio di uguaglianza e dal riconoscimento del diritto al lavoro per tutti, si  sancisce, quindi, la necessità di promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

La seconda, che riguarda la tutela delle differenze (1960-1980), è caratterizzata dalle direttive e leggi sulla parità di trattamento tra uomini e donne sul lavoro e nella società e dal ricorso al “divieto di discriminazione”. In questa fase nasce il concetto di concetto di “genere” .

La terza fase è quella delle azioni positive (1980-1995). In Italia si avviano politiche istituzionali di pari opportunità anche attraverso la creazione di specifici organismi; nascono i/le Consigliere di parità. Inoltre, si introduce il concetto di “azione positiva” come misura finalizzata a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità. In Europa, si avviano i Piani di Azioni sulle Pari Opportunità.

La quarta e ultima fase, che parte dal 1995 e arriva ad oggi, è caratterizzata dalla nascita dei due concetti di gender mainstreaming e empowerment di cui ho parlato in apertura. Il punto di snodo è stato la Conferenza Mondiale delle Donne di Pechino dove sono state per la prima volta coinvolti i movimenti femminili e le ONG con l’obiettivo di “guardare il mondo con occhi di donna“. Gli impegni presi a Pechino nel 1995 (la piattaforma di Pechino siglata da tutti gli Stati presenti) rimangono ancora validi a quasi 15 anni di distanza. Infatti, la prossima conferenza mondiale sulle donne, che si terrà a New York nel marzo del 2010, si propone di fare il punto sull’implementazione da parte dei governi della piattaforma di Pechino e di concentrare gli sforzi sullo scambio di esperienze e di buone pratiche.

Tra le norme legislative italiane citerò solamente il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, (D.Lgs. 11-4-2006 n. 198) che rappresenta il punto di riferimento delle norme sulle pari opportunità e che oggi è oggetto di discussione per  migliorarlo e adeguarlo al mutato contesto economico e sociale. Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, il codice include temi come il divieto di discriminazione nell’accesso agli impieghi pubblici (art. 31), il divieto di licenziamento per causa di matrimonio (art.35), le modalità di adozione e le finalità delle azioni positive (art 42), il rapporto sulla situazione del personale (art. 46) e le azioni positive nelle pubbliche amministrazioni (art.48).

2. La Direttiva sulle “Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche” del 23 maggio 2007

Come ben sappiamo, il settore pubblico, che raccoglie quasi 3,5 milioni di lavoratori e lavoratrici, è un settore lavorativo e d’impiego con una straordinaria concentrazione di presenza femminile: nella media le donne sono il 55% ma vi sono settori, come la sanità o la scuola, dove le donne rappresentano quasi i due terzi dell’occupazione (il 62% e il 77% rispettivamente). La Direttiva sulle “Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche” del 23 maggio 2007 voluta dal Ministro per le Pari Opportunità e dal Ministro della Funzione Pubblica interviene proprio su questi temi. Si propone di valorizzare la presenza femminile nel pubblico impiego, di favorire le progressioni di carriera per le donne e di sostenere politiche organizzative e politiche attive del lavoro, tese a realizzare la conciliazione tra i tempi di vita e i tempi di lavoro.

Ma la Direttiva contiene anche tante altre indicazioni, che si tralasciano, perché il nodo è sempre lo stesso: pur in presenza nel nostro Paese di un quadro normativo sulle parità articolato ed equilibrato, permangono nell’amministrazione pubblica, come in tutti gli altri settori, ostacoli materiali al raggiungimento sostanziale delle pari opportunità tra uomo e donna. Quindi, lo scarto di parità non attiene agli aspetti prescrittivi e normativi bensì a quella che viene definita la parità sostanziale e di fatto, quella si potrebbe definire  parità sociale.

Con la Direttiva ci si è posti, quindi, l’obiettivo di promuovere la piena attuazione delle disposizioni vigenti in materia di parità e pari opportunità, di aumentare la presenza delle donne in posizioni apicali, di sviluppare politiche per il lavoro pubblico mediante pratiche lavorative e, insieme, culture organizzative di qualità, tese a valorizzare l’apporto delle lavoratrici e dei lavoratori delle amministrazioni pubbliche.

