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Area – L’Italia delle paure e del coraggio

Una “mucillagine  impaurita”, questa potrebbe essere la sintesi sbrigativa, poco più di una battuta con cui liquidare la realtà sociale italiana.  Il 42° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, riprende, infatti, l’espressione “mucillagine”  del Rapporto 2007 – che tanto aveva colpito l’opinione pubblica –  che veniva così interpretata :”mucillagine sociale inconcludente di elementi individuali e di ritagli personali … coriandoli individualisti che galleggiano… tenuti insieme da un sociale di bassa lega e senza  alcuna funzione di coesione da parte delle Istituzioni”; come scrivemmo su queste stesse pagine proprio un anno fa.
Il Rapporto torna sulla espressione metaforica quasi per puntualizzare, sottolineando come – appunto – quei singoli organismi , che vivono gli uni accanto agli altri, senza processi di reciproca integrazione  e quindi senza forza, abbiano dimostrato, nel 2008, la loro “intima fragilità per carenza di connessioni”, confermando una “deriva ed una regressione antropologica”.

Secondo il Rapporto, restiamo una società “mucillagine” e dalla fragilità della nostra struttura socioculturale al moltiplicarsi delle paure, piccole e grandi, degli Italiani , il passo è breve e quasi obbligato; ma, nonostante la persistente vulnerabilità interna del sistema, non mancano  “gli anticorpi”  e le energie per fronteggiare la  crisi in atto, e l’Italia marcerebbe, in silenzio, verso la sua “seconda metaformosi”  (dopo quella  degli anni fra il 1945 ed il 1975).

La “segnatura” della crisi – si legge nel Rapporto – c’è stata ma ha aperto la strada ad un adattamento innovativo della società italiana; e se il 2008 è stato “l’anno delle paure” non sono mancati i sintomi di “un salutare allarme collettivo” , ancora in bilico – però – tra panico e speranza.

Il nodo è questo: si tratta di vedere se il corpo sociale saprà cogliere la sfida, se recupererà una reazione vitale in grado di produrre una spinta in avanti o se cederà alla “tentazione italica” della rimozione dei fenomeni e dell’indifferenza alla crisi, alla “derubricazione degli eventi, all’indulgente e rassicurante conferma della solidità di fondo del sistema”.

In ogni caso, la crisi rappresenta un discrimine tra “il prima” ed “il dopo”, un punto di svolta anche nel modo di pensare, nelle abitudini di vita e nei comportamenti; ma non basta fronteggiare la paura  o sviluppare capacità di adattamento, c’è bisogno di energie nuove per una ripresa strategica.

Una reazione puramente adattativi degli Italiani sarebbe – insomma – la classica  condizione necessaria ma non sufficiente; rispetto ad una crisi che agisce in profondità non ci si può adagiare sulla speranza che le dinamiche di lunga durata risolveranno la situazione, rinunciando ad  avviare consapevolmente elementi di sviluppo.

Insomma, davanti al rischio potenziale di “un rattrappimento” sociale e di un’implosione su noi stessi, dettata da stili di vita individualistici e da spinte soggettivistiche prive di impegni ed obiettivi comuni, la paura va trasformata in coraggio.  Le difficoltà economiche e sociali in corso e quelle che si profilano, possono avviare processi complessi di cambiamento; il Rapporto fa riferimento ad adattamenti innovativi che , a differenza di quelli tradizionali che “si fanno coerenti con quel che avviene”, vengono definiti – mutuando il termine dalla biologia – ex- aptation . Il termine, non immediatamente traducibile in italiano, indica un concetto ed un processo di adattamenti non automatici ma reattivi, resi vitali ed efficaci da fattori esogeni, vere leve di un processo di trasformazione e di metamorfosi più che di puro adattamento.

E può essere questa la “seconda metamorfosi” degli Italiani, che – secondo il Censis, sarà il risultato “della combinazione dei caratteri antichi della società con i processi che fanno da induttori di cambiamento”. Quindi, non un pigro assestamento collettivo di conferma della prima metamorfosi ma una trasmutazione, effetto di “alcuni reagenti” che il Rapporto individua:  nell’azione di minoranze vitali; nella componente competitiva del territorio; in una temperata gestione dei consumi; nella presenza degli immigrati; nei nuovi spazi di potere femminile; in un diverso posizionamento geopolitico, meno incentrato sulla “dominanza occidentale”;  ma soprattutto, il Rapporto conclude che la “seconda metamorfosi” sarà comunque legata all’intreccio di tante piccole metamorfosi, ad una dinamica fatta  da tanti soggetti  e ad un policentrismo decisionale.

