Percorso:

134ª Seduta Pubblica – Discussione del ddl n. 1200 e connessi, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere

RESOCONTO STENOGRAFICO

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Rauti. Ne ha facoltà.

RAUTI (FdI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, in Commissione giustizia il collega Balboni, per il Gruppo Fratelli d’Italia, ha presentato numerosi emendamenti al testo in discussione, che non sono stati accolti. Li abbiamo ripresentati per la discussione in Assemblea e li illustreremo nel corso dei lavori. Lo dico in questa sede perché sottolineo che gli emendamenti sono tutti tesi a migliorare il testo, per vararne uno definitivo che difenda tutte le donne d’Italia. Il concetto era ed è, infatti, quello di ampliare i diritti delle vittime.

Ci crediamo e portiamo avanti questa battaglia, ma la sensazione è che la maggioranza abbia prodotto un testo che vuole blindato e, mentre si auspica un consenso trasversale che vada oltre le forze di maggioranza, non è disposta ad accogliere emendamenti migliorativi. Non ci siamo tirati indietro pregiudizialmente, ma vogliamo capire perché non c’è stata – siete ancora in tempo – una volontà di accettare emendamenti migliorativi. Vi prego, non fatene uno spot. Non si politicizzi mai la questione immensa delle violenze sulle donne, che è una questione strutturale, un’emergenza, una patologia sociale, una malattia sociale e globale, un flagello mondiale che attraversa le geografie, le religioni e i ceti sociali. Si tratta quindi di una questione immensa che ci parla non di numeri, ma della pelle e del corpo delle donne. Non c’è dunque un copyright da parte di nessuno, ma deve esserci la volontà di tutti.

Dopo questa premessa, vogliamo però essere chiari e sinceri. Il provvedimento rappresenta un passo in avanti concreto nella battaglia e nel contrasto alle violenze di genere, con l’insieme di misure volte a tutelare le donne. Avremmo però voluto, perché la questione lo pretende, maggiore incisività e maggiore severità nel testo – lo sottolineo – così come avremmo voluto delle risorse finanziarie, che non ci sono. Le avremmo volute per rendere efficaci le misure previste e per implementare quanto previsto: penso – ad esempio – alla formazione del personale delle Forze dell’ordine, per cui le risorse disponibili ed esistenti non bastano, o alla ricaduta sugli uffici delle procure del termine di tre giorni entro i quali gli uffici devono ascoltare le donne vittime di violenza o alla carenza di organico nelle procure stesse. È vero: mi potreste dire che normare non costa e implementare invece sì. Servono però finanziamenti se si vogliono fare interventi organici e di sistema e non di settore. Passatemi la brutalità: non si possono fare le nozze con i fichi secchi e indicare tutto e non stanziare niente. (Applausi dal Gruppo FdI). Delude l’articolo 21 del testo, intitolato «Clausola di invarianza finanziaria». Se c’è l’invarianza economica, come realizziamo tutte le azioni in favore delle donne? Ditecelo voi.

Avete battezzato il testo come codice rosso, per sottolineare il carattere di urgenza e la corsia preferenziale. Bene, è così. Ma allora perché non inserire nella stessa corsia preferenziale le nuove fattispecie di reato che giustamente il codice rosso introduce? Perché non dare lo stesso carattere di urgenza – ad esempio – al nuovo reato di revenge porn o a quello terribile, orrendo dei matrimoni forzati? Perché?

Anche su questo carattere di urgenza, allora, occorre fare attenzione: c’è da parte del mondo dell’avvocatura, delle procure, della magistratura grande preoccupazione per la ricaduta sugli uffici. Anche le reti associative che accolgono le donne hanno espresso la loro perplessità. Prestiamo ascolto a queste istanze.