La Direttiva è destinata a fornire ai vertici delle Amministrazioni, e in particolare ai responsabili degli Uffici del personale, un ausilio per orientare le politiche di gestione delle risorse umane di organizzazione del lavoro secondo le linee di azione ivi delineate.

Con riferimento a tali politiche, e alle concrete azioni adottate, la Direttiva chiede alle amministrazioni destinatarie di effettuare una relazione annuale, al fine di verificare e misurare il grado di attuazione delle disposizioni normative vigenti in materia.

La Direttiva punta alla rimozione di qualsiasi forma di discriminazione, tendendo alla valorizzazione delle differenze tra uomini e donne e delle competenze di lavoratori e lavoratrici.

Il ricevimento delle relazioni avviene attraverso un format predisposto, che richiede non solo dati quantitativi del personale, ma anche dati qualitativi rispetto alle misure effettivamente attuate, introdotte o rispettate, alle politiche di pari opportunità, nonché agli aspetti legati alle azioni positive e ai piani triennali.

Il bilancio di questi primi due anni è positivo: sono oltre 200 le amministrazioni che hanno risposto. Quest’anno abbiamo ricevuto 109 format e di questi oltre la metà sono amministrazioni centrali, qualificando, nel tempo, la risposta con una maggiore presenza delle amministrazioni dirette destinatarie; infatti, sul totale dei rispondenti la quota delle amministrazioni dirette destinatarie è passata dal 23% (29 amministrazioni su 127 dell’edizione 2007) al 52% (55 su 109 totali nel 2008). Viene riaffermato anche per l’annualità 2009 il forte interesse delle amministrazioni locali con un totale di 54 tra comuni, province e altri enti territoriali. Consolidata è ormai la riposta dei principali enti di previdenza che sia nel 2007 che nel 2008 hanno inviato la relazione, mentre più che raddoppiata la risposta degli enti di ricerca che sono passati da 5 della prima annualità a 12 nella seconda. Inoltre, quest’anno tutti i Ministeri hanno risposto alla direttiva rendendo possibile un’analisi di dettaglio di questa tipologia di amministrazione.

Il campione, che riguarda quasi 270.000 persone (140.000 donne e 130.000 uomini) solo per l’ultimo anno, può considerarsi rappresentativo delle tendenze di fondo delle amministrazioni pubbliche centrali e in particolare dei Ministeri.

Questi segnali positivi mostrano che la valorizzazione delle differenze tra uomini e donne e delle competenze di lavoratori e lavoratrici e la rimozione di qualsiasi forma di discriminazione sono un valore aggiunto nella gestione delle risorse umane dell’Amministrazione Pubblica.

I risultati di questa seconda annualità saranno disponibili sui siti dei due dipartimenti dall’11 novembre 2009. Vorrei comunque fare alcune rilevazioni sulle principali tendenze, peraltro già riscontrate lo scorso anno.

Per quanto riguarda la presentazione dei piani triennali di azioni positive si conferma il carattere per lo più occasionale e non programmato degli interventi in materia di pari opportunità. Questo aspetto dell’occasionalità, che talvolta diventa sporadicità, è un elemento da stigmatizzare ed affrontare, perché in realtà ci dovrebbe essere un meccanismo di sistema e di rigore. Quest’occasionalità, tra l’altro, contrasta con la previsione normativa che impone alle Amministrazioni di predisporre piani triennali di azioni positive. Ci sono dunque una serie di norme che non vengono applicate. Troppo spesso quando si tratta di normative di parità e di pari opportunità si assiste, infatti, a uno scarto tra la parità normativa descrittiva cogente e la parità sostanziale, sociale ed effettiva. Questo è esattamente lo spazio molle in cui non solo si annidano le forme di non attuazione dei principi di pari opportunità, ma dove affondano le radici e crescono tutti gli atteggiamenti discriminatori.

