Percorso:

Martedì 9 giugno, ore 12:00 – 226ª Seduta Pubblica

ORDINE DEL GIORNO

I. Discussione di mozioni sull’attivazione dei test sierologici per il virus COVID-19 (testi allegati)

II. Discussione di mozioni su iniziative per affrontare l’emergenza climatica (testi allegati)

MOZIONI SULL’ATTIVAZIONE DEI TEST SIEROLOGICI PER IL VIRUS COVID-19
(1-00234) (19 maggio 2020)

ZAFFINI, CIRIANI, BALBONI, BERTACCO, CALANDRINI, DE BERTOLDI, FAZZOLARI, GARNERO SANTANCHE’, IANNONE, LA PIETRA, LA RUSSA, MAFFONI, NASTRI, PETRENGA, RAUTI, RUSPANDINI, TOTARO, URSO – Il Senato,

premesso che:

con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 aprile 2020 sono indicate le misure per il contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale nella “fase due”, che prevede il progressivo riavvio del sistema economico-produttivo;

si stima che, con la riapertura delle attività produttive, saranno oltre 4 milioni le persone che torneranno al lavoro, soprattutto uomini (più del 70 per cento) e con almeno 40-50 anni (il 70 per cento appartenente alla fascia di età tra i 50 e i 59 anni e il 60 per cento a quella over 60);

non bisogna sottovalutare che, tra coloro che ritorneranno in circolazione, numerosi sono i soggetti particolarmente fragili e vulnerabili (per patologie e fasce di età): solo a titolo di esempio si è calcolato che, nel nostro Paese, vi siano circa 11 milioni di persone affette a vario titolo da malattie oncologiche e cardiovascolari, vale a dire un cittadino su 6, che è dunque fortemente a rischio;

si dovrà, inoltre, tener conto del fatto che, in attesa del vaccino o di protocolli terapeutici risolutivi, allo stato non disponibili, il virus COVID-19 continuerà per lungo tempo a circolare, ed è evidente il pericolo di procedere alle riaperture senza una strategia di contenimento del virus e senza essere pronti a tracciarne il contagio, e di ripiombare in una nuova condizione emergenziale, con un’impennata della curva epidemiologica;

appare superfluo ricordare che, per essere più preparati, è necessario investire risorse mirate, acquisire competenze e conoscenze per il monitoraggio del virus ed il controllo del territorio, si dovrà prestare grande attenzione all’insorgere di eventuali nuovi focolai epidemici, contenendoli molto precocemente;

giova ricordare ancora che la comunità scientifica trasmette la certezza che il COVID-19 sia un virus dagli effetti poco o nulla prevedibili, in un certo senso “impreciso”: oltre la metà dei casi positivi è asintomatica, nel 30 per cento dei casi è caratterizzato da un decorso lieve o moderato; si è inoltre accertato che la maggior parte della trasmissione avviene per contatto, abbastanza ravvicinato, con soggetti asintomatici e inconsapevoli quindi della loro pericolosità e che la massima carica virale si ha quando una persona sta per sviluppare i sintomi, dopodiché la positività può restare anche a lungo, ma non è detto che sia contagiosa, perché il picco di contagiosità probabilmente c’è proprio all’inizio del contagio;

è importante, al riguardo, rafforzare la medicina e l’assistenza territoriale (dai medici di base ai dipartimenti di prevenzione e urgenza) e tutte quelle attività che dovrebbero servire ad identificare prontamente i focolai nascenti, diagnosticando e isolando i casi positivi, rintracciando e isolando i contatti a rischio, approntando le necessarie terapie domiciliari in attuazione degli ultimi protocolli, attuando cioè ogni misura idonea a realizzare le cosiddette “3 T” raccomandate dall’OMS, “trace, test & treat”, per cui è indispensabile “tracciare” digitalmente la catena trasmissiva, “testare” con strumenti mirati e a risposta immediata la presenza del virus nella popolazione e “trattare” precocemente con soluzioni avanzate i soggetti positivi;

il sistema di tracciamento sociale (app “Immuni”) introdotto dal Governo, oltre che presentare molteplici criticità sia di metodo (con riferimento alla totale mancanza di trasparenza nella scelta del sistema oltre che nello svolgimento delle procedure di gara e di aggiudicazione) che di merito (in particolare sotto il profilo sia delle modalità tecnico-operative di funzionamento che della tutela della privacy, oltre che degli effettivi obblighi e adempimenti gravanti sui soggetti “monitorati”) è, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, del tutto inefficace quale misura per monitorare e contenere la diffusione del virus, per come è strutturato;

con riferimento alla necessita di testare in profondità la presenza del virus nella nostra popolazione, ad oggi la comunità scientifica riconosce affidabilità diagnostica, oltre al tampone molecolare con prelievo orofaringeo per l’individuazione dell’RNA virale, anche al test sierologico con prelievo venoso di quantificazione degli anticorpi specifici; mentre il test rapido con prelievo capillare (pungidito) per il rilevamento qualitativo di anticorpi (IgG e IgM) viene comunemente ritenuto migliore strumento quale mezzo di indagine epidemiologica e di screening dalle indubbie quanto indispensabili qualità di facilità di esecuzione, rapidità di risposta e ampia disponibilità di quantitativi utili allo scopo;

infatti l’impiego dei test rapidi è di più semplice esecuzione e di immediato riscontro, essenziale in situazioni di emergenza come quella attuale, alla vigilia di provvedimenti che rimetteranno in circolazione milioni di persone, in cui è fondamentale garantire il più ampio monitoraggio e screening epidemiologico della popolazione nel più breve tempo possibile, con mezzi di indagine preliminare che andranno, nei casi di positività, certamente avvalorati da diagnosi maggiormente accurate, come avviene in ogni procedura di screening (colon retto);

considerato che:

il Senato, in sede di esame del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” (detto “cura Italia”), ha accolto, con parere favorevole del Governo, un ordine del giorno presentato da Fratelli d’Italia, che impegnava il Governo “a valutare l’opportunità di adottare tempestivamente ogni iniziativa idonea a procedere al più ampio monitoraggio e screening epidemiologico della popolazione, a cominciare dalle categorie più esposte al rischio di contagio” (G/1766/214/5), autorizzando a tal fine “una spesa complessiva di euro 250 milioni, a valere sul livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato incrementandolo di pari importo” e specificando, altresì, che è indispensabile prevedere che tali risorse siano ripartite tra le regioni e assegnate per la realizzazione di interventi specifici finalizzati all’acquisto ed alla somministrazione di test rapidi, siano essi immunologici o sierologici, purché di pronta disponibilità, facilità di esecuzione e immediatezza di risposta;

pur, come detto, nella consapevolezza che non trattasi di strumenti diagnostici, bensì di strumenti di screening sia di ambienti critici che di popolazione nelle zone focolaio e tendenzialmente di tutta la popolazione, si ritiene tuttavia che la loro ripetizione periodica a cadenza regolare, ogni 7-10 giorni, possa offrire un quadro complessivamente attendibile e rispondente della reale diffusione del virus;

sarebbe pertanto auspicabile la loro messa a disposizione in libera vendita in farmacia come mezzo di autodiagnosi preliminare e preventiva al pari, solo a titolo di esempio, di un test di gravidanza;

preso atto che ormai molte Regioni stanno autorizzandone l’utilizzo presso i medici di medicina generale, i laboratori di riferimento regionali e nei laboratori privati convenzionati a pagamento e sarebbe auspicabile la loro messa a disposizione in libera vendita in farmacia come mezzo di autodiagnosi preliminare e preventiva (al pari, solo a titolo di esempio, di un test di gravidanza),

impegna il Governo:

1) a destinare le risorse necessarie per l’acquisto da parte delle Regioni di test rapidi per il rilevamento qualitativo degli anticorpi IgG e IgM con prelievo capillare (pungidito), in congruo numero, utile a garantire uno screening profondo, tendenzialmente totale, della popolazione;

2) a regolamentarne l’utilizzo, senza ulteriori indugi e ritardi di validazione, allo scopo, indefettibile, di procedere alle riaperture della cosiddetta fase 2 con la cautela e la sicurezza che essa richiede;

3) ad autorizzare la libera vendita dei dispositivi validati in farmacia.

(1-00240) (3 giugno 2020)

SICLARI, BINETTI, RIZZOTTI, STABILE, BERNINI, MALAN, PICHETTO FRATIN, FLORIS, TOFFANIN – Il Senato,

premesso che:

con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 26 aprile 2020 e 17 maggio 2020 sono state previste disposizioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale e disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19;

le disposizioni del decreto 17 maggio 2020 hanno trovato applicazione a decorrere dal 18 maggio (in sostituzione di quelle recate dal decreto 26 aprile) e conservano efficacia fino al 14 giugno 2020, salvi i diversi termini di durata delle singole misure previsti da specifiche disposizioni (art. 11, commi 1 e 2, del decreto medesimo);

è necessario che il progressivo riavvio delle attività economiche (la cosiddetta fase 2) venga affiancato, in assenza ancora di un vaccino o di terapie realmente efficaci, da una strategia che non faccia ricadere il nostro Paese in una nuova situazione di emergenza;

nell’attuale fase dell’emergenza COVID-19, assume particolare rilevanza la tematica dei test diagnostici di tipo sierologico, che possono essere utilizzati per la rilevazione di eventuali anticorpi diretti contro SARS-CoV-2;

in questo quadro la ricerca degli anticorpi con i test sierologici è utile per capire chi realmente è entrato in contatto con il coronavirus, premessa per poter pianificare le prossime fasi;

a differenza degli ormai noti “tamponi”, esami di laboratorio che servono per individuare la presenza del coronavirus all’interno delle mucose respiratorie, i test sierologici servono ad individuare tutte quelle persone che sono entrate in contatto con il virus;

mentre i primi forniscono un’istantanea sull’infezione, i secondi “raccontano” la storia della malattia ed il contagio eventualmente in atto; attraverso i test sierologici infatti è possibile individuare gli anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario in risposta al virus;

tutto è importante soprattutto alla luce del fatto che molte persone con COVID-19 hanno avuto sintomi blandi o addirittura sono state asintomatiche;

attualmente i test sierologici possono essere erogati con facilità anche dai laboratori privati e da quelli accreditati, e questo ha creato non poche richieste di attivazione, dal momento che alcune Regioni hanno lasciato massima libertà di esecuzione e altre hanno adottato misure restrittive;

fornire degli incentivi per un campionamento su almeno il 10 per cento della popolazione residente di ciascuna regione consentirebbe di avere un quadro d’insieme anche al fine di fornire indicazioni utili per pianificare quando, come e quanto allentare ulteriormente le misure restrittive fin qui poste in essere dal Governo;

ciò potrebbe essere messo in atto attraverso la collaborazione tra Governo, Regioni, Dipartimento della protezione civile, Croce rossa e associazioni dei donatori di sangue, al fine di individuare adeguati interventi di sanità pubblica, eventualmente a seguito di allargamenti mirati del campionamento, usando al meglio risorse finanziarie a disposizione;

