Percorso:

Ricordando la scomparsa di Bettino Craxi, un’intervista che mio padre rilasciò a Giampiero Mughini, per “Panorama” nel 1988 e che mi è tornata in mente; contiene giudizi e spunti interessanti ed attuali e non solo su Craxi

In questi giorni, in coincidenza con il ventennale della scomparsa di Bettino Craxi (Hammamet, 19 gennaio 2000) una serie di iniziative, promosse dalla Fondazione omonima e l’uscita del film di Gianni Amelio, hanno sollecitato le riflessioni sul leader socialista, sulla sua storia politica e sull’Italia.
Voglio riproporre un’intervista che mio padre rilasciò a Giampiero Mughini, per “Panorama” nel 1988 e che mi è tornata in mente; contiene giudizi e spunti interessanti ed attuali e non solo su Craxi.
Buona lettura e per non scordare chi siamo e da dove veniamo.

Panorama – Dopo Almirante – Parla il leader dell’ala dura del MSI – All’armi, siam ecologisti

Ex-fascista? Ma se mi occupo di ambiente, di territorio, di droga! Gli anni di Ordine nuovo? Non capivo che il mondo era cambiato. Rauti parla a ruota libera di sé, di Craxi, di Almirante, di Fini. E confessa un amore per un leader di sinistra.

Dopo la morte di Giorgio Almirante e di Pino Romualdi, è l’ultima figura carismatica del MSI, un partito il cui declino elettorale sembra inarrestabile. Di Pino Rauti, romano, 62 anni, c’è un mito e c’è una realtà. Il mito è quello del diciassettenne che si arruolò volontario nella RSI e combattè fino all’ultima raffica; quello dell’allievo di Julius Evo!a, il filosofo paralizzato alle gambe che nei primi anni Cinquanta predicava il rovesciamento del sistema parlamentare; quello del fondatore di «Ordine nuovo”, il gruppo estremista da cui venne più di un protagonista del terrorismo nero. La realtà del Rauti odierno è molto di versa. Un po’ curvo dagli anni, gli occhiati spessi da miope, l’aria di chi ne ha trascorse molte e ne è cresciuto in saggezza, è tuttora l’idolo della gioventù missina. Eurodeputato scrupolosissimo, a Strasburgo si occupa di cose molto diverse da quelle cui lo ammaestrò Evola. Non più il no secco e altero al Sistema, ma questioni concrete, per esempio come utilizzare gli edifici religiosi dissacrati.

A Sorrento, il dicembre scorso, Rauti venne sconfitto di misura da Gianfranco Fini nella corsa alla segreteria del MSI. Adesso, al primo appuntamento elettorale dopo la morte di Almirante il MSI ha perso voti anche in alcune delle sue roccaforti tradizionali. Qual è oggi ruolo possibile del MSI? A domande  di  “Panorama”  Rauti  ha risposto a  tutto campo.

Domanda. Onorevole Rauti, il vostro deludente risultato alle elezioni amministrative conferma la crisi di ruolo e identità del vostro partito. Siete stretti entro una morsa micidiale da una parte le liste locali che vi portano via l’elettorato più rabbioso, dall’altra la competizione di un craxismo che pascola quelli che erano una volta i vostri territori privilegiati, a cominciare della forma istituzionale.

Risposta. Non è una morsa micidiale, è una strettoia pericolosa. E lo diventerà sempre più se il partito continuerà a rinchiudersi in se stesso, se ci comporteremo come indiani che se ne vogliono stare nella riserva. Il dopo Almirante del MSI richiede assolutamente una svolta.

C’è di più. C’è che la storia dei valori cui vi richiamate sono ormai remoti e intraducibili nel presente. Che senso ha dirsi «fascisti» in un mondo che galoppa verso il Duemila?
Per quanto mi riguarda, non mi sono limitato a richiamarmi ai valori delta storia da cui provengo. Sono stato il firmatario, nel 1982, della prima proposta di legge in difesa dell’ambiente mai presentata nel Parlamento italiano. Mi sono battuto per la creazione di un servizio geologico nazionale, ricordando ogni volta che potevo che in Italia i geologi sono 43 e in Francia quattromila. Ho presentato una proposta di legge in cui chiedevo che alla lotta contro la droga venissero destinati 300 miliardi l’anno, contro i 19 che ne prevede l’ultimo decreto legge in materia.

