Percorso:

Secolo d’Italia – Ma la crisi sarà donna?

L’impatto della  crisi finanziaria sulla condizione  femminile è il cosiddetto “tema emergente” della 53ma Sessione  della Commissione sullo Status della Donna  (CSW) organizzata dalle Nazioni Unite,  in corso a New York fino al 13 marzo. Anche questo risvolto è diventato una discussione globale come globale è la crisi economica.
La questione sottesa è se la crisi può determinare una contrazione del lavoro femminile, aumentando ed aggravando così, ulteriormente, la distanza e lo scarto (gap) di genere in termini occupazionali.

Negli Usa, fin qui, la disoccupazione ha colpito di più gli uomini perché si è scaricata su settori, come la finanza e l’edilizia, più tradizionalmente ad occupazione maschile; in Europa la tendenza non è ancora chiaramente definita ma, ad esempio, in Spagna – che ha un brillante tasso di occupazione femminile del 51% – per ora  è cresciuta la disoccupazione maschile perchè, anche qui, la crisi ha colpito principalmente il campo dell’edilizia ma, si prevede che gli effetti dell’onda lunga si abbatteranno sull’occupazione femminile. Intanto e in generale, le donne sembrano “resistere” nel settore impiegatizio, in particolari in campi come l’Istruzione e la Sanità, meno nel Tessile  e, dimostrano maggiori capacità di “cavalcare” la  recessione, con rinnovate strategie di risparmio.

L Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha calcolato che la crisi economica potrebbe colpire 22 milioni di lavoratrici; ed anche se, in termini percentuali. crescerebbe di più la disoccupazione maschile quella femminile aumenterebbe lì dove è più consistente ossia nel cosiddetto “lavoro vulnerabile”. E’ di evidenza statistica la debolezza strutturale dell’occupazione femminile, sia in  termini quantitativi che qualitativi; in Italia, ad esempio, il lavoro femminile ruota intorno al 46,6% , ma gli incrementi registrati negli ultimi anni sono , soprattutto,  di forme di lavoro nuove e miste, di contratti part-time e di contratti a termine. Inoltre, i contratti a termine e le  forme di lavoro non stabile e parasubordinato, rappresentano per le donne non una modalità di ingresso nel mondo del lavoro ma appaiono  un modo strutturale per restare nel mercato. Il lavoro femminile è ampiamente caratterizzato da forme atipiche, flessibili e precarie, comunque a corto respiro e poco remunerate e, sempre più spesso, con mansioni inferiori rispetto alla preparazione ed alla formazione curriculare conseguite.

Le forme di lavoro non stabile, perduranti nel tempo, diventano forme sostanziali di segregazione professionale, sia verticale che orizzontale, come dimostrano gli scarti oggettivi e   ricorrenti tra la partecipazione femminile al mondo del lavoro e la presenza femminile nelle posizioni apicali e di vertice e,in tutte le progressioni di carriera. Lo  scarto, inoltre, trova riscontro, anche nelle retribuzioni e nel noto fenomeno della disparità salariale; le donne vengono pagate meno degli uomini, a parità di lavoro svolto, ed avranno – quindi – una pensione inferiore.

E, paradossalmente, proprio il “costo inferiore” del lavoro femminile  e l’impiego più femminile che maschile nel part time potrebbe – e lo sostiene con crudezza anche il Center for American Progress –  scaricare gli effetti della crisi più sugli uomini che sulle donne.

Inoltre, a fronte degli “apocalittici” che prevedono il “ritorno a casa delle donne” – come fossimo dopo la fine della prima guerra mondiale – c’è chi invece immagina nella crisi, un risvolto “imprevedibile” e nell’occupazione femminile una risposta o, comunque, un rovesciamento di prospettiva. Risvegliare il cosiddetto “capitale dormiente”, inserirlo massicciamente nel mercato del lavoro, determinerebbe un aumento del Prodotto Interno Lordo (Pil) e della competitività del Paese. Esiste un nodo tra tasso di attività delle donne e crescita economica, un circolo virtuoso tra occupazione femminile e  reddito; e l’occupazione femminile crea occupazione e l’effetto “moltiplicatore”. Trasformare la crisi in una sfida ed in un’occasione di cambiamento, per tutti, significa superare il  welfare assistenziale con un nuovo welfare sussidiario, con diversi modelli di organizzazione del lavoro  e con stili di vita più sobri.

Isabella Rauti

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