Le relazioni da presentare, devono contenere la descrizione del personale suddiviso per genere, la descrizione delle azioni realizzate nell’anno, con l’evidenziazione dei capitoli di spesa e dell’ammontare delle risorse impegnate e la descrizione delle azioni da realizzare negli anni successivi. Gli obiettivi da raggiungere sono: la rimozione delle discriminazioni, l’adozione dei piani triennali di azioni positive e la loro messa a sistema nell’organizzazione del lavoro. Quest’ultimo elemento prevede un’organizzazione strutturata su modalità che favoriscano la conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro, nell’ottica di un’Amministrazione amichevole rispetto alle esigenze dei dipendenti e che sia consapevole del fatto che la maggior parte delle disfunzioni che noi riscontriamo nasce dalle difficoltà di attuazione della conciliazione stessa. Altri elementi contenuti nelle relazioni sono inerenti alle politiche di reclutamento e di gestione del personale ed alla diffusione e  all’operatività dei Comitati per le Pari Opportunità.

Quali sono gli altri elementi di criticità che emergono nella Pubblica Amministrazione attraverso la lettura delle relazioni? Il principale riguarda senza dubbio i modelli di organizzazione del lavoro. Noi viviamo in una società che viene definita post-fordista che ha modificato completamente il suo volto, una società in cui i modelli di organizzazione del lavoro si sforzano di inseguire i cambiamenti verificatisi, stentando ad adeguarsi alle nuove esigenze. In realtà noi viviamo ancora in un meccanismo estremamente rigido, pur se invochiamo costantemente modelli di flessibilità di varia natura. È come se ci fosse uno scarto difficilmente riducibile tra le aspettative delle modifiche da introdurre e la possibilità di plasmare il modello di organizzazione del lavoro rispetto ad esse. Esiste, in definitiva, una riottosità dei modelli organizzativi rispetto ad una flessibilità concreta, che permetta la conciliazione tra vita lavorativa e vita privata.

Un altro aspetto critico, che emerge è quello legato alla rappresentanza femminile all’interno delle Pubbliche Amministrazioni nelle posizioni apicali. È evidente che bisogna immaginare politiche di gestione del personale che favoriscano e poi garantiscano l’equilibrio delle presenze femminili nelle posizioni apicali e all’interno delle progressioni di carriera. In realtà, nonostante i tanti cambiamenti introdotti, i sistemi di valutazione restano ancora fortemente condizionati da logiche stereotipate. Si riproducono cioè all’interno dei sistemi di valutazione alcune logiche che si incontrano anche nella mentalità comune corrente. Imbattersi con gli stereotipi nella vita privata o in un qualsiasi contesto sociale ha naturalmente un certo impatto, ma vederli legittimati all’interno di un contesto professionale produce un effetto di maggiore smarrimento. Bisogna, dunque, riconsiderare con sincerità gli aspetti e i criteri di valutazione.

Esistono poi degli aspetti quantitativi che non possono sfuggirci, come i divari salariali e i differenziali retributivi, annidati nelle competenze  salariali accessorie, che vanno a svantaggio dell’elemento femminile.

Affrontare le questioni delle pari opportunità nella Pubblica Amministrazione significa operare in un comparto che dovrebbe essere privilegiato a causa dell’eccezionale presenza di personale femminile. Proprio per questo aspetto di grande presenza femminile, la Pubblica Amministrazione rappresenta in un certo senso la metafora delle contraddizioni insolute, che può essere esteso alla rappresentanza femminile nelle istituzioni, come in molti altri comparti. Il meccanismo sociale che risulta dall’analisi è quello di una presenza quasi ineccepibile di normative a garanzia dei diritti di pari opportunità, ma di uno scarto sostanziale nella loro applicazione. Nella Pubblica Amministrazione non c’è solo una concentrazione eccezionale di presenze femminili che non raggiungono le posizioni apicali, ma anche una grande qualificazione delle donne lavoratrici. Se andiamo a vedere i titoli di studio ci rendiamo conto che si tratta di personale estremamente qualificato. Le pratiche di genere applicate alla Pubblica Amministrazione diventano dunque paradigmatiche e particolarmente significative proprio in quanto essa rappresenta una metafora. In una ricerca sulla materia ho una volta scritto che è come se questa maggioranza femminile fosse trattata, gestita e vissuta come una minoranza. Il che racchiude anche il concetto di marginalizzazione.