Se le cose stanno cosi, faccia quel che fece Benito Mussolini nel 1914, quando lasciò un mondo politico nel quale non credeva più, il mondo del socialismo pacifista, e ne scelse un altro. Provocatoriamente, ma perché non va tra i verdi, che sono i più sensibili alle tematiche da lei indicate?
Accetto la provocazione, ma Mussolini aveva scelto il mondo che vinse la prima guerra mondiale. Al contrario, io vengo dal mondo che ha perso la seconda guerra mondiale e non posso permettermi una posizione elitaria. In politica non si può fare un balzo d’un chilometro, mentre tutti quelli della tua parte restano fermi. Quello è dannunzianesimo e non politica.

Per parlare di un politico che suscita molte suggestioni nel vostro mondo, qual è il suo giudizio su Craxi?
Una cosa è Craxi, un’altra il PSI. Craxi ha il vantaggio di una forte personalità e di un uso magistrale delle caratteristiche della società di massa. Il PSI come partito non ha un programma, né un’idea. Vive di craxismo.

L’autunno scorso, Craxi ricevette ufficialmente la delegazione missina. Pochi giorni dopo, in un’intervista a “Panorama”, Gianfranco Fini definì il PSI un partito di forchettoni. Che ne pensa di questo giudizio?
Era una mossa destinata a uso interno di partito, in realtà un’autentica follia politica. Se il PSI è un partito di forchettoni, non vai a farti ricevere dal capo dei forchettoni. Nessun partito è riconducibile alle sue patologie. Né io dimentico che quando Craxi si insediò a capo del governo, nel 1983, e c’era stato su un treno un attentato che per fortuna era andato a vuoto che altrimenti sarebbe stato micidiale, Craxi nel volgersi verso i nostri banchi a Montecitorio, disse che rifiutava di attribuire a priori e senza prove quell’attentato al terrorismo di destra: un’identificazione a priori che a lungo era stata per noi devastante.

Un Rauti che avesse oggi 17 anni, l’età in cui lei si arruolò volontario nella RSI, andrebbe con Craxi o nel MSI?
Credo che un giovane di cultura e cervello verrebbe con noi. Poi, la tentazione craxiana non è così forte nel nostro mondo. È Forattini che vede gli stivali in Craxi, non noi. Questo poi non è il tempo degli stivali.

Fini ha sospeso dal partito una delle voci critiche del MSI, Giuseppe Niccolai, reo di aver dato al “Corriere della Sera” un’intervista beffarda verso la sua linea antisocialista.
In un partito profondamente diviso e in un momento difficilissimo com’è questo, quella d’avere sospeso Niccolai è una carognata. Fini dimentica che Niccolai è uno degli elementi del MSI dei primordi e che è una voce critica ascoltata dalla base del partito. Lui aveva oltretutto chiarito la portata della sua intervista, solo che i giornali erano in sciopero e non avevano potuto pubblicare la sua precisazione.

In queste ultime settimane lei s’è mai trovato a tu per tu con Fini?
Mai. Se ci incontriamo alla buvette di Montecitorio, ci guardiamo bene dal parlare del partito. Io gli ho pubblicamente preannunciato un’opposizione corretta ma durissima. Con tutto questo, in campagna elettorale ho fatto il mio dovere e benché non una volta il “Secolo d’Italia” abbia riferito dei miei comizi. Pino Romualdi ne aveva fatto l’organo della maggioranza e non più l’organo di tutto il MSI.

