Percorso:

Area – Le donne e il welfare

Le reti parentali ed informali, le donne – e molto spesso i nonni – hanno finito per costituire segmenti di Welfare integrativo se non sostitutivo e comunque fondamentale; in particolare, il lavoro di cura – nella sua interpretazione estensiva di cura non solo dei figli minori ma anche dei malati e degli anziani a carico –  non solo non ha trovato adeguato riconoscimento economico, e questo mette le donne in una condizione di dipendenza dalla famiglia e/o dal partner, ma incide negativamente sulle dinamiche di ingresso, di permanenza e di carriera delle donne nel mondo del lavoro.
Inoltre, l’impegno del lavoro domestico e della famiglia spesso rende del tutto impraticabile quello esterno, poiché i costi di quel lavoro di cura che eventualmente una donna non eseguirebbe essendo impiegata altrove sarebbero ben più elevati delle entrate di un secondo stipendio.

Le donne e le famiglie, insomma, produco beni  ed offrono servizi alla persona; parte del lavoro di cura prende la forma di un crescente impoverimento delle fasce più deboli e, nello specifico delle donne, soprattutto di quelle donne che hanno perso il supporto del Welfare e che non possono disporre di una famiglia in grado di sostituirsi ad esso, per una serie di motivi quali, il divorzio,la morte del coniuge o dei genitori, una malattia.

La carenza delle infrastrutture sociali non è, però, l’unica responsabile del sovraccarico di lavoro che le donne hanno. Una diversa distribuzione del lavoro di cura all’interno della famiglia e della comunità ridurrebbe l’impegno sociale delle donne, un lavoro <<   invisibile>>e non riconosciuto o riconosciuto solo all’interno delle mura domestiche.

Sulla base dei mutamenti socio-culturali ed economici in atto si è verificata, negli ultimi anni, una progressiva riconsiderazione e ridefinizione dei modelli di Welfare, in relazione – anche – ad i <<cambiamenti in corso nel Paese sia dal punto di vista delle riforme strutturali (declino della centralità dello Stato, decentramento dei poteri, nuovo ruolo degli Enti locali), sia delle spinte che provengono dalla società in termini di maggiore organizzazione del privato sociale e del crescente bisogno di erogazione di servizi alla persona.>>. Tra le sfide che i mutamenti hanno lanciato ai sistemi di Welfare, rientrano l’aumento della presenza femminile nel mondo del lavoro; le transizioni demografiche; il progressivo allungamento della vita media ed il conseguente invecchiamento della popolazione; le modificazioni delle tipologie familiari; l’affermazione di stili di vita e di consumo più individualizzati; l’emersione delle nuove povertà familiari.

Nella dinamica donne-Welfare si inserisce la questione dei servizi e, con essa, il nodo del lavoro femminile.

Nonostante il costante incremento dell’occupazione femminile – fenomeno peraltro non uniforme sul territorio nazionale –  i tassi italiani di partecipazione delle donne al mondo del lavoro restano più bassi (di circa 10 punti percentuali) rispetto alla media dei Paesi europei dell’Unione e, drammaticamente lontani dalla strategia europea di Lisbona 2000, che aveva fissato  – per il 2010 – il traguardo-obiettivo del 60% di occupazione femminile.

Non si può non considerare, inoltre, che  a fronte dell’oggettiva riduzione del divario occupazionale di genere, tendono <<   ad ampliarsi le differenze di genere dovute all’entità e all’organizzazione temporale degli impieghi>> . E, ancora, il <<   gap>>   di genere si riscontra, anzi si accentua, nelle rilevazioni sulle progressioni di carriera, sui ruoli dirigenziali, sull’ascesa ai luoghi di potere decisionale ed, addirittura, sugli aspetti salariali e retributivi. Insomma, ad ogni statistica di genere non sfugge che restano delle <<   criticità femminili>> non solo nell’accesso ma anche e soprattutto per la permanenza ed il ricollocamento nel luogo di lavoro dopo esserne uscite per la maternità o per circostanze legate al <<   lavoro di cura>>   e delle famiglia.

Le dinamiche di flessibilità lavorativa  possono incoraggiare  – se governate – la conciliazione, favorendo il passaggio dalla << conciliazione soggettiva>> a quella <<  oggettiva>> e realizzare il bilanciamento necessario tra vita e lavoro, quel work-life balance che i tutti i moderni modelli di Welfare state attivo  indicano come uno degli obiettivi principali da conseguire.

Nelle discussioni sui modelli di Welfare, si sta consolidando una prospettiva innovativa che  contestualizza la conciliazione in un quadro più ampio ed articolato, teso a sviluppare nuovi modelli di organizzazione aziendale e del lavoro che rendano concretamente possibile la conciliazione <   lavoro-famiglia   , ampliando – anche – ilo raggio di interventi di conciliazione e migliorando gli standard di flessibilità.

Rientra a pieno titolo nel nodo della conciliazione l’evidenza che la maternità non risulta ancora <<   assorbita dal mercato del lavoro>> e  continua a rappresentare se non un <<   fattore di espulsione>> dal mondo del lavoro, comunque una scelta faticosamente conciliabile – e quindi condizionata – con gli impegni lavorativi e con un certo tipo  di modelli organizzativi.

Infatti, anche se  l’occupazione femminile cresce costantemente e la posizione lavorativa delle donne tende  ad un continuo miglioramento, resta sul tappeto la questione della conciliazione che deve essere affrontata  non in modo settoriale ma con approccio sistemico, come sistema di politiche attive ed integrate (sociali, lavorative, del territorio, dei servizi) e come insieme intrecciato di interventi sugli aspetti strutturali e sulle modalità organizzative del lavoro.

Isabella Rauti

Questa voce è stata pubblicata in Area, Articoli pubblicati con Tag: .