conoscere in che misura l’infezione si sia diffusa in Italia è utile inoltre per rivedere le stime sulla mortalità, che ad oggi continuano ad essere più elevate rispetto alla media europea e a quella globale, per comprendere la durata della risposta immunitaria e in quali casi gli anticorpi sono realmente neutralizzanti;

contrastare l’insorgere di eventuali nuovi focolai epidemici in modo da contenerli precocemente deve rappresentare la priorità di ciascuna istituzione impegnata alla limitazione del virus;

seppur apprezzabile, l’indagine nazionale dei 150.000 test effettuati su un campione individuato dall’ISTAT risulta essere, anche a parere di autorevoli istituzioni come l’Accademia dei Lincei, insufficiente ma utile se unita a quella effettuata su tutto il territorio nazionale attraverso una campionatura che coinvolga tutte le Regioni italiane, considerando che il virus si è sviluppato in maniera estremamente disomogenea e alcune comunità sono state molto più colpite di altre;

grazie anche alle misure di distanziamento sociale e di confinamento domiciliare della popolazione la crescita del contagio ha rallentato per poi decrescere;

considerato che:

tra le numerose terapie approntate per contrastare le patologie sviluppate dall’infezione, quella che prevede l’uso di trasfusioni di plasma immune ha ottenuto e sta ottenendo notevoli risultati terapeutici soprattutto nei casi più gravi, i cui dati preliminari appaiono molto promettenti;

nonostante non siano ancora disponibili i dati ufficiali della sperimentazione, l’uso del plasma immune, iniziato e portato avanti nei presidi ospedalieri di Mantova, Padova e Pavia, è un’esperienza preziosa di cui avvalersi, anche alla luce dei dati molto incoraggianti sul calo della mortalità in quei presidi;

il plasma immune viene recuperato dai soggetti che hanno avuto l’infezione, l’hanno superata e presentano titoli anticorpali prodotti dal loro sistema immunitario per contrastare il virus adeguatamente alti: questi anticorpi possono essere trasferiti ad un soggetto ammalato per aiutare il suo sistema immunitario a debellare il virus in maniera più rapida e più efficace: si raccoglie il sangue dai soggetti guariti con un prelievo venoso, si separano le due componenti del sangue, quella ricca di cellule e quella liquida, che è appunto il plasma; questo viene processato per renderlo disponibile alla donazione, mentre la parte ricca di cellule può essere reimmessa nel circolo del donatore; il plasma viene sottoposto a controlli per verificare che sia ricco di anticorpi efficaci, non vi siano rischi nella donazione, sia compatibile con il soggetto ricevente; solo allora si svolge la trasfusione di plasma immune nei confronti del soggetto malato;

si tratta di una terapia a basso rischio che, secondo i medici che stanno portando avanti la sperimentazione ed in particolare ad avviso del dottor Giuseppe De Donno, audito in 12a Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato il 14 maggio 2020, consente un’immediata regressione dei sintomi più gravi dell’infezione e la stabilizzazione dei parametri vitali dei pazienti;

i test sierologici e la plasmoterapia possono rappresentare insieme una forte risposta nella gestione del contenimento del COVID-19,

impegna il Governo:

1) a rendere noti gli studi per la validazione dei test sierologici riconosciuti dal Ministero della salute, al fine di evitare che persistano sul mercato kit diagnostici non rispondenti ai criteri di qualità;

2) ad adottare iniziative volte a potenziare la ricerca di soggetti immuni al COVID-19 al fine di reperire ulteriori potenziali donatori e a prevedere gratuitamente test sierologici non invasivi per il rilevamento qualitativo degli anticorpi IgG e IgM su almeno il 10 per cento della popolazione residente di ciascuna regione attraverso il coinvolgimento del Dipartimento della protezione civile, Croce rossa italiana e associazioni di donatori di sangue;

3) a promuovere gli studi volti a confermare l’efficacia della terapia del plasma immune nella cura del COVID-19 attivando, in accordo con le Regioni, centri territoriali trasfusionali dedicati alla donazione del plasma;

4) ad attivare una banca nazionale del plasma immune che gestisca e distribuisca nei presidi ospedalieri le sacche di plasma.

(1-00241) (3 giugno 2020)

CASTELLONE, COLLINA, DE PETRIS, SBROLLINI, PIRRO, BOLDRINI, DI MARZIO, ENDRIZZI, BINI, MARINELLO, MAUTONE, PISANI Giuseppe, TAVERNA – Il Senato,

premesso che:

il virus SARS-CoV-2 è un virus a RNA appartenente alla famiglia dei coronavirus (CoVs) che causa la malattia denominata COVID-19, dichiarata dall’OMS emergenza sanitaria il 30 gennaio 2020 e pandemia l’11 marzo 2020;

al fine di identificare precocemente i soggetti positivi all’infezione, isolarli e contenere il contagio, è fondamentale sviluppare nuovi metodi diagnostici in vitro ad alta specificità e sensibilità, che permettano di accertare la presenza del virus già nelle prime fasi dell’infezione. Sono ad oggi disponibili diversi test molecolari e sierologici per la rilevazione di proteine virali SARS-CoV-2 nelle secrezioni delle vie aeree e di anticorpi nel siero o nel plasma. Mentre i test molecolari individuano la presenza del virus nell’ospite e danno indicazioni sull’infezione in atto, i test sierologici evidenziano la risposta del sistema immunitario all’infezione misurando la presenza di anticorpi IgM ed IgG. A tal proposito è importante sottolineare come i test sierologici non rivelino la contagiosità dell’individuo e pertanto un risultato negativo al test sierologico non esclude la possibilità di infezione in atto, in fase precoce;

il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 aprile 2020 concernente le misure di progressiva riapertura di attività economico-produttive e di mobilità regionale e nazionale, prevede che tale fase “può aver luogo solo ove sia assicurato uno stretto monitoraggio dell’andamento della trasmissione del virus sul territorio nazionale”;

per classificare il rischio sanitario connesso al passaggio dalla fase 1 alla fase 2 sono stati individuati alcuni indicatori con valori di soglia e di allerta che dovranno essere monitorati a livello nazionale, regionale e locale: indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio; indicatori di processo e sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti; indicatori di risultato relativi a stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari. Le soglie definite negli indicatori sono volte a mantenere un numero di nuovi casi di infezione da Sars-CoV-2 stabile, ossia un aumento limitato nel tempo e nello spazio, soprattutto in ospedali, residenze sanitarie assistenziali, case di riposo, al fine di impedire il sovraccarico dei servizi sanitari, mentre i valori di allerta identificati serviranno per decidere eventuali revisioni delle misure adottate;

l’OMS, nell’indicare i criteri da seguire per la fase successiva alla chiusura o post lockdown, indica come prioritarie tre azioni, le “tre T”: tracciare, testare e trattare i pazienti precocemente. È fondamentale quindi costruire una rete di sorveglianza sanitaria ben distribuita sul territorio al fine di monitorare, individuare immediatamente i casi positivi, isolarli, tracciare digitalmente la catena trasmissiva e trattarli efficacemente;

come indicato nella circolare del Ministero della salute del 9 maggio 2020, che aggiorna la precedente circolare del 3 aprile, nell’attuale fase dell’emergenza COVID-19, assume pertanto particolare rilevanza la tematica dei test diagnostici di tipo sierologico, che possono essere utilizzati per la rilevazione di eventuali anticorpi diretti contro il virus SARS-CoV-2. I test sierologici sono utili sopratutto nella valutazione epidemiologica della circolazione virale in quanto: a) sono uno strumento per stimare la diffusione dell’infezione in una comunità; b) la sierologia può evidenziare l’avvenuta esposizione al virus; c) i metodi sierologici possono essere utili per l’identificazione dell’avvenuta infezione da SARS-CoV-2 in individui asintomatici o con sintomatologia lieve o moderata che si presentino tardi all’osservazione clinica; d) i metodi sierologici possono essere utili per più compiutamente definire il tasso di letalità dell’infezione virale rispetto al numero di pazienti contagiati da SARS-CoV-2;

la circolare ministeriale del 9 maggio 2020 sottolinea però come le attuali conoscenze scientifiche relative ai test sierologici per il SARS-CoV-2 non forniscano informazioni sulla presenza di anticorpi neutralizzanti, in grado di proteggere dall’infezione, né sulla persistenza degli anticorpi a lungo termine. Risulta evidente dunque che tali test, pur importanti a fini di ricerca e valutazione epidemiologica della circolazione virale nella popolazione, non possano essere usati nell’attività diagnostica e non possano in alcun modo sostituire i test molecolari, come si evince anche dalla circolare del Ministero della salute del 9 maggio 2020 che, richiamando le indicazioni dell’OMS, ribadisce come l’approccio diagnostico più attendibile sia costituito dai test basati sul rilevamento del virus in secrezioni respiratorie attraverso metodi molecolari;

considerato che:

il 25 maggio 2020 è stata avviata dal Ministero della salute un’indagine di sieroprevalenza, attraverso test sierologici su prelievo, su un campione di 150.000 persone residenti in 2.000 comuni, distribuite per sesso, attività ed età, per stimare la diffusione dell’infezione da virus nella popolazione italiana, in diverse zone geografiche, in diverse classi lavorative e di età, e per allestire una biobanca di campioni, accessibili per studi futuri, che rappresenteranno una fotografia dello stato di diffusione del virus in questo momento storico nel nostro Paese e dello sviluppo della risposta anticorpale a seguito della prima ondata di pandemia;

il Ministero della salute ha ribadito come i test sierologici non debbano sostituire quelli molecolari a fini diagnostici ma abbiano un’utilità a fini di indagine di sieroprevalenza. Le Regioni hanno adottato politiche diverse in merito all’esecuzione di tali test, alcune prevedendo l’uso della sierologia anche a fini diagnostici, soprattutto in luoghi sensibili, altre impedendone l’utilizzo. A queste criticità va aggiunta la disponibilità sul mercato di un elevato numero di kit diagnostici non sempre rispondenti ai criteri di qualità necessari e la mancanza di una piattaforma centrale che raccolga i dati delle Regioni per integrare i risultati di tutti i test sierologici finora effettuati, per eventualmente ampliare il campo dell’indagine epidemiologica attualmente in corso;

i test molecolari rilevano la presenza del virus nel paziente, attraverso l’amplificazione del genoma, che rappresenta il metodo più affidabile per rilevare anche concentrazioni molto basse dell’RNA virale. Ad oggi, i test molecolari di elezione sono certamente i cosiddetti tamponi, che si effettuano attraverso la raccolta di campioni dal rinofaringe, che vengono poi sottoposti a “real time PCR” (reazione a catena della polimerasi), tecnica che amplifica il genoma virale eventualmente presente. Tale esame, altamente specifico e sensibile, ha il limite di prevedere un processo di analisi in appannaggio di pochi laboratori specializzati, dotati per lavorare su un grande numero di campioni biologici, il che, quindi, richiede un’organizzazione in rete e tempi tecnici non sempre tempestivi ai fini dell’ottenimento dei risultati del test. Inoltre, tali laboratori necessitano di raccogliere un congruo numero di campioni da analizzare per evitare di sprecare l’intero kit. Tali caratteristiche non sempre si conciliano con le situazioni in cui la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 abbia carattere di urgenza;