Qual è il ricordo più bello e qual’è il ricordo più doloroso del suo rapporto politico e umano con Almirante?
Il ricordo più bello è un giorno di aprile del 1972, quando venni scarcerato dopo 55 giorni di detenzione perché accusato della strage di piazza Fontana, e li, di fronte al carcere milanese, c’era Almirante ad aspettarmi. Con lui e con altri amici passammo una serata festosa. Il ricordo più brutto è legato all’ultimo congresso del partito, quando Almirante si avventò contro di noi dicendo che gli volevamo rifiutare la carica di presidente del partito. Almirante dimenticava che quella carica io stesso gliel’avevo proposta, come ruolo che naturalmente gli spettava se lui non avesse preso quella posizione così acutamente ostile contro di noi.

Prima di Sorrento, non vi eravate mai parlati faccia a faccia?
Più volte. Gli dissi che avevo intenzione di candidarmi alla segreteria. Mi obiettò che la mia immagine passata rendeva questa ipotesi pericolosa. Ribattei che la mia immagine passata era un oggetto museale. A Sorrento presi la parola il 12 dicembre, anniversario di piazza Fontana. Non un solo giornalista, l’indomani, speculò su questa coincidenza.

A Sorrento i suoi più feroci avversari furono i giovani leoni romualdiani, a cominciare da Guido Lo Porto…
Loro sono di destra classica e mi accusano di essere un’eresia del MSI, di voler sradicare il partito dalle sue tradizioni fino a trascinarlo in un’avventura nazional-popolare.

Lei sente più vicino e congeniale uno «di destra» come Lo Porto o uno «di sinistra» come Mario Capanna?
Capanna era il capo degli sprangatori milanesi…

Metta al posto di Capanna uno di sinistra che le sta simpatico.
Metterei Stefano Rodotà. Dovessi dire chi mi è più congeniale tra lui e Lo Porto, sceglierei comunque Lo Porto perché viene dalla mia stessa storia. Solo che con Lo Porto sono in disaccordo al cento per cento, mentre nelle posizioni di un Rodotà sento l’eco di problematiche e di preoccupazioni che sono anche le mie.

Lei è anche l’autore di una “Storia del Fascismo” che ha suscitato una volta l’apprezzamento di Giorgio Galli. Dovesse mettere mano a un articolo su quel che accadde il 25 luglio, che cosa scriverebbe di Dino Grandi?
Scriverei che fin dalla notte successiva al voto del Gran Consiglio che mise in minoranza Mussolini, avrebbe dovuto essere preso alla gola come da un rovello di coscienza, dal rimorso per avere fatto lui quello che spettava ad altri; salvare il salvabile. Questo spettava al re, forse a militari che non s’erano compromessi con il fascismo; non poteva spettare a un uomo politico che era cresciuto nel fascismo e ne aveva condiviso tutte le responsabilità, buone e cattive.

Il Rauti di oggi come giudica il Rauti di trent’anni fa, il Rauti che nel 1956 uscì dal MSI e fondò il gruppo estremista di “Ordine nuovo”?
Come uno che era un estremista nelle tesi e nelle idee, e che giovanilmente non teneva presente che le idee possono pesare come pietre. Come uno che non si rendeva conto che in Europa era in atto una sorta di mutazione antropologica che rendeva impossibile il ricorso alle precedenti esperienze, quella fascista e quella nazista.

I suoi amici preferivano il nazismo al fascismo.
Non io, che al fascismo ero legato personalmente  per  aver  combattuto nei  reparti  d’assalto della  RSI.  Molti giovani erano affascinati dal modo nibelungico in cui il nazismo aveva combattuto la sua ultima battaglia.

Quali lingue straniere conosce?
Conosco il francese, leggo lo spagnolo, me la cavo in inglese.

Non il tedesco?
Ne conosco solo le locuzioni di guerra.

Vorrebbe che un giornalista straniero la definisse un ex-fascista oppure un uomo di 60 anni che sta cercando la sua strada?
Come un uomo di 60 anni che sta cercando la sua strada.

Giampiero Mughini

[Fonte: pinorauti.org]

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