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PoliziaModerna – Stop alla strage di donne – Le misure allo studio del Governo nell’intervista a Isabella Rauti, consigliere del ministro dell’Interno Angelino Alfano

di Gianni Sarrocco

Giù come birilli, una dopo l’altra e si arricchiscono tragicamente le statistiche sul femminicidio, neologismo nato per misurare la cattiveria maschile ormai giunta in cima alla scala dell’orrore. Donne ancora vittime della violenza di mariti, compagni, amici, parenti-serpenti e non manca giorno senza che gli addetti ai lavori aggiornino il macabro conteggio di quante cadono sotto i colpi implacabili di una violenza cieca, disumana e terribilmente insospettabile. Si fa presto a parlare di emergenza, e come dare torto a chi conia questa etichetta se la cronaca fa registrare delitti in serie, ma non seriali, che si consumano con ferocia bestiale? Per non parlare delle violenze che non portano alla morte ma che lasciano segni che durano una vita sul corpo e nell’animo della compagna, della moglie, della figlia, dell’amica, della madre. Infatti non c’è legame parentale che tenga che riesca a spuntare il grimaldello di violenza più o meno cieca che all’improvviso compare nelle mani di ogni uomo, italiano o straniero che sia, giovane o anziano, ricco o povero.
La situazione in Italia ha tinte fosche al punto che i due rami del Parlamento hanno ratificato velocemente la risoluzione del Consiglio d’Europa battezzata Convenzione di Istanbul. E con altrettanta celerità il vice premier e ministro dell’Interno Angelino Alfano ai primi dello scorso giugno ha nominato un consigliere per le politiche di contrasto della violenza di genere e del femminicidio nella persona di Isabella Rauti. Una scelta – come ha spiegato il responsabile del Viminale – individuata per l’alta professionalità e per il costante impegno nel settore, una nomina che conferma l’attenzione del Governo verso queste gravi problematiche che si raffigurano come una vera e propria emergenza sociale. Perciò Poliziamoderna ha creduto opportuno intervistare il consigliere Isabella Rauti per capire meglio la strategia di prevenzione e di contrasto tesa a mettere un freno ai terrificanti episodi di stalking e di femminicidio.

Quale la situazione in Italia?
Si tratta di un flagello sociale per cui è importante avere la percezione qualitativa e quantitativa delle dimensioni del fenomeno, per mettere in atto una efficace azione combinata di prevenzione e di contrasto. Abbiamo come base un’ottima normativa, quella del 2009 contro lo stalking che consente di punire gli autori di atti reiterati di molestie e persecuzioni. Diversa è la questione del contesto legislativo del femminicidio per il quale sono state presentate alla Camera dei deputati proposte di legge bipartisan (ed una proposta di commissione bicamerale) tese a introdurre il reato specifico visto come un’aggravante, quando l’omicidio è motivato da un odio di genere. Come andranno i lavori parlamentari lo vedremo nei prossimi mesi, la discussione è appena cominciata nella Commissione competente.

Intanto come ci si intende muovere?
Si sta predisponendo un pacchetto di misure di sicurezza in cui trova ampio spazio una integrazione alla legge sullo stalking con misure tese anche a dare una stretta sui reati di violenza domestica. I correttivi potrebbero essere molti, tra questi l’irrevocabilità della querela e all’arresto obbligatorio in flagranza di reato. In più potrebbero esserci l’ammonimento del questore già previsto per lo stalking anche in caso di percosse e l’istituzione di un’aggravante nelle violenze domestiche e in quelle assistite da minori. Senza dubbio le leggi sono necessarie ma non sufficienti. Ci vuole un’applicazione rigorosa delle norme accompagnata da una rivoluzione culturale, di costume e di mentalità. Abbiamo a che fare con un fenomeno multiforme e quindi l’azione di contrasto e di prevenzione deve essere altrettanto multiforme.

Quali compiti comporta l’incarico da lei assunto? Quale il suo raggio d’azione e quali impegni l’aspettano?
La scelta di creare un consigliere ad hoc è un segno di una forte sensibilità istituzionale di fronte a un fenomeno così drammatico. Significa anche voler andare oltre il concetto di discriminazione di genere ritenendo il fenomeno una violazione di un bene comune e sociale. Cioè gli atti di violenza sono una responsabilità collettiva e come tali vanno affrontati con ogni mezzo a disposizione. Negli ultimi dieci anni gli omicidi di donne sono aumentati progressivamente al punto da far registrare in Italia una vittima ogni tre giorni. Per monitorare i dati del crescente fenomeno bisogna introdurre un’ottica di genere nell’analisi degli atti criminosi. Quello che si conferma e che più sconcerta, analizzando i casi verificatisi negli ultimi tempi, è il fatto che la maggioranza sia avvenuta all’interno della famiglia. È questo l’aspetto più oscuro delle violenze, il più diffuso e il più sommerso. Tra i miei compiti c’è anche quello di arrivare a un’analisi mirata del fenomeno di allarme sociale allo scopo di trovare strumenti di contrasto e di prevenzione, che mettano in rete quanto già avviato sul campo dal ministero e dalle reti associative e di volontariato presenti sul territorio. Inoltre, è necessario operare coinvolgendo la struttura prefettizia – definita dal ministro Alfano la squadra di governo sul territorio – per il suo ruolo di “sensore” delle esigenze sociali. Molto importante è l’approccio al momento della denuncia fatta dalla donna. La vittima deve essere accolta, protetta e accompagnata nel percorso e perciò sono necessari continui corsi di formazione per il personale impegnato in questi compiti. E si sono rivelati molto efficaci i corsi già avvenuti in diverse questure d’Italia per preparare gli agenti al difficile compito.