l’Italia è certamente uno dei Paesi ad aver, finora, effettuato dall’inizio dell’emergenza più test molecolari (più di 3 milioni) con il numero più elevato numero di tamponi per 100.000 abitanti (più di 5.000 su 100.000 abitanti). Ancora una volta, però, va evidenziata la grande variabilità di numeri e protocolli tra le diverse Regioni. Tuttavia, in attesa di definire meglio una strategia comune sul territorio nazionale, serve certamente aumentare la disponibilità di test molecolari per garantire la diagnosi precoce dei casi di contagio, l’individuazione dei contatti stretti, nonché dei focolai epidemici, e soprattutto il controllo dell’infezione negli ambienti sensibili, tra cui strutture per acuti, strutture che ospitano soggetti fragili (strutture residenziali extraospedaliere per malati cronici non autosufficienti, per disabili e per malati terminali, strutture di riabilitazione e di lungodegenza post acuzie, eccetera) e comunità chiuse;

la crescente necessità di test per il contenimento del virus nella “fase 2” ha spinto le principali aziende ed associazioni di categoria a confermare la saturazione della capacità produttiva mondiale di reagenti per estrazione di RNA, inducendo anche il comitato tecnico scientifico a pubblicare sul portale dedicato una richiesta di offerta per reperire almeno 5 milioni di test molecolari (rapidi, automatizzati e compositi);

alla luce dell’esigenza di rendere il test molecolare disponibile ed accessibile ad un numero sempre maggiore di soggetti a rischio o casi sospetti e loro contatti e di ridurre al minimo i tempi di diagnosi, di recente, sono stati sviluppati alcuni test molecolari rapidi per l’identificazione del nuovo coronavirus (alcuni anche effettuabili sul posto e, pertanto, definiti “point of care test”), che forniscono il risultato in tempi sensibilmente più rapidi rispetto al tampone classico;

la circolare del 3 aprile, emanata dal Ministero della salute, riporta che “sono stati messi a punto i test molecolari rapidi CE-Ivd e/o Eua/Fda basati sulla rilevazione dei geni virali direttamente nelle secrezioni respiratorie che permetterebbero di ottenere risultati in tempi brevi. Secondo il Comitato tecnico-scientifico, questi test potrebbero essere utili nei casi in cui la diagnosi di infezione da Sars-CoV-2 assuma carattere di urgenza” e potrebbero, pertanto, rappresentare un passaggio indispensabile, in prospettiva della riapertura ordinaria; inoltre, tali test potrebbero trovare capillare utilizzo nella gestione in tempo reale dei pazienti sottoposti a valutazione per l’ammissione alle strutture sanitarie;

alla luce di quanto finora esposto, risulta auspicabile l’utilizzo di test molecolari rapidi al fine di monitorare l’andamento dell’infezione da COVID-19 in Italia, e diagnosticare precocemente tutti i soggetti infetti, per poi tracciarne i contatti e limitare il contagio,

impegna il Governo:

1) a definire in tempi rapidi il fabbisogno di test molecolari per la fase 2 e programmare efficaci strategie di approvvigionamento;

2) a sostenere ed incentivare la capillare diffusione dell’utilizzo dei test molecolari rapidi per la ricerca di RNA virale, nei luoghi sensibili, quali strutture sanitarie per acuti, strutture sanitarie per cronici, strutture che ospitano soggetti fragili, strutture di comunità e farmacie;

3) a dettare linee univoche per l’utilizzo dei test molecolari e sierologici, che tutte le Regioni dovranno seguire, sull’intero territorio nazionale introducendo precise disposizioni al fine di individuare i soggetti tenuti all’effettuazione dei test;

4) a prevedere la creazione di una piattaforma digitale dove convogliare tutti i dati regionali relativi alle indagini sierologiche e molecolari svolte, al fine di valorizzare il patrimonio informativo derivante da tali dati, in aggiunta alle evidenze generate dallo screening sierologico nazionale attualmente in corso.

(1-00242) (4 giugno 2020)

CANTU’, ROMEO, MARIN, FREGOLENT, LUNESU, TOSATO, SAPONARA, FAGGI, MONTANI – Il Senato,

premesso che:

una strategia di autentica precauzione e governo dei rischi a seguito o in prevenzione di un’epidemia, quale è quella che si sta vivendo, non può prescindere dall’accertare con precisione l’estensione e la circolazione dell’infezione all’interno della popolazione generale con sistemi analitici ed informativi sulle caratteristiche epidemiologiche e sierologiche del SARS-CoV-2, facendone tesoro per rafforzare le reti di sorveglianza e monitoraggio della pandemia e di altre eventuali infezioni future;

di qui la già rimarcata necessità di un piano nazionale antipandemia con poche regole certe di riferimento non più rimandabili, né eludibili, misure di profilassi, di contenimento e di programmazione sanitaria e socio sanitaria idonee, tradotte in livelli essenziali di prevenzione, oltre che di assistenza;

i test sierologici sono propedeutici nella ricerca e nella valutazione epidemiologica della circolazione virale, essendo strumento essenziale per stimare la diffusione dell’infezione in una comunità; la sierologia può evidenziare l’avvenuta esposizione al virus; i metodi sierologici possono essere utili per l’identificazione dell’infezione in individui asintomatici o con sintomatologia lieve o moderata che si presentino tardi all’osservazione clinica;

l’indagine sierologica può tracciare cluster di soggetti contagiosi, identificare positività al di fuori della fascia temporale di verifica del test molecolare (cosiddetta diagnosi retrospettiva), monitorare pazienti in via di guarigione, accertare potenziali ricadute della malattia;

le attuali conoscenze scientifiche relative ai test sierologici per il COVID-19 sono però lacunose relativamente alla capacità di fornire indicazioni sulla presenza di anticorpi neutralizzanti in grado di proteggere dall’infezione o malattia e sulla persistenza degli anticorpi nel tempo;

non essendo, allo stato, le conoscenze in merito alla risposta immunitaria da infezione da SARS-CoV-2 consolidate e univoche, i test sierologici, pur importanti in epidemiologia e statistica in punto di circolazione virale e sullo stato immunitario della popolazione, non possono essere usati nell’attività diagnostica e, quindi, allo stato attuale non possono essere considerati come strumenti diagnostici sostitutivi del test molecolare, basato sull’identificazione di RNA virale dai tamponi nasofaringei;

ma altrettanto vero è che solo una misura di prevalenza può permettere di stabilire il reale numero di persone venute in contatto con il COVID-19 e far conoscere i tassi di morbosità e letalità, dando così la vera misura dei soggetti infettati e poco o asintomatici stimabile attualmente intorno all’80 per cento. Attività di indagine che non può essere disgiunta da un costante e continuo monitoraggio epidemiologico e statistico e, pertanto, non limitata ad un solo studio di sieroprevalenza tardivo e dai risultati incerti, come quello normato dal decreto-legge del 10 maggio 2020, n. 30;

assunta la priorità di intervenire su tre macro aree:

la prima con l’istituzione di una centrale nazionale dell’emergenza sul modello CDC, incardinata nel Centro controllo malattie del Ministero della salute, quale sistema nazionale di prevenzione pandemica, sorveglianza epidemiologica e controllo, con una cabina di comando composta dal CCM, ISS e da una rappresentanza delle Regioni in grado di dare in poche ore in caso di epidemie e più in generale di emergenza sanitaria stringenti indicazioni operative alla Protezione civile che per la sua peculiarità di pronto intervento capillare nel volgere di 24 ore porterà le soluzioni su tutto il territorio nazionale, con un potenziamento della capacità diagnostica e predittiva in emergenza mediante screening validati a diffusione estensiva, impiego sistematico e combinato sulla base di appropriate linee guida di test molecolari e sierologici necessari, quanto più rapidi, specifici e sensibili, inseriti nel quadro LEA della prevenzione impegnando adeguate risorse;

la seconda per l’aggiornamento regolare e tempestivo, in base all’evoluzione delle conoscenze e delle condizioni, delle linee guida e dei protocolli per assicurare agli operatori regole certe, semplici ed efficaci a contrastare la diffusione del virus, garantendo la protezione dall’emergenza sanitaria in atto e sburocratizzando gli adempimenti procedurali correlati;

la terza per la creazione di una rete effettivamente integrata e coordinata dei laboratori di sanità pubblica e di quelli abilitati all’effettuazione dei test mediante l’identificazione di standard di riferimento relativi al tipo di test, alle procedure e alle tempistiche da adottare in caso di risultati positivi e infine alla piattaforma tecnologica da utilizzare, tale da favorire un affidabile flusso di informazioni a tutti i livelli e, in ultima analisi, ai pazienti ai quali vanno fornite risposte sicure e non interpretabili, secondo principi di equi accessibilità ed universalità sia negli screening che nella diagnosi e la cura precoce;

considerata la rilevanza dei test per la ricerca degli anticorpi necessari sì da disporre di dati affidabili e completi sullo stato immunitario della popolazione e in ragione della difficoltà di valutare la frazione delle infezioni lievi e asintomatiche, ricavando l’indispensabilità di determinare non solo i criteri ma l’appropriatezza prescrittiva e di effettuazione, sia dei test molecolari, che dei sierologici con un occhio vigile sull’evoluzione delle tecnologie che presuppongono competenze e conoscenze che siano integrate in un hub centralizzato a servizio dell’intera nazione. Vale a dire una vera centrale nazionale dell’emergenza, di garanzia di un sistema nazionale di sorveglianza epidemiologica fin qui disattesa, con una forte attenzione anche alla decisione programmatico strategica di potenziare la rete dei laboratori di sanità pubblica secondo parametri minimi dedotti nei livelli essenziali di assistenza;

rilevata la possibilità di integrare il sistema di prevenzione e monitoraggio epidemiologico con quello di cura e cioè integrando la sierologia con la plasmaterapia, nell’attesa di un vaccino testato quanto più sicuro ed efficace per la relativa profilassi,

impegna il Governo:

1) a creare una centrale nazionale dell’emergenza sul modello CDC, rafforzando le reti di sorveglianza e monitoraggio dell’epidemia da SARS-CoV-2 e di altre eventuali infezioni future, incardinandolo nel Centro controllo Malattie (CCM) del Ministero della salute trasformato da mero erogatore di fondi per progetti a vero sistema nazionale di prevenzione pandemica, sorveglianza epidemiologica e controllo, tenuto all’emanazione ed aggiornamento del piano pandemico nazionale, al cui vertice dovrebbe esserci una cabina di regia composta dal responsabile del Centro, dal rappresentante dell’Istituto Superiore di Sanità e da una rappresentanza delle Regioni, che nel caso di emergenza epidemica e sanitaria in generale possa dare indicazioni prescrittive alla Protezione Civile sulle azioni da intraprendere e gli strumenti da utilizzare, con un potenziamento della capacità diagnostica e predittiva in emergenza mediante screening validati a diffusione estensiva con impiego sistematico e combinato, sulla base di appropriate linee guida, di test sierologici e molecolari necessari, quanto più rapidi, specifici e sensibili, inseriti nel quadro LEA della prevenzione impegnando adeguate risorse, unitamente all’adozione delle iniziative e degli investimenti necessari per l’effettuazione e la refertazione dei tamponi nasofaringei nelle Regioni in relazione alla percentuale del numero degli abitanti e delle classi di rischio e individuando test sierologici validati efficaci ed efficienti da eseguire in laboratori pubblici e privati accreditati e abilitati all’esecuzione dei test, con sistemi analitici che, oltre a dare certezza di qualità e affidabilità in punto di specificità, sensibilità e minore invasività possibile, assicurino accuratezza d’analisi, possibilità di automazione per incrementare i volumi e i tempi di esecuzione, disponibilità di reagenti, vantaggioso rapporto costo-beneficio, nel contesto delle iniziative volte a potenziare la ricerca di soggetti immuni al COVID-19 al fine di reperire ulteriori potenziali donatori, si dà promuovere la terapia del plasma immune nella cura del COVID-19, attivando in accordo con le Regioni centri territoriali trasfusionali dedicati alla donazione del plasma e con il coinvolgimento del volontariato e dell’associazionismo qualificato;

2) ad aggiornare regolarmente e tempestivamente, in base all’evoluzione delle nuove conoscenze e delle condizioni, le linee guida e i protocolli per assicurare agli operatori regole certe, semplici ed efficaci a contrastare la diffusione del virus, garantendo la protezione dall’emergenza sanitaria in atto, rendendo noti altresì i processi e i protocolli per la validazione dei test sierologici riconosciuti dal SSN e sburocratizzando gli adempimenti procedurali correlati anche in materia di sanificazione degli ambienti, di cui la circolare del Ministero della salute del 22 maggio 2020 n. 0017644 anticipa, seppur con eccessivi restrizioni iperprocedimentalizzate, gli adempimenti a cui sottoporsi;

3) a potenziare la rete dei laboratori di sanità pubblica secondo parametri minimi dedotti nei livelli essenziali di assistenza quali centri di effettuazione diagnostica in emergenza dei test microbiologici per la ricerca diretta virologica e nell’ordinarietà di analitica rilevante per il governo dei determinanti sanitari e ambientali in un sistema di controlli di sicurezza ante e post COVID delle attività produttive a costo zero per le imprese che assolvono i parametri di legge, dando la dovuta rilevanza al valore della funzione di collegamento di tutti i laboratori che svolgono questo tipo di analisi, in una rete effettivamente integrata e coordinata, mediante l’identificazione di standard di riferimento relativi al tipo di test, alle procedure e alle tempistiche da adottare in caso di risultati positivi e infine alla piattaforma tecnologica da utilizzare, tale da favorire un affidabile flusso di informazioni a tutti i livelli e, in ultima analisi, ai pazienti ai quali vanno fornite risposte sicure e non interpretabili, secondo principi di equi accessibilità ed universalità, sia negli screening che nella diagnosi e la cura precoce, e in specie con riguardo alla plasmaterapia attivando una banca nazionale del plasma immune o altra soluzione se più performante utile ad escludere carenze distributive ed erogative nei presidi ospedalieri delle sacche di plasma secondo l’effettivo appropriato bisogno, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 e, quanto alle strategie di prevenzione e profilassi, promuovendo iniziative per identificare candidati vaccini e/o modalità di produzione e scale-up (anche autoctone) di vaccini sempre più efficaci e sicuri anche puntando sulle nuove tecnologie di trasferimento vaccino su cerotto (patch).

MOZIONI SU INIZIATIVE PER AFFRONTARE L’EMERGENZA CLIMATICA
(1-00194) (Testo 2) (15 gennaio 2020)

FERRAZZI, L’ABBATE, COMINCINI, NUGNES, UNTERBERGER, DE PETRIS, MESSINA Assuntela, MIRABELLI, GIROTTO, FEDELI – Il Senato,

premesso che:

il nostro Paese si confronta con sempre maggiore frequenza con eventi climatici estremi, che rappresentano l’effetto dei profondi mutamenti climatici subiti dal pianeta; alluvioni, siccità, ondate di calore, innalzamento del livello del mare ed aumento del cuneo salino si susseguono senza sosta, in diverse parti del mondo, determinando lutti e danni economici a persone, animali e interi sistemi produttivi;

il cambiamento climatico in atto è direttamente influenzato dalle attività umane, siano esse industriali o meno, come dimostrano ormai numerosi studi scientifici, a cominciare da quelli elaborati dall’Intergovernmental panel on climate change (IPCC), il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite; in assenza di azioni concrete per invertire tale tendenza, dunque, entro pochi anni ci si potrebbe trovare di fronte ad un punto di non ritorno; le emissioni di gas serra, l’inquinamento dell’aria e delle acque, il degrado di matrice antropica dei terreni hanno infatti generato profondi mutamenti tali da comportare che il circolo vizioso dell’emergenza climatica possa essere spezzato unicamente attraverso azioni decisive, immediate e continuative;

l’urgenza di un intervento decisivo e immediato per invertire tale processo non è quindi più in alcun modo rinviabile, come ampiamente dimostrato dal sempre crescente numero di allarmi che giungono dall’intera comunità scientifica;

secondo l’ultimo rapporto del gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, si hanno soltanto 11 anni a disposizione per evitare la catastrofe ambientale ovvero il momento nel quale i cambiamenti saranno divenuti non più ripristinabili; l’organismo scientifico dell’ONU ha invitato tutti i legislatori e i governi ad assumere misure senza precedenti nella storia recente;

la nuova Commissione europea guidata dalla presidente Ursula Von der Leyen ha previsto quale priorità in materia di clima quella di “rendere l’Europa il primo continente a emissioni zero entro il 2050”, favorendo altresì verifiche di impatto sociale, economico e ambientale in grado di stimolare “innovazione, competitività e occupazione”; il 14 gennaio 2019, a questo scopo, è stato presentato l’atteso progetto legislativo sul “Green Deal” che dovrebbe contribuire a finanziare tra il 2021 e il 2027 la transizione verso la neutralità climatica entro il 2050;

considerato che:

gli effetti dei cambiamenti climatici non generano solo conseguenze ambientali, ma anche profonde conseguenze sociali. Con la pubblicazione, il 19 marzo 2018, del rapporto su migrazioni e clima (Groundswell: “Preparing for internal climate migration”), la Banca mondiale ha lanciato un nuovo allarme sulle conseguenze sociali dei cambiamenti climatici. Entro il 2050, infatti, potrebbe arrivare a 143 milioni il numero di persone costrette ad abbandonare le proprie case per colpa dei fenomeni meteorologici estremi o delle condizioni ambientali diventate invivibili;

l’Organizzazione mondiale della sanità ha a sua volta evidenziato l’incidenza del cambiamento climatico sugli elementi sociali ed ambientali che hanno effetti diretti sulla salute, cioè aria pulita, acqua potabile, cibo in quantità sufficienti, sicurezza e condizioni igieniche degli alloggi, messi in pericolo da inondazioni, ondate di calore, incendi, siccità, così come il limitato accesso all’acqua in conseguenza proprio dal cambiamento climatico che genera la fosca previsione di un incremento sostanzioso dei decessi (oltre 250.000 annui) nel periodo tra il 2030 e il 2050;

in Europa i disastri naturali del 2018 sono stati simili a quelli registrati negli anni 2014, 2015, 2016 e 2017, con un totale di 113 eventi con perdite di 16 miliardi di euro. Le perdite maggiori sono state causate dalla siccità, costata circa 4 miliardi di dollari; nel 2018 si sono contati 850 disastri naturali, soprattutto alluvioni, inondazioni, frane, uragani e tempeste;

nonostante ciò, appare preoccupante il dato che vede l’Italia dal 1998 al 2018 spendere, secondo dati Ispra, circa 5,6 miliardi di euro (300 milioni all’anno) in progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico, a fronte di circa 20 miliardi di euro spesi, secondo dati del CNR e del Dipartimento della protezione civile, per “riparare” i danni del dissesto (un miliardo all’anno in media, considerando che dal 1944 ad oggi sono stati spesi 75 miliardi di euro);

uno studio internazionale pubblicato dalla rivista scientifica “Climate” ha precisato che i danni per le inondazioni in Europa potrebbero arrivare a costare 17 miliardi di euro all’anno, qualora le temperature medie dovessero salire di 3 gradi centigradi rispetto alla media preindustriale, mentre il numero di cittadini che subiranno le conseguenze delle piene potrebbe raggiungere le 780.000 unità, in crescita del 123 per cento rispetto ad oggi. Il problema, dunque, non riguarderebbe solo il sud del mondo;

in Italia la situazione non è migliore; il 2018 è stato l’anno più caldo per il nostro Paese dal 1800 e si assiste al susseguirsi di record che non possono lasciare indifferenti. Nubifragi, siccità, ondate di calore sempre più forti e prolungate, fenomeni meteorologici intensi ed estremi, dovuti in primis ai cambiamenti climatici, stanno causando danni ai territori e alle città, indietro nelle politiche di adattamento al clima, e alla salute dei cittadini; soltanto nel 2018 sono state 32 le vittime ricollegabili a 148 eventi estremi che si sono succeduti lungo tutta la penisola; 66 sono i casi di allagamenti da piogge intense; 41 casi, invece, di danni da trombe d’aria, 23 di danni alle infrastrutture e 20 da esondazioni fluviali;

da ultimo si veda quanto è avvenuto a Venezia, ove si è avuta una sequenza di maree eccezionali, mai verificatasi in precedenza, con l’acqua alta che ha raggiunto quota 187 centimetri, la seconda marea più elevata di sempre dopo l’alluvione del 1966; l’alta marea ha, come noto, colpito anche le isole di Lido e di Pellestrina e Chioggia; in ogni caso, la frequenza delle maree eccezionali che hanno colpito la città è stato causato in via principale dal cambiamento climatico, la cui portata rischia di mettere in difficoltà la sopravvivenza non solo della città lagunare ma anche di significative porzioni della terraferma;

contestualmente si sono verificati eventi meteorologici eccezionali che hanno investito con conseguenze drammatiche l’intero territorio italiano: dal Piemonte, in particolare nell’alessandrino, alla Liguria, con il crollo di un viadotto autostradale sulla A6, dalla Calabria con Reggio Calabria, alla Basilicata con Matera e il metapontino, ed allerta rossa per il maltempo;

nonostante la portata storica dell’accordo di Parigi siglato nel 2015, la strada per la sua attuazione procede con lentezza e fatica per le resistenze degli Stati ad assumere decisioni coraggiose e capaci di superare un modello di sviluppo divenuto ormai insostenibile sotto il profilo ambientale ma anche sotto quello sociale ed economico;

