Percorso:

181ª Seduta Pubblica – Informativa del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale sull’attuale scenario internazionale, con particolare riferimento alla situazione in Iran, Iraq e Libia e conseguente discussione

Resoconto stenografico in corso di seduta

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Rauti. Ne ha facoltà.

RAUTI (FdI). Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, questa mattina, presso le Commissioni difesa congiunte di Camera e Senato, abbiamo ascoltato l’informativa del ministro Guerini, come sollecitato dal Gruppi di Fratelli d’Italia e da quelli di altre forze politiche.

Presidenza del vice presidente ROSSOMANDO (ore 12,57)

(Segue RAUTI). Sarebbe stato utile avere un’audizione con il Ministro degli esteri presso le Commissioni esteri congiunte. Ieri sera abbiamo anche partecipato al tavolo di Palazzo Chigi con il Presidente del Consiglio Conte e abbiamo adesso ascoltato lei in Aula, mentre non avremo il question time con il Presidente previsto per giovedì. Tutto il quadro, quindi, potrebbe e dovrebbe – sia pure nella sua complessità inevitabile – apparire chiaro e invece chiarezza non c’è e non c’è su questioni nevralgiche.

L’Italia si è mossa – verrebbe da dire, piuttosto, che si è agitata – interloquendo, è vero, con le diplomazie internazionali, secondo una linea che il Presidente ieri sera ha definito di coerenza, ma quello che non appare è la consistenza di questa linea, la concretezza, quella che gli antichi definivano l’ubi consistam.

In particolare, voglio riferirmi alla crisi dello scenario libico, dove una protratta assenza europea ed italiana che naturalmente – lo ammettiamo – vi precede, unita ad un ripiegamento americano, ha consentito che nuovi attori divenissero protagonisti nell’area e se una volta c’era il ruolo fondamentale riconosciuto alle tribù ora abbiamo anche – permettetemi l’espressione – uno zar e un sultano, che nella tutela dei loro rispettivi e molto diversi interessi geopolitici ed economici, sono diventati player fondamentali e praticamente esclusivi. Questo è il punto.

Nel frattempo, le interlocuzioni italiane con al-Sarraj e con Haftar si sono svolte, come è a tutti noto, in una cornice pasticciata e con qualche inciampo – diciamo così – di cerimoniale e di diplomazia. Anche se non ci sfugge e non sfugge a nessuno l’importanza della nostra partecipazione alla Conferenza di Berlino, che ci auguriamo vada meglio di quella di Palermo, prevista per domenica alle ore 14, cui parteciperà (lo sappiamo adesso) anche il segretario di stato americano Pompeo, quello che ci continua a sfuggire, però, è che cosa noi andiamo a dire a Berlino. Qual è la posizione italiana rispetto ad alcune questioni centrali?

Siccome è indubbio che l’obiettivo comune sia quello di arrivare alla Conferenza con una tregua siglata anche da Haftar, che invece ha chiesto tempo per sottoscriverla, oggi il cessate il fuoco è fragile e non ci appare niente affatto sostanziale, come lo ha definito il Presidente del Consiglio ieri sera e come ha detto anche lei in Assemblea; né siamo sinceramente convinti che potrebbe reggere, se non venisse sottoscritto anche dall’uomo forte della Cirenaica. Infatti, dietro al-Sarraj c’è la Turchia di Erdogan, che Haftar non vuole al tavolo; voglio anche richiamare l’attenzione sul fatto che Erdogan è l’imperialista (ricordiamo anche l’atteggiamento avuto con la Siria) che si pone come riferimento degli integralisti sunniti. Allora, se dietro al-Sarraj c’è la Turchia di Erdogan, dietro Haftar ci sono la Russia, ma anche l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, l’Egitto. Insomma, una complessità estrema, che nelle relazioni non emerge nella sua interezza.

In questo scenario fluido, la questione centrale che si impone è l’ipotesi di cui si sente parlare con insistenza dell’invio di una forza armata sopranazionale: una missione di interposizione, che possa monitorare e garantire il rispetto del cessate il fuoco. Non si sa se tale missione si verificherebbe con i caschi blu – quindi sotto l’egida delle Nazioni Unite – o in una forma diversa, come abbiamo letto e ascoltato praticamente ovunque; il che significa, con l’invio di un contingente europeo. In questo caso, la domanda sottesa (un’altra domanda) è quale Paese europeo ne dovrebbe avere la guida e il comando. La Francia, che in Libia ha sempre giocato la sua partita esclusiva ed egoista, senza entrare nel merito del conflitto del 2011 contro Gheddafi, e che oggi incalza per un contingente europeo? Oppure la guida potrebbe essere italiana, per la sua storia e vocazione, nonché per la posizione geopolitica che abbiamo nello scenario?