La violenza domestica è anche un problema culturale e di educazione per cui non dovrebbero essere coinvolte maggiormente le famiglie e la scuola per rafforzare il rispetto tra persone di sesso diverso?
Certamente alla base del fenomeno c’è un’emergenza educativa per cui tutti gli strumenti e le agenzie formative sono chiamati a mettere in campo una nuova educazione sentimentale. Anche istituendo corsi di formazione per il rispetto dell’identità di genere maschile e femminile. Bisogna fare di questo fenomeno trasversale, violento e insospettabile una materia di studio, occorre lavorare più in profondità in termini di educazione e di prevenzione oltre all’aspetto penale. In più è necessaria un’azione di recupero e di rieducazione del violento. Infatti è raro che il violento si fermi alla prima azione, tendenzialmente è recidivo, per cui prima o dopo ritornerà alla carica. Il violento che chiede aiuto va aiutato a recuperarsi solo che in Italia ci sono pochissimi centri che si occupano degli uomini maltrattanti, ed è un versante sul quale si dovrebbe lavorare di più.

Come sarà composta e come opererà la task force interministeriale?
Si è già insediata, con il coordinamento del ministero per le Pari Opportunità ed è composta da rappresentanti dei ministeri Giustizia, Interno, Salute, Lavoro, Integrazione, Istruzione ed Economia. La task force è un punto di forza di questo Governo non solo per l’approccio giustamente bipartisan alla questione ma anche per lo sforzo di mettere a sistema tutti gli interventi di settore. Tra quanto programmato, oltre il necessario reperimento delle risorse, l’istituzione di un numero verde per gli uomini violenti e un osservatorio per il monitoraggio della casistica. Siccome la violenza è un fatto strutturale oltremodo strutturali devono essere le risposte di prevenzione e di contrasto.

Come intervenire nelle famiglie extracomunitarie che vivono in Italia e che provengono da culture diverse?
C’è il rischio di discriminazioni multiple e di emarginazione per cui lo sforzo deve essere più attento e articolato; mentre l’integrazione favorisce il contrasto alle tante forme di violenza. Proprio l’integrazione ha fatto emergere qualche settimana fa a Roma la brutta storia della sposa-bambina rom che è riuscita a scappare dai familiari che l’avevano ridotta in schiavitù ed ora è accolta in una struttura protetta. Bisogna aiutare le donne immigrate che rivendicano i propri diritti denunciando la loro condizione perch&eacucute; solo l’integrazione garantisce pari opportunità.

Che strumenti in più offre la Convenzione di Istanbul?
Può essere definita una svolta storica ma bisogna considerarla un punto di partenza ma non di arrivo. Si tratta comunque del primo strumento organico e giuridicamente vincolante per un’efficace lotta alla violenza sulle donne considerandola una violazione dei diritti umani ed introducendo strumenti nuovi. Il problema è che l’Italia è il quinto Paese che ha ratificato la Convenzione, dopo l’Albania, il Montenegro, la Turchia ed il Portogallo. Ma perché la Convenzione abbia valore pieno è necessario che venga ratificata con iter parlamentare da almeno altri cinque Paesi europei. Bisogna fare pressione sui nostri partner Ue e specialmente su Paesi importanti come Francia, Spagna e Germania che hanno firmato la Convenzione senza però ancora ratificarla con una legge.

Quali passi verranno fatti per il rafforzamento del contrasto al fenomeno anche a livello europeo?
Sulle iniziative di formazione di rilievo europeo la polizia di Stato ha attuato diverse progettualità specialmente nell’ambito del programma Daphne volto al contrasto di ogni forma di violenza e maltrattamento contro le donne e i minori. Inoltre, voglio ricordare le attività dell’Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD) e del Tavolo tecnico di lavoro (con rappresentanti della Direzione centrale anticrimine e del II reparto del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri) per l’individuazione di idonee misure di prevenzione della violenza e delle discriminazioni; compresa l’azione di contrasto alle violenze che si consumano nella Rete, in cui in virtù dell’anonimato e della deresponsabilizzazione dei providers, si moltiplicano fenomeni di cyber crime e cyber bullismo ed il cosiddetto hate speech. Al riguardo, la polizia postale tiene periodicamente lezioni nelle scuole perché i ragazzi possano essere liberi di navigare in sicurezza; infatti bisogna tutelare il diritto di libertà di navigazione ma occorre anche tutelare il diritto a non avere paura di utilizzare Internet.

[Fonte: www.poliziadistato.it]

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