nella Cop24 (conferenza delle parti della convenzione internazionale sui cambiamenti climatici) tenutasi nel dicembre 2018 a Katowice, in Polonia, è stato fatto il punto sullo stato di avanzamento degli impegni assunti dai membri della comunità internazionale; elemento positivo è stato l’aver dotato l’accordo del 2015 di linee guida (rulebook) per la sua attuazione a partire dal 2020, ma non sono stati purtroppo concordati impegni sull’adozione di un quadro normativo vincolante e condiviso;

il 23 settembre 2019 si è svolto a New York il Climate action summit 2019 dedicato a raccogliere nuove iniziative e gli impegni di governi, imprese e società civile per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e per orientare l’azione verso la sostanziale riduzione a zero delle emissioni entro il 2050;

nel mese di dicembre si è tenuta a Madrid la conferenza delle parti della convenzione internazionale sui cambiamenti climatici (Cop25), che ha riunito scienziati, uomini d’affari, rappresentanti istituzionali, organizzazioni non governative e governi di tutto il mondo, per incontri e trattative ufficiali che avevano l’obiettivo di stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera e di limitare ben al di sotto dei 2 gradi l’aumento della temperatura, realizzando quegli impegni vincolanti tra i Paesi partecipanti per la piena attuazione dell’accordo di Parigi, che deve entrare pienamente in vigore entro gennaio 2020; tuttavia, la Cop25 non è riuscita a rispondere con strumenti adeguati e programmi ambiziosi alle impellenti esigenze di risposta al cambiamento climatico;

ripetutamente, negli ultimi mesi, giovani e studenti si sono riuniti nelle piazze di tutto il mondo, comprese quelle italiane, sull’esempio dell’adolescente svedese Greta Thunberg, chiedendo l’impegno concreto dei Governi nazionali nel contrasto dei cambiamenti climatici e per salvare il pianeta non pregiudicandone oltre il futuro;

considerato altresì che:

secondo gli scienziati dell’IPCC, il tempo per giungere ad un’inversione di marcia sul cambiamento climatico è davvero breve: secondo tali previsioni si avrebbe tempo fino al 2030 per contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi e, anche sulla scorta di tali previsioni scientifiche allarmanti, molti parlamenti di Paesi europei hanno dichiarato lo stato di emergenza climatica;

per dare una risposta a queste istanze bisogna investire al più presto in innovazione e ricerca, green economy, riduzione delle diseguaglianze, investimenti in infrastrutture e manutenzione;

in questo drammatico contesto l’Italia ha la possibilità di assumere un ruolo da protagonista sui temi del cambiamento climatico, della tutela del paesaggio e del suolo, della transizione verso forme di energia sostenibili ed ecologiche, coniugandole con il sostegno alle nuove tecnologie e alle azioni delle comunità locali, della società civile, delle istituzioni universitarie, il tutto per uscire quanto prima dalla crisi climatica, economica e sociale;

è positivo che nel programma il Governo, al punto 7 dei 29 punti programmatici, sia stata espressamente prevista la realizzazione di un “green new deal”, che comporti un radicale cambio di paradigma culturale e porti ad inserire la protezione dell’ambiente e della biodiversità tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale. Viene stabilito, altresì, che tutti i piani di investimento pubblico dovranno avere al centro la protezione dell’ambiente, il progressivo e sempre più diffuso ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, il contrasto ai cambiamenti climatici. Viene, inoltre, stabilità la necessità di adottare misure che incentivino prassi socialmente responsabili da parte delle imprese e perseguano la piena attuazione della eco-innovazione. Vengono, infine, espressamente richiamati i principi dello sviluppo tecnologico sostenibile e le ricerche più innovative in modo da rendere quanto più efficace la “transizione ecologica” e indirizzare l’intero sistema produttivo verso un’economia circolare, che favorisca la cultura del riciclo e del riuso e dismetta definitivamente la cultura del rifiuto;

come noto, il green new deal è il perno della strategia di sviluppo del Governo e si inserisce nel disegno di bilancio 2020 con la finalità di promuovere il benessere equo e sostenibile, la cui programmazione è stata introdotta in Italia in anticipo rispetto agli altri Paesi europei;

è fondamentale rimarcare che un green new deal non deve essere solo un’agenda di impegni, seppur in chiave verde e sostenibile, ma deve essere un programma organico, sociale ed economico, che ha tra i principali obiettivi la decarbonizzazione dell’economia, l’economia circolare, la rigenerazione urbana, il turismo sostenibile, l’adattamento e la mitigazione dei rischi sul territorio derivanti dal cambiamento climatico così come allo stesso tempo un programma che comporti un “fisco green” capace di sostenere la transizione ecologica e sostenga le attività di prevenzione del rischio di danno ambientale, tramite una legislazione che attui pienamente il principio del “chi inquina paga” e della responsabilità estesa del produttore che realizza prodotti e sistemi produttivi impattanti;

altrettanto essenziale ed urgente è progredire nelle politiche di adattamento al cambiamento climatico che rivisiti e renda più incisive le politiche di prevenzione e mitigazione dei rischi e dei danni prodotti dalle frane e dalle alluvioni; in questo senso, va affrontato il dissesto idrogeologico con una gestione del territorio che tenga conto del nuovo contesto climatico in modo tale che rischi e danni possano essere prevenuti e mitigati, e particolare attenzione deve essere riservata ai temi della rigenerazione urbana e a norme più incisive sul consumo del suolo nonché a tutti gli interventi, in una logica infrastrutturale, di ripristino degli habitat e delle reti idrografiche;

il Governo, attraverso l’articolo 1 del decreto-legge 14 ottobre 2019, n. 111, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 dicembre 2019, n. 141, ha già istituito il programma strategico nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell’aria in cui sono individuate le misure di competenza nazionale da porre in essere al fine di assicurare la corretta e piena attuazione della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, volta a contrastare i cambiamenti climatici. È auspicabile che tale politica strategica nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici si coordini con il piano nazionale integrato per l’energia e il clima e con la pianificazione di bacino per il dissesto idrogeologico e che venga approvato e attuato con urgenza il PNACC (piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici); è stata altresì riconosciuta la necessità della trasformazione del CIPE in CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e per lo sviluppo sostenibile), come strumento di indirizzo strategico di tutti gli investimenti pubblici per il perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite;

vanno considerate, altresì, un passo nella giusta direzione le recenti misure poste in essere dal Governo in ordine alla riforestazione, comprensive di misure per la messa a dimora di alberi, di reimpianto e di silvicoltura, e per la creazione di foreste urbane e periurbane nelle città metropolitane con l’obiettivo di garantire la salvaguardia ambientale, la lotta e l’adattamento al cambiamento climatico così come previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34;

la legge di bilancio per il 2020 ha previsto, altresì, misure importanti per transizione ambientale, tra cui il fondo investimento delle amministrazioni centrali, finalizzato al rilancio degli investimenti sull’economia circolare, alla decarbonizzazione dell’economia, a misure di sostegno e per l’innovazione nel comparto agricolo, uno tra i settori maggiormente colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici, alla riduzione delle emissioni, al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale, l’estensione degli incentivi di “industria 4.0” per le imprese che realizzano progetti ambientali nell’ambito dell’economia circolare così come il piano “rinascita urbana” finalizzato a migliorare la qualità dell’abitare e che punta, inter alia, alla riqualificazione urbana e delle periferie;

è necessario affrontare in modo integrato i rischi del cambiamento climatico con altri rischi naturali rappresentati dal rischio sismico, idrogeologico e vulcanico, unitamente alla valorizzazione del patrimonio abitativo,

impegna il Governo ad adottare iniziative per:

1) riconoscere lo stato di emergenza ambientale e climatica nel nostro Paese ed operare, in raccordo con il Parlamento, per consentire in tempi rapidi e certi, nel rispetto delle indicazioni scientifiche e degli accordi internazionali, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera e la progressiva decarbonizzazione dell’economia;

2) accelerare la realizzazione degli interventi di mitigazione ed adattamento al cambiamento climatico, in particolare sul fronte della prevenzione del dissesto idrogeologico;

3) sostenere l’azione parlamentare tesa all’inserimento del principio dello sviluppo sostenibile nella Costituzione;

4) rafforzare le misure contenute nel piano nazionale integrato per l’energia e il clima per dare piena attuazione agli impegni adottati nell’ambito dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici;

5) procedere alla ricognizione degli incentivi esistenti per l’efficientamento energetico, anche per favorire l’utilizzo migliore delle tecnologie esistenti per aumentare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, incrementare notevolmente lo sviluppo del solare fotovoltaico, la valorizzazione delle aree verdi e per il sostegno all’utilizzo di tecniche e materiali di edilizia ecocompatibile, adottando le iniziative necessarie per la loro razionalizzazione e stabilizzazione e premiare la partecipazione al mercato dell’autoproduzione distribuita di energia da fonti rinnovabili, anche mediante impianti domestici di piccola taglia e sistemi puntuali di accumulo;

6) attuare ogni misura che favorisca la transizione dall’economia lineare verso un modello di economia circolare basato su un uso efficiente delle risorse naturali, su una corretta gestione dell’acqua e su un virtuoso ciclo dei rifiuti che punti, nel rispetto della gerarchia europea, alla riduzione, al riuso e al recupero di materia ed energia, rispettando i tempi per il recepimento nell’ordinamento giuridico nazionale delle direttive europee del “pacchetto economia circolare” che permetta di prolungare la durata, l’uso condiviso e la riparazione dei prodotti, incrementando il riciclo e migliorando l’impiego e l’innovazione dei materiali riciclati e delle tecnologie di produzione, nonché, in materia di rifiuti, di imballaggi, discariche, rifiuti elettrici ed elettronici, veicoli fuori uso e pile, che riduca il conferimento in discarica e favorisca raccolta e gestione differenziata dei rifiuti;

7) pervenire alla progressiva riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi (SAD) di cui alla legge 28 dicembre 2015, n. 221, attraverso un percorso di transizione che contempli ipotesi alternative e compensative con carattere di sostenibilità anche con l’eventualità di introdurre l’obbligo di valutazione ambientale preventiva dei sussidi, con l’obiettivo di salvaguardare, innovare e rafforzare le attività produttive collegate, con misure volte alla loro conversione ecologica, a cominciare dall’agricoltura;

8) elaborare politiche di trasporto, edilizia e modelli produttivi che rispondano in maniera coerente alla necessità di adattamento ai cambiamenti climatici e che coinvolgano Regioni e Comuni;

9) favorire la transizione verso un sistema di trasporto pubblico sostenibile e verso la mobilità elettrica, pubblica e privata, con l’obiettivo della completa decarbonizzazione (emissioni zero) del settore;

10) attuare, al fine di ridurre gli sprechi energetici, un percorso di ecoefficienza energetica da applicare al patrimonio pubblico e privato;

11) intervenire in materia di politica industriale e di riqualificazione del settore manifatturiero, sostenendo e favorendo la transizione verso un modello economico-produttivo ecologicamente sostenibile;