La società italiana del 2008 sarebbe caratterizzata da vulnerabilità socioeconomiche interne ma anche da reazioni, da difese e da punti di forza; il Rapporto sottolinea la sostanziale “tenuta trasversale delle imprese” ed il senso di adattamento delle famiglie e delle strategie cautelative già messe in campo.

Anche se l’Italia è rimasta lontana dall’epicentro della crisi finanziaria, secondo il Censis, gli effetti internazionali, espongono potenzialmente al pericolo una famiglia italiana su due ed il 48,8% del totale delle famiglie denunciano un rischio di default; è diffuso anche il timore di perdere il tenore di vita raggiunto (per il 71,1% degli Italiani) mentre il 28,3% dichiara di poterne uscire indenne. Paure ma anche speranze, il 37,7% degli intervistati  ritiene fiduciosamente non solo di potersela cavare ma, anche,  che la crisi potrebbe portare dei miglioramenti.  Tendenzialmente, gli Italiani ora rifuggono dal risparmio gestito e si orientano di più verso la liquidità, mentre prevale una temperanza nei consumi, sempre più distinti tra quelli irrinunciabili, quelli da ridurre e quelli da sacrificare; il rapporto con i consumi appare meno emozionale, meno compulsivo e più razionalmente orientato alla funzionalità/necessità. Si punta a far sopravvivere il proprio benessere ma secondo un nuovo rapporto con i consumi, un modello più responsabile e soprattutto più contenuto e più sobrio.  Tali processi di adattamento, con l’assunzione di stili di vita e di consumo controllati sono e restano – evidentemente –  altra cosa rispetto alle situazioni di povertà conclamata di ben definiti gruppi sociali (al proposito cfr. “La miseria è il nuovo nemico”,  Area, n.141, Dicembre 2008  ).

Al di là ed oltre le analisi contenute nel Rapporto, appare chiaro che la congiuntura economica e finanziaria internazionale, dimostra soprattutto che il primato assoluto del mercato produce guasti e che un’economia selvaggiamente liberista,  più virtuale che reale, sia rovinosamente smottata su se stessa; ed in questo senso anche il Rapporto Censis stigmatizza un effetto di rivalutazione del ruolo dello Stato rispetto al mercato ed alla cultura mercatista . “Il mercato non basta più – si legge – a disciplinare ordinatamente i flussi globali e a scongiurare crisi di tipo planetario. Non basta più a proteggere le aree territoriali e settoriali che entrano via via in crisi (…). Non basta più a garantire la copertura di bisogni sociali diffusi e spesso drammatici (…) non presidiati  da nessuna autorità statuale o soggetto pubblico (…). Più in generale, il mercato da solo non basta a dare senso ai comportamenti collettivi …”.

Non basta più e, secondo noi, non è mai bastato. E, queste considerazioni non possono che portare alla conclusione – per noi acquisita da tempo – della necessità di una economia sociale di mercato. Un’idea moderna di mercato, quindi, che comprende e supera l’equazione tra pubblico e statale, che conferisce alle famiglie centralità nello spazio pubblico ed attribuisce importanti prerogative e funzioni al privato sociale organizzato. La visione di un’economia sociale di mercato è  un’articolazione complessa del principio di sussidiarietà orizzontale e si pone l‘obiettivo di favorire gli aspetti inclusivi e partecipativi non solo nell’ambito sociale ma anche in quello economico e produttivo.

Il modello di welfare che emerge dall’idea di organizzazione sociale, basata sull’economia sociale di mercato, è quello della welfare community  in cui la dimensione sociale è connessa a quella economico-produttiva.

Proprio la dimensione partecipativa ed inclusiva dell’economia sociale di mercato, infatti, può rappresentare una delle risposte a  quella esasperazione della soggettività , che ha contribuito alla progressiva frammentazione del tessuto sociale  e di tutte le forme di coesione.

La “mucillaggine spaventata” può cogliere la sfida, può determinare l’uscita collettiva  dalla crisi finanziaria; se ritrova e riprende coraggio e se punta sulla trama di coesione sociale e sul  tessuto comunitario, lasciandosi alle spalle le connessioni deboli e le aggregazioni smorte e senza identità.

Isabella Rauti

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