Noi pensiamo che il codice rosso rappresenti un passo in avanti – l’ho detto – ma dobbiamo aggiungere – e lo diciamo veramente con passione – che rappresenta anche un’occasione perduta: avrebbe potuto essere un vero salto in avanti che segnasse un prima e un dopo. Con gli emendamenti proposti dalle varie forze presenti in Senato sarebbe stato migliore.

È vero che si introducono nuove fattispecie di reati e non le elenco, ma ne cito alcune: lo sfregio al volto, la porno vendetta, l’induzione al matrimonio, relativamente a matrimoni forzati precoci (il fenomeno mostruoso delle spose bambine) e, ancora, la violazione dei provvedimenti di allontanamento e di divieto di avvicinamento: benissimo. Si interviene sul codice penale al fine di velocizzare il procedimento penale e accelerare eventuali provvedimenti di protezione della vittima. Si interviene anche bene per inasprire alcune pene e rimodulare alcune aggravanti.

Ma avremmo voluto di più. Il codice rosso, così com’è, non basta: è una condizione necessaria ma non sufficiente, perché si poteva – e lo dobbiamo dire – arrivare finalmente a garantire un tema che sta a cuore ad alcune forze politiche di maggioranza, ossia la certezza della pena, e quindi niente sconti e niente riti abbreviati. Alcune sentenze di appello, infatti – come sappiamo tutti, perché la cronaca ce lo restituisce – vengono riviste al ribasso. Avremmo dovuto puntare a quello.

Non voglio poi aprire una polemica, ma è mancato l’intervento sul trattamento farmacologico. Fratelli d’Italia alla Camera si è battuto. Non voglio ripercorrere quanto è successo in quel ramo su questo elemento, perché potrebbe sembrare una polemica e non voglio, visto l’argomento. Certamente la maggioranza si è divisa sulla cosiddetta castrazione chimica, il trattamento farmacologico su base volontaria, che noi di Fratelli d’Italia volevamo e chiediamo per pedofili e stupratori recidivi. Vi siete divisi.

L’invarianza economica ci delude. Siate consapevoli che, come il reddito di cittadinanza non ha risolto il problema della povertà, come la chiusura dei porti non ha risolto il problema dell’immigrazione, l’introduzione nel codice rosso non risolve la questione della violenza sessuale. È un passo in avanti, ma non il salto che avremmo voluto. Sappiamo bene che le leggi non bastano, non sono tutto, sono solo la metà, se non accompagnate da una rivoluzione culturale e di costume, da un processo educativo – e c’è una forte emergenza educativa – da un processo di prevenzione.

Le violenze sulle donne sono l’effetto dell’abuso di potere di una posizione dominante, che sia fisica, che sia economica, che sia lavorativa, che sia abitativa: sono comunque un abuso. È quel no che non si accetta. È quel sovvertimento di secolari gerarchie consolidate che non si accetta. È quella volontà di imporre il pregiudizio sul giudizio. È l’affermazione di uno stereotipo su una realtà che cambia. È l’affermazione prepotente della forza, quando si smette di dialogare.

Come dice la Convenzione di Istanbul: punire, prevenire e proteggere. Il codice non risponde a tutto.

Aggiungo che l’Italia ha un corpo normativo robusto, anche se ci è arrivata tardi: 1981 per l’abolizione della rilevanza penale della causa d’onore.

Poi ci sono state altre leggi, comunque tardi, nel 1996, nel 2009 e nel 2013. Beh, le norme le abbiamo, ma dobbiamo implementarle, consapevoli tutti che c’è in questo Paese un corto circuito e che continuiamo a contare la mattanza delle donne, una ogni due giorni e mezzo. E quando una donna viene uccisa – lo dico qui oggi, che ci assumiamo una responsabilità – è una sconfitta di tutti e di tutto. (Applausi dai Gruppi FdI e FI-BP).

Resoconto stenografico della seduta n 134 del 17 luglio 2019
[File pdf – 722 Kb]

[Fonte: www.senato.it]

Questa voce è stata pubblicata in Interventi in Aula Senato, Primo piano.