12) adottare, nell’ambito delle proprie competenze, ogni iniziativa finalizzata alla decarbonizzazione dell’economia fissando come obiettivo l’impatto climatico zero entro il 2050, come indicato dalla strategia a lungo termine dell’Unione europea per la riduzione delle emissioni di gas serra (COM(2018) 773 del 28 novembre 2018);

13) promuovere lo sviluppo di sistemi ecoefficienti di produzione ricorrendo alla bioeconomia e all’ecodesign anche mediante finanziamenti agevolati;

14) realizzare un grande programma di investimenti pubblici orientati ai principi della sostenibilità ambientale, con azioni di riqualificazione energetica e messa in sicurezza sismica degli edifici pubblici e privati;

15) favorire le politiche di rigenerazione urbana delle città e del tessuto urbano, di tutela dei beni culturali, paesaggistici e degli ecosistemi, di contrasto al nuovo consumo di suolo e all’abusivismo edilizio, stabilendo modalità e certezze per la riqualificazione energetica del patrimonio pubblico, abbandonando il modello dell’urbanistica espansiva e adottando una nuova governance che agevoli le procedure che favoriscono l’innovazione;

16) individuare, in particolare, le azioni e le politiche di mitigazione e adattamento del territorio con uniformità di indirizzi in tutto il Paese ma con considerazione specifica per quelle aree del Paese sottoposte a più forte rischio idrogeologico o soggette con frequenza a eventi meteorologici estremi dagli effetti devastanti su uomini, attività economiche e territorio;

17) garantire un adeguato utilizzo i fondi a disposizione del nostro Paese, combinando contributi europei previsti nella programmazione europea, anche per il periodo 2021-2027, e risorse nazionali, per accompagnare la transizione e il superamento dell’utilizzo dei combustibili fossili, con l’attuazione della strategia energetica nazionale che punti sul risparmio e sull’efficienza energetica e sull’utilizzo su larga scala delle energie rinnovabili;

18) realizzare un piano strutturale di messa in sicurezza del territorio, con politiche di prevenzione e mitigazione del rischio e di adattamento ai cambiamenti climatici, che preveda un piano di adattamento per la mitigazione dei fenomeni più gravi dovuti ai mutamenti climatici con il pieno coinvolgimento dei Comuni e dei sistemi produttivi, e tra questi quello agricolo;

19) promuovere, in particolare, lo sviluppo della filiera agricola biologica e delle buone pratiche agronomiche, in modo da ridurre l’impatto della chimica nel suolo e tutelare le risorse sotto il profilo qualitativo e quantitativo, aumentare e mantenere la qualità del territorio, la fertilità organica del suolo ed il sequestro di carbonio;

20) favorire l’occupazione giovanile attraverso l’introduzione di incentivi e agevolazioni fiscali per le imprese che assumono a tempo indeterminato giovani per svolgere attività finalizzate alla salvaguardia delle risorse naturali, con particolare riferimento alla protezione del territorio e alla gestione delle emergenze, nonché all’implementazione delle fonti di energia rinnovabili e allo sviluppo della economia circolare;

21) attuare la strategia nazionale per Io sviluppo sostenibile, rendendo pienamente operativa la cabina di regia “Benessere Italia”, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 giugno 2019, attraverso il potenziamento della struttura in termini di adeguate risorse umane e finanziarie necessarie al perseguimento delle finalità e all’assolvimento dei compiti istitutivi;

22) farsi promotore nelle opportune sedi internazionali, tra le quali rivestirà importanza particolare il prossimo incontro della conferenza delle parti della convenzione internazionale sui cambiamenti climatici che si terrà a Glasgow nel novembre 2020 (Cop26), in accordo e coordinamento con le istituzioni europee, di ogni necessaria azione che permetta di giungere al traguardo dell’adozione di un quadro normativo vincolante e condiviso per l’attuazione dell’accordo di Parigi, e più in generale di politiche a livello globale tese ad un reale cambio di direzione in tutti i settori dell’economia che consenta, in tempi rapidi e certi, nel rispetto delle indicazioni scientifiche entro un accordo internazionale, la transizione energetica verso la riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera e la progressiva e rapida decarbonizzazione dell’economia.

(1-00198) (15 gennaio 2020)

IANNONE, MAFFONI, NASTRI, CIRIANI, RAUTI, BALBONI, BERTACCO, CALANDRINI, DE BERTOLDI, FAZZOLARI, GARNERO SANTANCHE’, LA PIETRA, LA RUSSA, PETRENGA, RUSPANDINI, TOTARO, URSO, ZAFFINI – Il Senato,

premesso che:

la consapevolezza dell’emergenza climatica in atto, e degli effetti connessi e riscontrabili nell’attualità e sul medio-lungo periodo, è oggetto di molteplici ed autorevoli studi scientifici orientati non solo verso l’individuazione della correlazione tra cambiamento climatico e azione antropica, ma anche e soprattutto verso l’individuazione di prospettive di intervento tese al contenimento degli effetti deleteri sull’ecosistema, che devono essere riferimento imprescindibile per le politiche in materia;

i dati del quinto rapporto di valutazione, pubblicato nel 2013 e 2014 dall’IPCC (Intergovernmental panel on climate change), gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, evidenziano come l’aumento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera sia da individuare come la causa alla base dei più complessi e deleteri cambiamenti climatici in atto: in particolare, si evidenzia come la temperatura del pianeta sia aumentata, dal 1860 ad oggi, di quasi un grado centigrado nella sola Europa e che le previsioni scientifiche attestano un incremento della temperatura tra 1,4 e 5,8 gradi entro la fine del secolo. Nello specifico è stato registrato, nel corso dell’ultimo trentennio, un incremento del 70 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica con il conseguente superamento del 20 per cento della soglia limite di concentrazioni delle 400 parti per milione;

si sottolinea che, stando ai dati del rapporto “Trajectories of the earth system in the Anthropocene”, pubblicato dalla National academy of sciences degli USA nel 2018, il solo incremento della temperatura di 2 gradi potrebbe configurarsi come conditio per un “effetto domino incontenibile”, in ragione della consequenzialità sussistente tra incremento della temperatura ed evoluzioni climatiche correlate ad eventi estremi ed i loro riverberi sul versante degli equilibri ecosistemici, della sicurezza dei territori rivieraschi e dell’accessibilità ai rifornimenti idrici;

con l’accordo di Parigi siglato nel dicembre 2015 tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), sottoscritto da 192 Paesi, tra cui l’Italia, è stato siglato il primo accordo universale sul clima mondiale, nel quale è definito un piano d’azione globale, finalizzato al contenimento dei cambiamenti climatici attraverso la riduzione dell’incremento del riscaldamento globale;

sul versante dell’Unione europea sono state intraprese molteplici iniziative orientate all’individuazione di un’azione di politica climatica concreta e lungimirante finalizzata alla definizione di adeguate misure di adattamento per ridurre e gestire i rischi connessi ai cambiamenti climatici. Nel 2009 con il libro bianco “Adattarsi ai cambiamenti climatici: verso un quadro d’azione europeo”, la Commissione europea ha richiesto agli Stati membri di elaborare le rispettive strategie di adattamento nazionale. Nel 2013 con l’adozione della “Strategia europea per i cambiamenti climatici” e con le successive conclusioni del Consiglio europeo del 13 giugno 2013 “Una strategia europea di adattamento al cambiamento climatico” è stato richiesto agli Stati membri di avviare una revisione del concetto di vulnerabilità, di rivedere le soglie critiche di rischio a livello nazionale e di misurare le proprie capacità di resilienza agli effetti dei cambiamenti climatici attraverso politiche basate su un approccio locale e un determinante coinvolgimento di tutti gli interlocutori socio-economici;

in questa prospettiva è stata adottata nel 2015 dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (SNAC), il cui obiettivo principale è quello di elaborare una visione nazionale sui percorsi comuni da intraprendere per far fronte ai cambiamenti climatici contrastando e attenuando i loro impatti, attraverso l’individuazione di azioni e di percorsi finalizzati alla riduzione dei rischi correlati ai cambiamenti climatici; nel 2016 è stata avviata la definizione del piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC) al fine di sostenere l’attuazione della SNAC;

l’obiettivo della “carbon neutrality” da raggiungere entro il 2050 rappresenta una priorità: sebbene questa prospettiva rientri tra gli obiettivi proposti dalla Commissione europea, la mancata approvazione del Consiglio europeo può rappresentare un limite nella direzione della 25esima conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change (Cop25 Unfccc) del dicembre 2019;

si evidenzia come la Commissione ambiente del Parlamento europeo abbia sollecitato la UE a veicolare in sede di Cop25 Unfccc “La sua strategia a lungo termine per raggiungere la climate neutrality al più tardi nel 2050”, al fine di consentire il mantenimento in capo alla UE della “leadership mondiale in materia di lotta contro il cambiamento climatico”;

si ritiene opportuno promuovere, in tutte le sedi, anche europee, la ricerca in materia di innovazione tecnologica e di sviluppo del gas naturale senza emissione di anidride carbonica, come anche autorevolmente sostenuto da eminenti scienziati tra i quali il senatore a vita Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica;

si sottolinea, inoltre, come uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico si rintracci nella progressiva riduzione della disponibilità idrica a cui corrisponde, di contro, un incremento della variabilità estrema delle dinamiche dei volumi di acqua dei bacini fluviali e lacuali: le conseguenze correlate a questa variabilità sono da rintracciarsi nella compromissione della sicurezza del territorio unitamente ad un’alterazione dei ritmi di produzioni, soprattutto di alcune specie ittiche, e di effetti deleteri sulla produzione agricola in ragione della difficoltà di accesso agli approvvigionamenti, con inevitabili danni agli ecosistemi e progressiva perdita di biodiversità;

si evidenzia, inoltre, che l’incremento delle temperature determina l’aumento del rischio di desertificazione, da cui attualmente è interessato un quarto della superficie terrestre, e che l’inaridimento caratterizzato da carenza di piogge e da alte temperature riguarda circa il 47 per cento delle terre emerse;

tra le conseguenze dei cambiamenti climatici si annoverano la crescita del livello del mare, aumentato nell’ultimo secolo di 10-25 centimetri e che sembra possa aumentare di altri 88 centimetri entro il 2100, la perdita di biodiversità, perché molte specie animali non saranno in grado di adattarsi ai cambiamenti del clima con la rapidità necessaria, una maggiore diffusione di malattie e problemi nella produzione alimentare;

molteplici sono i rischi anche per la produzione agricola, che subisce gli effetti delle variazioni climatiche estreme con il conseguente susseguirsi di carestie: la FAO ha rilevato che entro il 2080 ci sarà una perdita di oltre 10 per cento della superficie coltivabile nei Paesi in via di sviluppo, con riduzione della produzione di cereali e il conseguente aumento della fame nel mondo;