3. Conclusioni

In Italia siamo, quindi, alla presenza di un quadro molto articolato e complesso di organizzazioni il cui scopo statutario è la realizzazione delle pari opportunità, diverse per regolamentazione e composizione, ampiamente diffuse sul territorio, di livello nazionale, regionale e locale.

Se il sistema legislativo e degli organismi di parità nel nostro Paese rappresentano un’indubbia ricchezza politica e di democrazia, dall’altro, non costituiscono ancora un sistema efficace poiché mancano collegamenti e raccordi e la definizione puntuale degli ambiti di intervento, sia politico che territoriale. Siamo in un momento storico nel quale abbiamo visto il susseguirsi di un processo di riforme che ha riguardato gli assetti istituzionali del nostro paese e che ha coinvolto espressamente anche gli organismi di parità. Ci si riferisce alla riforma del titolo V e dell’art. 51 della Costituzione e alla riscrittura degli Statuti regionali che di fatto ha ridefinito il ruolo delle Commissioni regionali per la parità ed infine al riassetto complessivo di tutte le norme legislative sulla materia, attraverso il Codice per le pari opportunità del 2006.

Tutto questo si intreccia con il fatto che il nostro paese si è dotato, nel tempo, di un sistema molto articolato, di norme sul versante legislativo, e su quello organizzativo, di organismi e figure con il duplice compito di vigilare ed intervenire per combattere ogni forma di discriminazione fondata sul sesso ed insieme di promuovere e sviluppare le politiche di pari opportunità.

Risulta quindi chiaro che il problema da affrontare è quello di individuare le modalità attraverso le quali creare sinergie tra i diversi ruoli e le varie funzioni. Necessitano interventi mirati e concreti, per fornire strumenti finalizzati a risolvere alcuni problemi e a realizzare la parità.

Forse la nostra generazione ha tutte le “carte in regola” per uscire da quella che purtroppo nel tempo è diventata una certa retorica sulle pari opportunità, per puntare – attraverso il monitoraggio dell’applicazione delle leggi e attraverso la verifica degli strumenti – a colmare quello scarto di parità sostanziale e di parità sociale. Mi riferisco alla mia esperienza personale come esempio di una generazione cresciuta negli Organismi di parità: sono stata nella Consulta regionale femminile della Regione Lazio (di cui sono anche stata Vice Presidente), ho fatto l’esperienza della Commissione Nazionale di Parità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sono stata nominata Consigliera Nazionale di Parità e ora sono qui in veste di Capo Dipartimento Pari Opportunità.

La generazione che ha vissuto gli Organismi di parità e negli Organismi di parità ha sempre pensato che gli investimenti in questo settore fossero fondamentali. Ma bisogna avere il coraggio di dire che forse non sempre le risorse finanziarie stanziate ed impegnate in questo settore hanno avuto riscontri adeguati alle forze messe in campo.  Si pensi alle difficoltà che si incontrano di fronte al recepimento di Direttive europee, ci si rende conto di come l’Europa, dagli anni Ottanta in poi, abbia dato sulle questioni di parità delle indicazioni estremamente precise e di come, dinanzi a queste, emergano tutte le nostre fragilità e tutte le nostre debolezze, che talvolta sono di natura normativa ma altre volte sono di natura culturale, sociale e di costume. E’ proprio di fronte alla resistenza culturale che ci accorgiamo di quanto, su certi aspetti, si debba recuperare un’idea più organica delle politiche di pari opportunità e del ruolo degli Organismi che alla realizzazione delle parità sono preposti.

Non si può trattare quindi di politiche di nicchia, non possono essere politiche di settore e neanche di segmento. Le politiche di pari opportunità ed i relativi Organismi devono essere centrali nelle Agende di Governo. Si deve avere la volontà di superare quella che, a mio avviso, è stata una proliferazione ed una frammentazione degli Organismi di parità.

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