Non c’è chiarezza sulle nostre missioni militari presenti nell’area mediorientale e in Libia, a Misurata, in un momento in cui gli scenari sono radicalmente modificati. Ci è stato spiegato (ma è ovvio) che le misure di sicurezza sono state innalzate e sono state sospese le attività addestrative che i nostri contingenti portano avanti, ottimamente, da tempo, ma non conosciamo la postura operativa dei nostri contingenti, esposti a un rischio potenziale e ad effetti collaterali e quali siano le effettive condizioni di sicurezza in cui i nostri militari si trovano ad agire.

Infatti, se gli scenari cambiano – e sono drammaticamente cambiati – anche le missioni devono cambiare, devono essere adeguatamente finanziate, in misura eccezionale e straordinaria; devono essere definite nuove e chiare regole di ingaggio. Tutto questo non emerge.

Altro chiaroscuro, Ministro, riguarda le affermazioni che ho sentito sulla Libia unita, libera e sovrana e sull’importante integrità territoriale della Libia: sicuramente un bel concetto. Quindi la vostra posizione non è «anche a prezzo della spartizione e della divisione della Libia tra la Cirenaica e la Tripolitania» (rammento che esiste anche il Fezzan, con la sua autonomia e anarchia), come ha detto ieri il presidente Conte e come ha detto il sottosegretario per la difesa Tofalo nei giorni scorsi, in un’ampia e articolata intervista? Non capisco le tre posizioni come possano essere ridotte ad unità e quale sia quella italiana.

E allora l’altro aspetto: un ulteriore elemento importante, ma confuso, è la questione del blocco navale, proposta rimbalzata sulla stampa, alla quale mancano elementi di definizione e che non conosciamo, e lo andremo a dire a Berlino. Premesso che storicamente Fratelli d’Italia ha sempre invocato – e continua a farlo – la creazione di un blocco navale al largo delle coste libiche per fronteggiare le ondate migratorie clandestine, impedendo ai barconi della morte di partire; premesso che non ci avete mai ascoltato e avete sostenuto che era un’ipotesi irrealizzabile e un atto di guerra; oggi ci date ragione, ma non spiegate come intendereste realizzare tale blocco – o interdizione marittima, come l’avete anche chiamata in un’altra occasione – e come esso dovrebbe interessare soltanto il traffico delle armi che arrivano anche via terra e aerea; nonché come eventualmente l’operazione Sophia-EUNAVFOR Med, senza una reale forza navale, potrebbe svolgere tale compito; e ancora, quali sono le nostre posizioni sulla no-fly zone e sulla messa in sicurezza degli impianti ENI di cui non si parla abbastanza.

Volendo essere chiari, saltando alcuni passaggi e andando a concludere, con una posizione responsabile e non polemica, perché mettiamo sempre al primo posto l’Italia e l’unità nazionale, la politica estera, in un momento in cui pare che l’Europa abbia perso la sfida diplomatica, la politica estera del Governo ci appare inconsistente, basata su slogan e propaganda, su una sostanziale marginalità politica del nostro Paese, nell’ambito di un’assenza di strategia dell’Unione europea, incapace di parlare con una voce sola e chiara.

Non appariamo centrali, come soggetto pacificatore, al di là del vostro storytelling; sembriamo accodati alla spartizione della Libia in atto fra Russia e Turchia e soprattutto non esercitiamo un ruolo centrale e fondamentale. Non siamo influenti, siamo inconsistenti e non basta dire che aspettiamo Berlino con trionfalismo: in Libia non c’è soltanto un patrimonio energetico, ma attraverso di essa passa un vasto disegno politico e geopolitico in grado di condizionare il resto del mondo, la sicurezza nazionale, la lotta globale al terrorismo jihadista, l’Islam politico integralista e minaccioso e l’integralismo sunnita.

Di fronte a tutta questa sfida scegliere di non scegliere è comunque una grave responsabilità, la peggiore. (Applausi dai Gruppi FdI e FIBP-UDC).

[Fonte: www.senato.it]

Questa voce è stata pubblicata in Interventi in Aula Senato, Primo piano.