a tal riguardo si rileva come l’impasse climatica ed il continuo avvicendarsi di fenomeni atmosferici estremi stia mettendo in evidenza in tutta la sua drammaticità il crescente rischio idrogeologico strettamente connesso alla configurazione territoriale ed infrastrutturale italiana: il susseguirsi di eventi di attualità mettono in luce, ancora di più rispetto al passato, le gravissime carenze strutturali presenti nel nostro Paese per quanto riguarda il dissesto idrogeologico del territorio;

quanto verificatosi il 24 novembre 2019 con il crollo di una porzione di 30 metri del viadotto Torino-Savona, a causa di una frana distaccatasi dal monte che fiancheggia il viadotto, rappresenta la conferma, allarmante e drammatica, dell’emergenza idrogeologica che condiziona il nostro Paese, il cui patrimonio infrastrutturale è palesemente incapace di fronteggiare gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici in corso; dinanzi a questo scenario e ai continui rischi cui è esposto il Paese appare non più rinviabile la pianificazione di un monitoraggio ed una mappatura completa delle zone a rischio, attraverso il coinvolgimento di istituzioni competenti, enti locali ed esperti al fine di rivolgere ai siti interessati, opportunamente studiati ed analizzati, specifici interventi strutturali, risolutivi e sistemici, che non si risolvano in misure tampone che rischiano di limitarsi alla gestione dell’emergenza in atto lasciando a se stesse tutte le altre situazioni a rischio del Paese;

sono evidenti, infatti, i danni provocati da frane, inondazioni e alluvioni, che deturpano una vasta percentuale del territorio nazionale: risultano più di 29.000 i chilometri quadrati di territorio nazionale che presentano elevati aspetti di criticità sotto il profilo idrogeologico e più di 10 milioni i cittadini che vivono in insediamenti abitati in aree a rischio. Inoltre negli ultimi decenni l’intero patrimonio territoriale nazionale ha subito una progressiva riduzione delle aree naturali a vantaggio di un incremento degli insediamenti urbani e industriali, con incrementi vicini anche al 500 per cento rispetto ai primi anni del dopoguerra;

si sottolinea pertanto che la capacità di consentire la gestione degli effetti dei cambiamenti climatici, già in atto e attesi a partire dal prossimo decennio, con le esigenze sociali, le istanze economiche e tecnologiche costituisca una sfida importante per la gestione delle risorse del nostro territorio, segnatamente in quelle aree dove la tenuta e la stabilità del suolo sono maggiormente in crisi;

la maggiore sensibilità per le tematiche ambientali e l’aspettativa di trasparenza e partecipazione da parte della società, da un lato, il rilevante peso degli usi produttivi delle risorse, dall’altro, uniti alla crescente e abbondante disponibilità d’informazioni prodotte da tecnologie di monitoraggio innovative e di modelli di previsione sempre più affidabili, sono elementi da considerare in modo coordinato, per indirizzare la governance del territorio, valorizzare in modo armonico le risorse locali e rendere più resilienti le comunità locali;

la complessità dello scenario richiede di affrontare le questioni evidenziate con una visione sistemica del territorio, che non si limiti ad affrontare la singola emergenza, ma che consenta una visione integrata, orientata ad una completa “gestione delle risorse” attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti direttamente coinvolti. Infatti, lo scenario in evoluzione impone l’individuazione di soluzioni ambiziose con il coinvolgimento di tutte le parti in un processo di pianificazione che consideri tutti gli interessi dei soggetti coinvolti, grazie anche al supporto di strumenti operativi e innovativi in grado di fornire informazioni quantitative, facilitando l’esplorazione delle possibili sinergie tra i vari stakeholder e delle azioni da compiere anche quotidianamente. In questa prospettiva, risultano esemplificativi i progetti SO-WATCH del Politecnico di Milano, che si propone di studiare le strategie di adattamento per la gestione delle risorse idriche in condizioni di cambiamento climatico e socio-economico, ed il progetto ADAPT cofinanziato dal Programma Interreg Italia-Francia Marittimo 2014-2020, che ha l’obiettivo di individuare strategie di adattamento delle città italiane e francesi dell’alto Tirreno alle conseguenze dei cambiamenti climatici, con particolare riferimento alle alluvioni causate dalle cosiddette bombe d’acqua;

in tal senso non si può trascurare la necessità di evitare il consumo di nuovo suolo privilegiando modalità di intervento che ottimizzino l’impiego dei fattori “territorio e ambiente” in una prospettiva di sostenibilità e che siano, pertanto, anche volte al recupero e riconversione di siti industriali esistenti, cresciuti in numero e diffusione territoriale in funzione delle successive fasi di industrializzazione del secolo scorso e che oggi, invece, in ragione dei fenomeni di deindustrializzazione, presentano elevati livelli di contaminazione ambientale e di rischio per la salute dei cittadini;

appare non trascurabile l’analisi dell’impatto sulla salute degli eventi correlati ai cambiamenti climatici: secondo il rapporto “The Lancet countdown 2019: tracking progress on health and climate change”, redatto da 120 esperti di 35 istituzioni accademiche internazionali e agenzie delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di fornire elementi e strumenti più adeguati ai Governi affinché adottino politiche adeguate alle criticità connesse ai cambiamenti climatici, tra l’altro evidenzia la correlazione tra utilizzo di fonti fossili per la produzione di energia e peggioramento della qualità dell’aria, oltre alla correlazione tra l’incremento delle temperatura e diffusione di malattie infettive: con riferimento all’Italia, soltanto nel 2016 sono stati registrati 45.600 decessi prematuri a seguito dell’esposizione a Pm2.5, un dato tra i più alti in Europa;

inoltre è evidente la correlazione tra dinamiche di mercato e rispetto della sostenibilità ambientale sul versante economico-produttivo, infatti il carattere elevato dei volumi di prodotti importati da Paesi extra UE che non rispettano gli standard europei di tutela ambientale, oltre agli standard di salute e sicurezza sul lavoro, e la conseguente alterazione della concorrenza con effetto distorsivo sul mercato, sollevano molteplici quesiti circa la compatibilità di tali immissioni di prodotti nel mercato europeo con le misure di sostenibilità ambientale ed economico-sociale perseguite nella cornice europea. Su questo versante l’ipotesi di prevedere delle misure di contrasto all’importazione di prodotti da Paesi extra UE che non rispettano gli standard ambientali, salariali e di sicurezza vigenti in ambito europeo risulterebbe in linea con gli interventi strutturali di sostenibilità economico-sociale perseguiti, configurandosi anche come una misura di deterrenza verso quei Paesi che ancora sono sostenitori di ragioni ostative agli impegni a tutela ambientale contratti in sede internazionale;

l’assenza di una cultura ambientale nel nostro Paese che parta dalle scuole e che porti ad una sensibilizzazione crescente verso la tutela dell’ambiente ed il suo rispetto, verso la cultura del risparmio energetico, l’eliminazione degli sprechi e la mobilità sostenibile rappresentano un fattore ostativo all’evoluzione in chiave sostenibile della società: l’Italia è fanalino di coda in Europa, segnatamente per quanto riguarda la presenza di tali tematiche tra le materie oggetto di approfondimento e di insegnamento nelle scuole, infatti i programmi scolastici non affrontano in maniera adeguata e univoca questi temi fondamentali per le future generazioni, spesso affidati alla discrezionalità e sensibilità dei singoli insegnanti;

il 19 novembre 2019, la Camera dei deputati ha approvato una mozione unitaria (1-00295) sulle iniziative a favore della città di Venezia alla luce dell’emergenza che ha interessato la città in queste ultime settimane che hanno contribuito a renderla metafora per eccellenza del rischio correlato ai mutamenti climatici e degli effetti devastanti di questo sugli insediamenti urbani: nella mozione, tra le altre cose, il Governo si è impegnato ad istituire nella città di Venezia un centro internazionale sui cambiamenti climatici, per valorizzare il patrimonio di conoscenze maturate da soggetti pubblici e privati al fine di renderlo riferimento per l’approfondimento e lo studio internazionale sui fenomeni legati ai cambiamenti climatici,

impegna il Governo:

1) a superare i generici impegni programmatici e cronologici in materia di lotta ai cambiamenti climatici e a definire quelle attività antropiche che contribuiscono, direttamente o indirettamente, all’incremento delle temperature con chiari indirizzi per una loro graduale diminuzione: centrali elettriche a carbone o a olio combustibile, incenerimento dei rifiuti anche legati alla produzione di energia, trasporto su gomma, riscaldamenti con combustibili fossili, deforestazione, consumo del territorio in particolare attraverso l’espansione delle città;

2) a promuovere la ricerca in materia di innovazione tecnologica e di sviluppo del gas naturale senza emissione di anidride carbonica;

3) ad adottare, anche con il coinvolgimento del Parlamento, iniziative volte all’attuazione degli impegni di cui agli accordi siglati in sede internazionale volti alla riduzione delle emissioni di gas serra e all’attuazione della progressiva transizione energetica verso la decarbonizzazione;

4) ad istituire nella città di Venezia un centro internazionale sui cambiamenti climatici, per valorizzare il patrimonio di conoscenze maturate da soggetti pubblici e privati, che porti avanti studi e ricerche sui temi della vulnerabilità e dell’adattamento ai cambiamenti climatici nell’ambito della salvaguardia della nazione, anche nel quadro del piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC) di cui è importante e urgente completare l’elaborazione;

5) a promuovere l’impegno della UE per l’attuazione della carbon neutrality entro il 2050;

6) ad incentivare la ricerca scientifica in materia di adattamento climatico urbano, attraverso la sperimentazione di nuovi materiali e nuove tecnologie sul versante dell’edilizia nella prospettiva di ridurre i consumi energetici;

7) ad avviare un monitoraggio ed una mappatura completa delle zone e delle infrastrutture a rischio idrogeologico, attraverso il coinvolgimento di istituzioni competenti, enti locali ed esperti al fine di rivolgere ai siti interessati specifici interventi strutturali, risolutivi e sistemici, che non si risolvano in misure di gestione dell’emergenza che rischiano di limitarsi alle criticità in atto, lasciando a se stesse tutte le altre situazioni a rischio del Paese;

8) ad adottare tutte le misure necessarie per stanziare adeguate risorse per favorire la prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico e gli interventi a difesa del suolo, ivi inclusi quelli destinati alla lotta all’erosione costiera, sollecitando il rafforzamento e lo sviluppo delle attività di complesso monitoraggio del territorio nazionale;

9) a valutare l’opportunità di prevedere un corpo specialistico di Polizia ambientale a ordinamento civile con funzioni di tutela ambientale, delle foreste, del paesaggio e della biodiversità, come strumento attivo di tutela del patrimonio ambientale, nonché di prevenzione e di contrasto del rischio idrogeologico;

10) a promuovere una maggiore sensibilizzazione dei cittadini verso gli effetti dei cambiamenti climatici, promuovendo best practice tese alla tutela dell’ambiente e introdurre, nelle scuole di ogni ordine e grado, l’insegnamento dell’educazione ambientale;

11) a promuovere l’introduzione di dazi, inquadrabili come dazi di civiltà, su quei prodotti di importazione provenienti da Paesi extra UE che non rispecchiano gli standard di tutela ambientale, unitamente a quelli salariali e di salute e sicurezza sul lavoro, vigenti in ambito europeo, al fine di evitare un pericoloso dumping sociale e contrastare fenomeni di concorrenza sleale;

12) a valutare l’opportunità di promuovere progetti di ricerca orientati all’individuazione di strategie di adattamento per la gestione delle risorse naturali in condizioni di cambiamento climatico e socio-economico;

13) a predisporre un tavolo tecnico multilivello teso all’individuazione, al monitoraggio e all’approfondimento dei rischi per la salute dovuti al deterioramento ecosistemico e all’interrelazione di questo con il cambiamento climatico nella prospettiva di pianificare azioni volte al contenimento e alla sensibilizzazione della popolazione circa rischi sulla salute umana;

14) a farsi portavoce, nelle competenti sedi internazionali, dell’individuazione di regole e standard condivisi a livello globale finalizzati alla concreta e fattiva attuazione degli accordi siglati in sede internazionale.

(1-00199) (15 gennaio 2020)

BERNINI, MALAN, GALLONE, BERUTTI, MESSINA Alfredo, PAPATHEU, AIMI, ALDERISI, BARACHINI, BARBONI, BATTISTONI, BERARDI, BIASOTTI, BINETTI, CALIENDO, CALIGIURI, CANGINI, CARBONE, CAUSIN, CESARO, CRAXI, DAL MAS, DAMIANI, DE POLI, DE SIANO, FANTETTI, FAZZONE, FERRO, FLORIS, GALLIANI, GASPARRI, GHEDINI, GIAMMANCO, GIRO, LONARDO, MALLEGNI, MANGIALAVORI, MASINI, MINUTO, MODENA, MOLES, PAGANO, PAROLI, PEROSINO, PICHETTO FRATIN, RIZZOTTI, ROMANI, RONZULLI, ROSSI, SACCONE, SCHIFANI, SCIASCIA, SERAFINI, SICLARI, STABILE, TESTOR, TIRABOSCHI, TOFFANIN, VITALI – Il Senato,

premesso che:

nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Convenzione sul clima, UNFCCC), l’accordo ha compreso elementi per una riduzione progressiva delle emissioni globali di gas serra e si è basato, per la prima volta, su principi comuni validi per tutti i Paesi senza distinzione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo;

uno degli obiettivi principali è stato quello di orientare i flussi finanziari privati e statali verso uno sviluppo a basse emissioni di gas serra e migliorare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici; in particolare, sono stati decisi i criteri con cui misurare le emissioni di anidride carbonica e valutare le misure dei singoli Paesi;

l’Unione europea ha pertanto approvato il quadro di politica climatica ed energetica a orizzonte 2030 che definisce una serie di obiettivi chiave e misure di intervento per il periodo 2020-2030;

l’8 gennaio 2019, è stata resa nota la proposta di piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) inviata a Bruxelles dal Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

il piano è strutturato su 5 dimensioni: de-carbonizzazione, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato interno dell’energia, ricerca, innovazione e competitività;

il PNIEC contiene gli obiettivi “per l’energia e il clima” che gli Stati membri si impegnano a raggiungere entro il 2030; il documento dovrebbe anche indicare le politiche, le misure e le relative coperture economiche attraverso le quali, credibilmente, si intende raggiungere tali obiettivi;

si può cogliere questa possibilità, per programmare investimenti in grandi opere, come il treno ad alta velocità e l’ammodernamento della rete ferroviaria, che incrementano la competitività del Paese, tenendo presente l’impatto ambientale del trasporto su gomma, soprattutto per quanto riguarda le merci;

occorrono azioni per la rigenerazione delle grandi città in un’ottica di efficientamento energetico e della rete metro-ferro-tranviaria, un programma di gestione del ciclo dei rifiuti e in sinergia tra Stato e privati;

in questo quadro è fondamentale che la “transizione climatica” dell’Europa debba essere sostenibile da un punto di vista ecologico, economico e sociale e non possa prescindere, data la natura globale della questione, da una cooperazione a livello internazionale che coinvolga gli Stati americani e asiatici;

il 23 settembre 2019, si è svolto a New York un vertice ONU sull’azione per il clima che si è basato sulle azioni da intraprendere in 7 campi: transizione verso le energie rinnovabili, finanziamento della “azione climatica” e della tariffazione del carbonio, riduzione delle emissioni dell’industria, ricorso a soluzioni “basate sulla natura”, città sostenibili e azioni a livello locale, resilienza al cambiamento climatico;

dal 2 al 13 dicembre 2019 si è svolta a Madrid la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop25);

le priorità indicate dalla presidenza cilena della Cop25 sono state le seguenti: energie rinnovabili; elettro-mobilità; estrazione mineraria verde; economia circolare; oceani; foreste e agricolture resistenti al cambiamento climatico; città sostenibili e infrastrutture resistenti; finanza climatica;

tuttavia, nonostante i buoni auspici iniziali, il vertice non ha prodotto i risultati sperati dai suoi proponenti tanto che il presidente delle Nazioni Unite, António Guterres, avrebbe detto di essere “contrariato” per l’esito della venticinquesima conferenza mondiale sul clima;

il negoziato tra i Paesi partecipanti alla conferenza sembrerebbe essersi arenato intorno alle regole da costruire all’articolo 6 del Trattato di Parigi, che prevede diversi meccanismi volti a ridurre le emissioni cumulative di anidride carbonica, tra cui in particolare un nuovo mercato internazionale del carbonio (carbon market) per favorire lo scambio di quote di anidride carbonica tra diversi Paesi; quindi, sulle regole per il mercato dell’anidride carbonica non si sono fatti progressi;

se da una parte i Paesi di Asia, Africa, America del Sud e quelli in via di sviluppo rimproverano ad Occidente e Stati Uniti le loro responsabilità storiche sul fronte delle emissioni, sostenendo che dovrebbero fare molto di più anche dal punto di vista finanziario per sorreggere i più colpiti, dall’altra gli Stati Uniti d’America non hanno mai firmato il protocollo di Kyoto del 1997, e a breve usciranno dagli accordi di Parigi 2015;

purtroppo, senza un vero accordo tra gli Stati Uniti d’America e la Cina (sono rispettivamente il primo emettitore pro capite di anidride carbonica e il primo quanto a valore assoluto) è evidente che molto poco si riuscirà a fare (all’Europa fa capo solo il 9-10 per cento delle emissioni mondiali di gas serra);

definire un mercato del biossido di carbonio su scala globale è tutt’altro che semplice e richiederebbe una cooperazione tra Paesi assai maggiore in confronto a quella dimostrata nel vertice spagnolo;

in questo quadro il nostro Paese ha responsabilità importanti per gli anni a venire e non si può nascondere che, prima di interrompere l’utilizzo dell’energia derivata da fonti fossili, bisognerebbe prevedere un grande piano di investimenti volti a riconvertire gli impianti verso un’economia verde e a puntare su nuove fonti di approvvigionamento;

un esempio emblematico è costituito dalla Sardegna che ha attive due centrali carbonifere importanti, una nel nord dell’isola, in provincia di Sassari, e l’altra nel Sulcis Iglesiente, in provincia di Cagliari;

se si prende in considerazione il fatto che il progetto del metanodotto in Sardegna non è ancora avviato, l’isola rischierebbe nel giro di pochi anni un black out dovuto alla mancanza di fonti di approvvigionamento alternative;

l’Italia nei prossimi anni dovrà necessariamente puntare su un diverso modello energetico più incentrato sul risparmio, l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili, partendo dalla generazione distribuita in piccoli impianti alimentati sempre più da energie rinnovabili allacciate a reti intelligenti (smart grid) integrate con efficaci sistemi di accumulo;

si rende inoltre necessario avviare urgentemente un percorso virtuoso che porti al più presto alla creazione di un sistema di riciclo dei rifiuti che non possa in alcun modo prescindere dalla realizzazione di termovalorizzatori per la produzione e l’accumulo di energia termica oltre che dalla generazione di energia da biogas;

un sistema coordinato e bilanciato di riciclo e termovalorizzazione consentirebbe al nostro Paese di ottenere un’autonomia energetica con evidenti benefici per le industrie di manufatti, che vedrebbero diminuire sensibilmente il loro costo di produzione, e per i consumatori finali che usufruirebbero del prodotto finito ad un costo più basso;

secondo dati pubblicati dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nel 2016, la quantità totale di rifiuti speciali esportata è stata pari a 3,1 milioni di tonnellate; i maggiori quantitativi di rifiuti sono stati destinati in Germania e in Cina, rispettivamente 850.000 e 260.000 tonnellate;

una gestione corretta del ciclo dei rifiuti può dunque trattenere o attirare ricchezza all’interno di un Paese, evitando così le spese legate al trasporto e ai costi di smaltimento all’estero. Inoltre, considerando che dai rifiuti è possibile ricavare energia termica ed elettrica in parte rinnovabile potrebbero ricavarsi ulteriori vantaggi;

superare l’emergenza rifiuti in grandi agglomerati urbani come Roma e Napoli, per proiettarli verso un circuito virtuoso ed efficiente di gestione, deve rappresentare una delle maggiori priorità di un Paese civile,

impegna il Governo:

1) a farsi carico tra i Paesi partecipanti alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima dell’adozione di un codice che esiga un livello elevato di trasparenza, con solide norme vincolanti per tutte le parti e regole chiare, che non penalizzino in modo irragionevole gli Stati membri e in particolare l’Italia, conciliando sviluppo industriale e scelte ecologiche, al fine di misurare accuratamente i progressi e consolidare la fiducia tra le parti che partecipano al processo internazionale;

2) ad adoperarsi in sede europea e internazionale affinché sia intrapresa ogni azione per giungere ad un vero accordo che includa tutti i Paesi dove maggiori sono le emissioni di gas serra;

3) ad adoperarsi affinché l’Europa, sul tema dell’emergenza climatica e non solo, sia unita nel portare avanti la propria strategia, al fine essere più incisiva durante il confronto con gli altri Paesi;

4) a garantire il completamento del capacity market, finalizzato ad una maggiore diversificazione delle fonti di approvvigionamento ed il sostegno alla fonte idroelettrica rinnovabile e programmabile al tempo stesso;

5) a prevedere un piano di investimenti pubblici finalizzato a promuovere un nuovo modello energetico-ambientale fondato sull’efficienza dei consumi energetici nell’edilizia, nell’industria e nei trasporti, attraverso la digitalizzazione delle reti, la diffusione della mobilità elettrica, lo sviluppo di tecnologie elettro-efficienti in ambito residenziale e sviluppo delle fonti rinnovabili, attraverso l’introduzione di incentivi fiscali per cittadini e imprese e di misure di semplificazione; riciclo e trasformazione in risorse dei rifiuti (circular economy);

6) a creare un sistema coordinato e bilanciato di riciclo e ad avviare un piano per la costruzione di termovalorizzatori, al fine di consentire al nostro Paese di ottenere un’autonomia energetica con i benefici che di conseguenza verrebbero generati.

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